Giorno 16 – Coincidenze? Io non credo

Lezione di ieri: Quando la gopro è in carica messa in un posto sicuro, altrimenti vola via lo sportellino.
Domenica 17/07/2022 Gokyo (Solukhumbu, Nepal)
È entrato il topo durante la notte? No, per fortuna no, quello che ho visto ieri sera deve essersi tenuto alla larga. In compenso sento il brontolio di uno yak a meno di un metro dalla tenda. Balzo fuori prima che arrivi a brucare i tiranti del telo. Come mi vede, se la dà a gambe.
Anche oggi la tenda è ben bagnata e fredda, perfetta per essere arrotolata senza guanti. Piovvigina ancora, quindi rifaccio lo zaino al riparo di una tettoia, mentre Chun Dang è già al lavoro. Ha piazzato su uja pietra un oggetto cilindrico esattamente identico ad un pezzo di salame pelato, ma ad un esame molto attento quell’oggetto rosso e bianco si rivela essere sapone da bucato. Però giuro che sembra salame. Mi fermo a fare due chiacchiere con Chun Dang, che ha sedici anni e lavora in questo albergo da un paio di mesi. Sua madre ha sessant’anni, proprio così, e lui è l’ultimo di sette figli. Sta lavorando per raccogliere abbastanza soldi da pagare un intervento chirurguco che gli sistemi la faccia, perché è sfigurato su entrambe le guance e gli zigomi. Sono state delle pietre, dice, ed è successo quando era piccolo. La madre non aveva soldi per portarlo in ospedale e quindi gli sono rimaste molte grosse cicatrici sulla faccia. Il cappuccio della felpa, tenuto fermo con un cappellino logoro, le copre solo per metà. L’intervento costa piu di duemila dollari, che rispetto ai salari nepalesi sono un’enormità. Per fortuna possiamo mischiare inglese e nepalese, così riusciamo a capirci abbastanza.
Preparo lo zaino e lo lascio in custodia al proprietario dell’albergo, in un edificio di legno accanto al recinto degli yak. Completo le operazioni in perfetta sincronia con Chung Yang, che mi affianca proprio all’inizio del sentiero. Attacchiamo la salita a lunghe falcate, che presto diventano passettini per non perdere il ritmo e fermarci continuamente. Gokyo Ri è ancora distante e non si vede, in cima a uno di quei simpatici pendii che ti illudono ripetutamente di essere quasi arrivato. In realtà sale a gradoni, proprio come ci hanno anticipato i danesi. Avendo posticipato la colazione, ben presto Chung Yang mi stacca e prosegue al proprio ritmo. Va dannatamente veloce, nonostante abbia lo zaino come al solito. Dal canto mio non mi perdo d’animo e gli resto alle calcagna, sputando un polmone.
Ci inoltriamo nella nuvola che avvolge la cima, senza pause, fino ad arrivare in vista delle bandierine buddiste che marcano la vetta. Chung Yang piè veloce mi ha staccato di otto minuti netti in un chilometro e mezzo, complimenti. Arrivo in cima con il cuore che pompa un litro di sangue alla volta e deve aver spappolato anche l’altro polmone. Siamo ancora immersi nella nebbia, così scattiamo qualche foto e aspettiamo che si alzi il vento. Mi viene da chiedergli se è buddista, perché ieri a Dzonglha l’ho visto assorto in contemplazione di un dipinto di budda. Non è buddista e non è credente, anche se in qualche modo è interessato al buddismo. Mi racconta che in Sudcorea il cristianesimo viene predicato anche in termini monetari, una specie di compenso per la partecipazione alla messa. L’evangelizzazione non conosce ostacoli, evidentemente, si farebbe di tutto pur di sbaragliare la concorrenza. Un clientelismo così è degno dell’antica Roma.
Come previsto, l’umidità si dirada, appare una cima, un’altra, un lago turchese, il ghiacciaio a fondovalle e infine tutto l’orizzonte. Da queste parti le montagne sono solo le cime più alte di 6000 metri, chiamate “tse”, mentre le cime più basse si chiamano “ri”, come questa. I giganti si trovano distanti, al confine con la Cina, perciò la vista spazia per chilometri sul panorama in scioglimento. Sono interessanti questi laghi turchesi triangolari, incuneati tra la morena Ovest del ghiacciaio e le valli laterali, parallele tra loro. Sebbene il riscaldamento attuale sia disastroso per la velocità a cui procede, le oscillazioni di temperatura si sono ripetute parecchie volte nell’ultimo milione di anni. Mi incanto a guardare il panorama e a immaginare il processo ciclico con cui questi laghi si formano e spariscono nel corso delle centinaia di migliaia di anni. Quando il clima si raffredda tutta la valle si riempie di ghiaccio, per uno spessore smisurato, poi il ghiaccio si ritira via via, il ghiacciaio principale erige la morena e l’acqua in arrivo dai lati rimane sbarrata nelle valli. Presto o tardi però immagino che i laghi troveranno il modo di sfondare largine della morena trascinando i detriti a valle. All’era glaciale successiva, il ciclo ricomincia. Non ho conoscenze sufficienti perché questa ricostruzione sia attendibile, ma intanto mi godo il documentario che ho appena inventato. Chung Yang è seduto accanto a me e ne approfitto per esporre anche a lui il mio problema con la scadenza del visto. “Nessun problema, anch’io partirò per Bangkok il giorno dopo la scadenza. In Nepal non ci sono problemi. Anche il mio visto scade il 26.” Intanto mi sta sorgendo un sospetto.
