Finalmente una buona storia da raccontare

Lezione di ieri: uscire dalle grandi città richiede pazienza e un’attenta pianificazione.

Sabato 13/11/2021 7:26 – Idliža (Bosnia e Erzegovina)

Pur avendo rinunciato alla casetta, appeso qui tra il melo e il ciliegio ho dormito veramente bene. In questo spineto di prugnoli e biancospini non tira un filo d’aria e si dorme bene anche con 2°C.
Mentre raccolgo le mie cose inizio una telefonata con Manuel per sapere se conosce qualcuno che possa ospitare Hugo in zona Venezia (Hugo era il viaggiatore portoghese incontrato a Rijeka).
Torno sul viale per fare il bis dell’abbondante cena di ieri e partire con la pancia piena e lo zaino leggero.

10:40

Finita la colazione con calma, finisco la telefonata con Manuel. Non lo vedo da quasi due anni e stiamo al telefono per un’ora e mezza mentre raggiungo il punto di partenza studiato ieri sera sulla mappa.
Manuel ha studiato biologia e poi ecologia con me ed è appassionato di cinema. Vorrebbe fare riprese per i documentari, ma al momento è riuscito a entrare nel mondo del cinema come addetto ai tamponi per il covid. È arrivato a un soffio dal seguire la troupe durante le riprese in Nepal, ma alla fine è stato lasciato a Milano. Oltre a questo, scrive per un giornale online fondato da un nostro comune amico, che tratta di energie rinnovabili (fontidienergiarinnovabile.it).
Ci salutiamo perché altrimenti rimango qui fino a sera. In un attimo trovo un passaggio fino a Raskršće, in macchina con Ismirni e Ismirvi (o qualcosa del genere). Il primo è il padre, di 32 anni, e il secondo è il figlio, che ne avrà più o meno sette. La famiglia di Ismirni è fuggita in Germania durante la guerra, per poi tornare in Bosnia. Lui non ricorda quasi niente perché era molto piccolo all’epoca. Si è fermato perché anche lui quando era più giovane ha viaggiato in autostop, girando la Bosnia e alcuni paesi vicini.
Mi lascia in un buon posto per trovare il mio prossimo autista, sulla strada che porta a Tarčin, che è la mia destinazione successiva.
L’influsso della città rende le persone affrettate o diffidenti e ci vuole un po’ perché qualcuno si fermi.
Dopo una mezz’ora, prima di aver capito come si pronuncia il nome di questo posto, accosta Izmar, di circa cinquant’anni, che sta andando verso Tarčin, ma mi porterà fino a metà strada perché intende svoltare prima. In questi sette chilometri in cui parliamo un po’ di bosniaco e un po’ di inglese scopro che il suo lavoro ha a che fare con “business” e “politics”.
Non è tanto chiaro. Comunque nel frattempo ha deciso di accompagnarmi fino a Tarčin, quindi grazie mille buon Izmar, sono già sulla strada per Konjic (si pronuncia cogniz).
Le macchine si sono fatte più rade, ma non passa molto e accosta Salko. Si vede che è uno sportivo, infatti lavora come istruttore di rafting e di escursioni fluviali a Konjic. Una volta è sceso in kayak lungo il fiume Neretva da Glavatičevo a Konjic. Gli piace il suo lavoro, ma dice ridendo che capita fin troppo spesso che i turisti vogliano andare a fare un giro in canoa lungo il fiume solo per fare un po’ di foto. Di punto in bianco si stancano e tocca a lui pagaiare per entrambi fino al punto di partenza. Lungo la via incontriamo la solita fila interminabile di venditori di miele, di cavoli e di mandarini. Gli parlo un po’ delle mie impressioni sulla carenza di posti di lavoro in Croazia e in Bosnia e lui mi dice che in effetti le opportunità sono poche e l’ottanta per cento dei bosniaci non si può permettere una vacanza in Italia, ad esempio. Lui stesso non ci è mai stato. Aggiunge anche le sue preoccupazioni per l’unità del paese, visto che ultimamente la divisione tra i gruppi al governo si sta accentuando.
Riprendiamo il discorso parlando di viaggi e di questo mio viaggio intorno al mondo. Non gli viene in mente il termine in inglese e me lo dice in bosniaco: tu sei un bogat čovek (la č è dolce). Un uomo ricco. Ma non nel senso dei soldi, ovviamente. Si complimenta e aggiunge che, anche se non viaggia, anche lui è un bogat čovek, perché ha una moglie e un figlio.
Mi fa scendere alla fine di Konjic, di fronte a un fruttivendolo, attraversa la strada e insiste a chiedermi che frutta voglio. Alla fine mi lascia quattro mele biologiche e un caloroso saluto.
Saluto il buon Salko e finalmente giro il cartello dal lato rosso “Mostar”.

