Mi scuso per i mesi e mesi di silenzio stampa, sono ancora vivo e vegeto. Mi trovo alle Fiji, nel corso della traversata dell’oceano Pacifico. Ho ripreso a scrivere dal momento della partenza dalla Nuova Zelanda.
Mi ricordo di aver letto un vecchio giornale di bordo in cui i giorni erano scanditi da mezzogiorno a mezzogiorno del giorno successivo. L’autore era nientemeno che James Cook, diceva che per mare si usa fare così. O forse si usava nel diciottesimo secolo, noi a bordo della barca voltiamo pagina ogni volta che finisce lo spazio. Il metodo da mezzogiorno a mezzogiorno mi è sembrata un’idea interessante e ho deciso di provare, anche perché questa nuova avventura è iniziata proprio a mezzogiorno, martedì otto agosto.
Martedì 08/08/2023 Opua (New Zealand)
È quasi mezzogiorno e sulla banchina si è riunito un sostanzioso comitato di addio, per omaggiare la partenza di Valiant e del suo equipaggio. Charlotte, il capitano, abbraccia tutti quanti, mentre noialtri mettiamo da parte in cambusa I regali ricevuti, cioè le bottiglie di spumante, miele, e formaggio affumicato. È tutto pronto, molliamo gli ormeggi di prua, molliamo gli ormeggi di poppa e la barca descrive un semicerchio all’indietro, nelle acque placide del porto. Motore avanti, piano, mentre tutti ci salutano dalla banchina e ci gridano buona fortuna. È come quando si vedono quei servizi in televisione che parlano deglli equipaggi in partenza per il giro del mondo o qualche altra grande impresa. Però questa volta è diverso, siamo noi quelli in piedi sul ponte, con il giubbotto rosso. Siamo noi quelli che partono per un grande viaggio, che come sempre inizia da zero. Li per lì non sembra neanche un granché questo primo passo verso la nostra meta, ma è sicuramente il più importante degli ultimi dieci mesi della vita di Charlotte e forse di tutti noi. Questo nuovo capitolo di vita si intitola Traversata del Pacifico. Suona bene, come un’impresa d’altri tempi. Superato il brivido di questo momento di epifania, mi guardo attorno con un mezzo sorriso sulle labbra: forse questa volta partiamo davvero, ce l’abbiamo fatta.
Navighiamo attraverso il labirinto dei pontili, riponiamo I parabordi e addugliamo le cime d’ormeggio. Siamo partiti a mezzogiorno, da qualche parte nel mondo è ancora il mio compleanno.
Proseguiamo a motore per un buon tratto, sfilando davanti al porto di Russel, dove era ormeggiata Valiant fino a dieci mesi fa e da dove potrebbe sbucare la barca del nostro acerrimo nemico, che potrebbe tentare un gesto disperato.
Appena ci lasciamo a dritta il promontorio di Russel, Charlotte dà ordine di issare la randa, per sfruttare la brezza proveniente dalle colline alle nostre spalle. Davanti a noi c’è lo scoglio Tikitiki, un triangolo di basalto che da qui sembra una grossa pinna di squalo. Lo scoglio sta di guardia all’estremità Nordovest della baia delle Isole.
La brezza rinfresca fino a 12 nodi, così spegniamo il motore e srotoliamo il grande genoa. Due ore dopo la partenza, abbiamo lo scoglio Tikitiki a sinistra e passiamo l’ingresso della baia, tra capo Wiwiki e capo Brett. Ora sì che facciamo sul serio, perché il vento aumenta ancora, le onde aumentano, davanti a noi c’è solo acqua e Aotearoa si rimpicciolisce di momento in momento. Signore e signori, stiamo navigando sull’oceano.
Passo al timone, filando otto nodi al lasco mentre Valiant inizia a ballare la rumba. Riceviamo le onde al giardinetto, tre metri di onde corte e fastidiose che in un batter d’occhio mandano al tappeto sia Magali (Si pronuncia Magalí alla francese) sia Ernests. Mag esce a vomitare fuoribordo, mentre Ernests è chiuso in bagno da un’ora. Ogni venti minuti Charlotte controlla ogni venti minuti che sia ancora vivo. Già il nostro capitano è là sotto da quando siamo partiti, intento a consultare le carte, il vento, i giri del motore eccetera eccetera eccetera. Dopo tanti anni di vita di mare, non batte ciglio per delle ridicole increspature di due metri, l’oceano oggi è calmo. Davanti a Valiant c’è solo acqua blu, fino all’orizzonte e anche oltre, per almeno mille miglia. Anche a destra e a sinistra si vede solo l’oceano, che ci scorre accanto sotto la spinta di questo vento gagliardo. Rimango al timone qualche ora, con addosso questo giaccone rosso con il collo altissimo, che copre la faccia fino al naso. Sembra proprio di essere uno di quegli equipaggi che navigano sotto i cieli nuvolosi dei mari del Sud. Continuo a canticchiare per ore “Frei wie der Wind”, mentre ammiro estasiato questo spettacolo incredibile.
Alle sei tramonta il sole e inizia il turno del capitano. Prima del buio, prendiamo due mani di terzaroli sulla randa, per sicurezza. Raphaël e io scendiamo sottocoperta a riposare. Mangerei volentieri qualcosa, ma il semplice gesto di levarmi i calzari e la giacca mi fa passare qualsiasi appetito. L’unica posizione sicura è quella orizzontale.
Quattro ore dopo sono di nuovo in pozzetto, per tenere compagnia a Raphaël durante il turno di vedetta. L’oceano si sta placando, le onde sono meno alte di quando siamo partiti. Ciononostante, la manciata di uva passa che ho ingurgitato prima di salire in coperta non è facile da digerire.