“Voli anche tu con la Thai Smile?”, aggiunge lui.
“Sì, e mi risulta che ci sia solo un volo quel giorno lì, alle 13.” Ebbene sì, ho incontrato un solo escursionista sul trekking dei tre passi, e saremo sullo stesso aereo per Bangkok. Incredibile.
Scendiamo insieme, mentre anche oggi cerco di trattenermi dallo straparlare perché trovare qualcuno che parli fluentemente l’inglese è un fatto raro in questo viaggio. Ho tante di quelle riflessioni da condividere che le telefonate in Italia non bastano mai. Poco prima del lago ci separiamo, lui va a cercare una grotta sacra e io torno a prendere lo zaino, deciso a valicare Renjo La in giornata. Mentre mi riprendo dalla prima tappa di oggi, mi spalmo la crema solare e preparo la colazione. Per scavalcare le montagne serviranno tutti gli zuccheri contenuti nel muesli avanzato, come il bussolotto giallo di Ritorno al Futuro. Si vede già da qui che la salita si impenna improvvisamente, a metà strada. Costeggio il lago, mentre il muesli si ammorbidisce nel latte. È da giorni che aspetto questa salita perché il muesli nel latte è il meglio che porto con me, se escludiamo il formaggio. Il pranzo con vista sul lago turchese è spettacolare.
Ora che ho fatto rifornimento non posso fallire, infatti mi allontano inesorabilmente da Gokyo, una macchia rossa in riva all’azzurro. Il sentiero sale a tornanti corti e stretti, decine di curve per raggiungere una piattaforma su cui era posato in ghiacciaio di questa valle. Ora al suo posto c’è una fila di ometti, che scrutano il vuoto. Devo specificare che il ghiacciaio c’è ancora, ma è ridotto ad un ghiacciolo? No, non ce n’è bisogno ormai, meglio concentrarsi sulla varietà di piante che stanno colonizzando via via la superficie che si è scoperta. Molte di queste hanno le foglie piccole piccole e ricoperte di peluria, che aiuta a non cuocere d’estate e a non gelare prima che cada la neve. Dato che in questo mese piove, il circo glaciale è pieno di fiori e non capisco proprio perché il mese di luglio sia così sconsigliato. Continuo a inginocchiarmi per completare le foto dell’erbario, ma è bene muoversi perché qua in cima il cielo è coperto e non è il caso di attardarsi. Ormai ho assunto una certa mentalità sherpa e accetto le salite senza considerare affatto la salita nella sua interezza, perché qui in Nepal è facile che il dislivello giornaliero abbia quattro cifre. Non si può misurare ad ogni sosta la distanza dalla meta, ma conviene mettere un piede avanti all’altro e aspettare di arrivare. Fai un paio di tornanti, riprendi fiato un momento, riparti e stringi i denti per altri cento passi. Essendo piegato in due dal carico, non vedi quasi mai quanto è lontana la cima della salita. Non serve tenerla d’occhio, tanto non va da nessuna parte e resta comunque troppo lontana per poterla raggiungere con tutto il carico. Eppure a un certo punto, con sorpresa, te la ritrovi sotto i piedi.
È così che arrivo su Renjo La, sommerso dalle bandierine e dalla nebbia. Ho continuato a sperare di vedere un leopardo, ma ho trovato solo sassi. Mi consolo perché sono sassi interessanti e il tipo di roccia cambia continuamente. Ieri ad esempio non sono riuscito a mostrare a Chung Yang lo gneiss color antracite con gli occhi bianchi, perché sul versante Ovest di Cho La è sparito. Al suo posto c’erano rocce sedimentarie dalle righe multicolori, deformate secondo geometrie impensabili. Una roccia a strati paralleli portava al centro una N, formatasi a causa di uno slittamento di alcuni strati parzialmente fusi. Non è che assomigliava a una enne, erano tre strati piegati a spigolo vivo, la cui deformazione non ha interessato in alcun modo gli strati adiacenti, paralleli, perfetti e disposti in verticale. Poco oltre abbiamo trovato un altro caso bislacco, con un sottile strato chiaro che si è arricciato come carta crespa, immerso in una matrice più scura. Laggiù nelle viscere della crosta terrestre avvengono modificazioni surreali e di dubbia origine naturale. Sono solo pietre, ma sanno essere interessanti.