15:40

In breve, inaspettatamente, si ferma un furgone arancione cassonato, guidato da un uomo che chiameremo Edo, perché mi ricordo solo che ha un nome corto che inizia per E. Mi sono dimenticato di chiederglielo di nuovo prima di scendere e da allora ho iniziato a scrivere i nomi di tutti.
Edo ha più o meno settant’anni, è nonno e lavora nell’edilizia, come si può intuire dal suo furgone sgangherato e polveroso. Sui sedili posteriori c’è una cassetta degli attrezzi, una prolunga e molte altre cose che non mi prendo la briga di esaminare.
Il furgone è quasi in buono stato: c’è la portiera, ma non c’è il rivestimento interno, c’è la cintura di sicurezza, ma non c’è il gancio.
Sul cruscotto c’è un amplificatore tenuto collegato alla radio, in cui è inserita una chiavetta usb. Il lettore mp3 funziona nonostante la polvere mentre l’amplificatore ha avuto bisogno di manutenzione ed è stato ricomposto con il nastro isolante.
Edo non parla una parola di inglese, ma non so come riesco a capirlo ugualmente, un po’ per la mimica e un po’ perché usa alcune parole che conosco nei momenti giusti e intuisco il senso delle frasi. Percorriamo un lago lungo il fiume Neretva che è coperto per metà di detriti vegetali e bottiglie di plastica, quindi gli chiedo se è sporco a causa dell’alluvione dei giorni scorsi. “Ohhh, katastrof!” risponde lui. Prima il lago era bello e pulito, ora ci vorrà molto tempo prima che questa sporcizia se ne vada. Ci sono due dighe tra Konjic e Mostar e lì tutti questi detriti galleggianti si stanno lentamente ammassando. Nel frattempo la compilation di Edo è arrivata al coro da stadio della squadra di calcio di Mostar.
Superiamo un autovelox, Edo rallenta ridendo e mi fa capire che deve starci molto attento, indicando il tachimetro. In effetti la lancetta non dà segni di vita e giace accasciata sullo zero.
Al termine del lago, la valle si stringe tra due alte pareti di roccia bianca, striata di nero come un quaderno a righe. Procediamo così per chilometri, finché i versanti si allargano in un’ampia valle e finalmente arriviamo a Mostar.

16:45

Scendo e nei pochi minuti di luce che restano raggiungo il centro storico, passando accanto ad alcuni edifici con l’intonaco esterno martoriato dalla guerra.
Per prima cosa controllo che all’ostello Dada ci sia posto, e trovo la proprietaria intenta a raccogliere i kiwi dalla pergola sopra l’ingresso. È una signora energica, ha i capelli corti corti, bianchi, e probabilmente è già nonna. Le offro il mio aiuto, ma dice che ha finito e che sta dando una borsina di kiwi a tutti gli ospiti in partenza. Come avevo letto, per sei euro qui si può avere un letto e anche la colazione. Incredibile.
Le dico che mi fermerò per una notte o forse due e che preferisco portare con me lo zaino, ripasserò più tardi.
Torno in centro, che è fatto di pietra dal selciato alle tegole, e percorro la stradina principale, fatta di ciottoli tondi incastonati nel cemento. Un modo per bandire in maniera ufficiosa l’uso delle scarpe col tacco.
Passo sullo scivolosissimo Stari most, il ponte vecchio, e vengo subito notato da un cane nero focato, di media taglia, che inizia ad abbaiare. Salgo una scala che porta al club dei tuffatori e il cane mi segue, ma da come mi cerca capisco che ci vede proprio poco. Capisce che non ho intenzione di scendere perché sto facendo delle foto e se ne va. Qualcosa del mio odore evidentemente non gli va a genio, perché ogni volta che ripasserò sul ponte nei giorni successivi lui tornerà ad abbaiare a me, come se nella città non ci fosse nessun altro. Per chi fosse già giunto a conclusioni affrettate, ho le prove che questo cane esiste davvero, non è una mia proiezione mentale.
Ho contattato su Couchsurfing un mostarese di nome Antun, che forse sarà disponibile per una chiacchierata dopo il lavoro. Per oggi sono già successe abbastanza cose, quindi mi siedo su una panchina dove arriva la musica del bar di fronte. Mi tolgo scarpe e calze e mi metto a scrivere.
Non è facile non fare succedere niente quando si è in viaggio, spesso gli incontri ti vengono a cercare senza il tuo consenso e da un incontro nasce un’intera commedia teatrale, basata sull’improvvisazione. È in questo modo che conosco Antonio e Jasmin, una coppia tedesca della mia età.