Nei turni di notte dobbiamo soltanto osservare l’orizzonte tutto intorno in cerca di navi, perché teniamo acceso il timone automatico. Non sono proprio sveglio, mi sveglio solo di tanto in tanto e sostanzialmente faccio presenza. Il cielo è quasi completamente coperto, perciò di notte non ci si vede un accidente. Gli unici ad avere un’idea di dove stiamo andando sono il capitano e la bussola.
Giunto il mio turno, sale in pozzetto Charlotte per controllare che vada tutto bene e per stare di guardia insieme a me. All’improvviso, sbuca dal tambuccio la testa bionda e riccioluta di mastro Ernests, pronto a compiere il proprio dovere. Si è già ripreso, evviva!
Nonostante gli strati di giacche e pantaloni lunghi, in pozzetto fa freschetto e ciascuno trova rifugio nel proprio spigolo preferito. La sonno si è dissipata allo scoccare delle tre di notte, così passiamo tre ore molto interessanti a fissare il buio, qualche stella solitaria e la strumentazione di bordo, che indica la direzione del vento, la velocità della barca e la direzione di bussola. È terribile non poter timonare neanche un pochino, mi tocca guardare il pilota automatico che manovra senza posa la ruota del timone. Come se non bastasse, il timone automatico consuma parecchia energia, perciò domani dovremo già accendere il motore per ricaricare le batterie di bordo. Abbiamo fatto bene a ridurre le vele, perché il vento sta aumentando. Io invece sono un somaro perché mi sono dimenticato di recuperare la bandiera pirata. Al tramonto era ancora lassù sulle prime crocette, fiera e sventolante, ma fissata malamente con due pezzetti di un ramoscello verde. Doveva essere solo una prova, invece alla fine il capitano ha apprezzato e la bandiera è rimasta là. Spero che abbia resistito.
Inizia a piovviginare, il vento rinfresca ancora e tocca i 30 nodi. Sopra a 35 nodi si parla di burrasca, non ci siamo molto lontani. Per fortuna si tratta solo di un groppo, cioè un temporale solitario e passeggero. Alle tre Ernests e io torniamo a dormire, lasciando Charlotte di guardia fino all’alba, che è il suo turno preferito.
Alle dieci è già giorno e abbiamo definitivamente perso di vista Aotearoa, l’isola della lunga nuvola bianca. Siamo anche in acque internazionali, perché siamo così distanti dalla terraferma da essere usciti dalla zona economica della Nuova Zelanda, a duecentoventi miglia dalla costa.
La mattina di questo secondo giorno è nuvolosa, riapriamo il grande genoa e seguiamo il vento, che ci impone di deviare verso Nordovest. È incredibile essere circondati da questo orizzonte piatto e blu, con davanti mille miglia di acqua, solo acqua. Timonare così è spettacolare, è faticoso al punto che tre ore sono sufficienti per averne abbastanza. Dal canto suo, Charlotte una volta è stata al timone per dieci ore di fila, senza battere ciglio.
Di tanto in tanto il vuoto blu intorno a noi si anima con un uccello marino che passa a farci visita. A volte è una sula, a volte un petrello, o addirittura un piccolo albatro. Piccolo significa che non è un albatro urlatore e ha un’apertura alare di solo due metri. È meraviglioso vederlo volteggiare sfiorando le onde, con quelle ali sottili e sproporzionatamente lunghe. Lui sì che è a proprio agio in questo ambiente così freddo, desolato e blu. Sono estasiato, è come essere dentro i miei libri preferiti.
Dai tuoi racconti deduco che tu ti sia già innamorato dell’andar per mare!
Buon Vento a tutto l’equipaggio e a Riccardo!
Grazie mille, ci servirà alla grande per la prossima traversata verso l’America.
Ciao. Mi chiamo Stefania e… ero in classe con tua mamma, al liceo.
Poco fa ci siamo telefonate, facendo una chiacchierata. Non ci sentivamo da un bel po’, diciamo almeno due o tre anni. Mentre mi raccontava di questa tua incredibile avventura intorno al mondo, non smettevo di dirle quanto sia fantastico quello che stai facendo. È il sogno (uno dei, in verità) che avevo da ragazzina e che non si è mai realizzato. Soprattutto la navigazione in barca a vela mi affascina, da quando quattordicenne sono salita su uno scalcinato peschereccio. Lo schiocco della vela e il silenzio che è seguito, rotto solo dal fruscio delle onde contro lo scafo, è stato amore immediato.
Quindi credo che seguirò le tue imprese avventurose con grande interesse e, se me lo permetterai, mi piacerebbe dialogare conte, di tanto in tanto.
Che il soffio di Eolo (non quello dei nani…) ti sia propizio e Poseidone plachi le onde.
A presto!
Deve essere stata un’esperienza veramente toccante se ti è rimasta scolpita nella memoria così bene. La descrizione è meravigliosa.
Grazie degli auguri, qui a bordo ne abbiamo bisogno.
In effetti le scuse per averci lasciati a bocca asciutta per tutto questo tempo, ci stanno tutte. Ma dopo poche parole ci si riimmerge in questo, per noi lettori, mondo immaginario. Solo dopo essere riemersi, si realizza che è la Tua realtà. Una sana invidia mi pervade e ricomincio a leggere. “Normali” parole, presenti nel vocabolario, assemblate e trarformate dalla passione in poesia. Questo sono i tuoi racconti! Saperti protagonista delle storie dei tuoi libri preferiti è un’immagine bellissima (non vedo più cosa sto scrivendo).