A casa ho un mucchio di pietre e cristalli interessanti, che sono belli ma mi incurvano il ripiano dell’armadio. Non mi sembra il caso di aggravare il problema e come ho già spiegato rocce e conchiglie stanno meglio lì dove si trovano, secondo me. Tuttavia vengo da una famiglia di raccoglitori non cacciatori, in particolare la mamma e la Sofia, che sicuramente mi chiederanno se per caso gli ho portato un sassolino dell’Himalaya. Quindi niente, trovo una cartaccia in cima al passo e la uso per avvolgere le tre pietre raccolte sulle montagne. Una è verde a strati e rappresenta il tempo in cui si sono formate queste montagne portentose. Un’altra è bianco azzurra ed è forse l’unico pezzetto biancoazzurro che sopravviverà allo scioglimento dei ghiacciai. La terza è bianca con dei pezzetti neri e rappresenta la mia tremenda voglia di gelato.
Raccolgo anche una buona quantità di pattume, così Chung Yang completerà l’opera quando passerà domani mattina. Davanti a me c’è solo discesa per 25 chilometri e l’obiettivo di oggi è completare due tappe e scendere sotto alla quota di 4500m, dove sono coperto dall’assicurazione di viaggio. Negli ultimi 60 chilometri non ho fatto niente di più pericoloso di camminare ed è andato tutto liscio. Se dura per altri mille metri verticali, la missione è compiuta.
Il sentiero è fatto di grosse pietre disposte a gradini e scende rapidamente dal passo, attraversando le nuvole. Non si vedo niente a parte i pochi metri di sassaia attorno a me, così per passare il tempo recito qualche rosario e qualche canto di Dante. È anche un modo per restare concentrato, mi pare che funzioni. Due ore dopo scendo sotto alle nuvole e trovo la prima sorgente, così mi fermo a preparare il rancio e a levarmi uno strato di vestiti. Intanto che sgranocchio il riso tostato, salta fuori un pika. Non sta brucando l’erba, ma è venuto a leccare la malta del cestino dei rifiuti in muratura. Il sale è troppo buono per allontanarsi così presto, perciò ho tutto il tempo di fare un video da vicino. A chiamarlo “Pi-ka-chu” si gira, quindi direi che la mia ipotesi è confermata, è un pikachu selvatico. 4800 metri, giù!
Dopo ore di discesa passo i 4500 metri, passo anche Lungdhen e continuo per la terza tappa di oggi, tanto è tutta discesa! È qui che il bastone mostra tutto il proprio valore, scaricando buona parte dei miei 90 chili. Attraverso enormi prati e costeggio laghetti abitati da alcune oche, tratti sabbiosi e pile di pietre, passando anche Marulung e Tarangar.
Mi affianca Pemba, che ha 28 anni e sta conducendo quattro yak lungo il sentiero. È sposato e gli è appena nato un figlio, che tra qualche anno andrà a scuola a Namche. Non è facile vivere quassù con i prezzi che ci sono, un litro di benzina si paga addirittura quattro euro e mezzo. Meglio fare tutto a mano ed essere parsimoniosi con l’elettricità. Io lo seguo al trotto mentre lui cammina spedito per cercare di raggiungere uno yak allo sbando. Lo guida facendogli piovere intorno una gragnuola di pietre, ma quello se ne infischia e così ci separiamo.
Le nuvole sono cupe e minacciano pioggia, mentre le mie spalle iniziano a dare chiedere di fermarsi. Ormai sono sotto a 4000 metri, ma non ho intenzione di fermarmi finché non trovo due alberi, sono stufo di dormire per terra. Ormai sto galoppando per riuscire nel mio intento. Finalmente giungo in vista di Thame e dei primi ginepri, seguiti poco dopo dal primo boschetto della valle. Non è semplice trovare due alberi abbastanza solidi da reggermi, ma legandoli in serie ottengo un sostegno sufficiente.
La temperatura notturna quaggiù è piacevolissima e posso permettermi di lasciare da parte parecchi vestiti.

1 commento su “Giorno 16 – Coincidenze? Io non credo”

  1. Come sai bene… anch’io alle coincidenze non ci credo!
    Come qualche settimana fa:
    ho acceso la televisione e stavano trasmettendo un documentario sulla nascita delle tartarughe di mare. Bene, ho saputo dopo che proprio quel giorno tu, in Malesia, eri su una spiaggia a vedere nascere le tartarughe di mare!!!!!
    Coincidenza???!!!!!

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