19:00

Atto I – Due viaggiatori in difficoltà
Arriva nella piazzetta una giovane coppia e chiede in inglese maccheronico “Ciao, scusa, parli tedesco?” “Boh, sì diciamo che un po’ lo capisco.” Sono viaggiatori anche loro e chiedono aiuto perché hanno avuto un problema con la macchina. Sarà vero, non sarà vero? Vediamo.
Sono arrivati dal Montenegro e pensavano di rientrare a Berlino, ma si sono appena resi conto di essere quasi rimasti a piedi. O qualcosa del genere. Hanno 26 e 24 anni, lui ha studiato medicina e lei infermieristica.
La macchina non è parcheggiata nei sobborghi di Mostar, è lì a cinquanta metri. È una Golf rossa con targa tedesca, BAR-qualcosa.
Hanno bisogno di una torcia, quindi tiro fuori la mia. Antonio fa per prenderla, ma può benissimo muovere la mia mano per guardare dentro. No, niente da fare, gliela lascio e lui dà un’occhiata sotto al cofano. C’è un problema con una ventola e in più hanno perso quasi tutto l’olio. È difficile spiegarlo in tedesco, quindi accende la macchina per mostrarmi sul contagiri che il motore in folle non resta acceso. “Understand?” (Capisci?) è una delle poche parole che sa in inglese e la userà un’infinità di volte durante la serata, alla fine di ognuno dei suoi discorsi in tedesco.
Hanno bisogno di comprare dell’olio e non possono perché negli ultimi giorni hanno fatto acquisti senza considerare gli imprevisti e hanno raggiunto il limite della carta di credito.
Fanno una proposta: adesso andiamo a comprare l’olio così domani mi fanno un passaggio fino a Kotor e mi restituiscono il prestito. E una richiesta indecente, infatti possono offrire in garanzia passaporto, patente, telefono, qualsiasi cosa per levarsi da questo pasticcio.
In base alle condizioni della carta di credito, da domani potranno fare prelievi in Montenegro, ma non in Bosnia, forse perché là si usano gli euro. Non lo so, comunque sia il prelievo di contante lo faccio io e lo vedo se comprano davvero dell’olio o qualcos’altro. Affare fatto.
Naturalmente sono increduli, immagino di non essere il primo a cui chiedono una mano, anche se non ho idea di come chiederglielo. Antonio si spertica in baci e ringraziamenti e andiamo in macchina a cercare una stazione di servizio.
Mi offrono il posto davanti perché Jasmin è più piccola, ma mi piace viaggiare accanto al mio zaino e insisto per salire dietro. Partiamo un po’ a singhiozzo e usciamo dal centro storico. Per spiegarmi il da farsi Jasmin mi porge un telefono, dove Google traduttore cerca di farmi capire che l’olio ci serve anche per valutare l’entità del guasto. Il cellulare è impostato in lingua bosniaca, il che non ha nessun senso e chiedo spiegazioni. Sostengono che la lingua sia cambiata quando hanno comprato la nuova scheda SIM, o qualcosa di simile.

19:30

Atto II – La ricerca dell’olio
Ci immettiamo su una delle strade principali di Mostar e arriviamo in vista del primo distributore di benzina. Faticosamente metto insieme le parole per chiedergli se questo va bene, ma mi rispondono che ci hanno già guardato e non hanno l’olio, o qualcosa del genere. In effetti non si vede all’ingresso il solito scaffale con le taniche d’olio. Il distributore successivo può andare bene, scendiamo a controllare il prezzo e costa circa 18 marchi al litro. Mica male, pensavo che costasse decisamente meno. “Quanti litri ci servono?” “Sex oder sieben”, sei o sette. Totale 126 marchi. “Ce li puoi prestare? Domani poi te li restituisco in Montenegro” Non so, sono parecchi, ma se non è vero che cosa ci fanno poi con sette litri d’olio, una frittura di bulloni? “Va bene, d’accordo.” In fondo è da un mese che ricevo cortesie e aiuto dalle persone che incontro, è il momento di rendere il favore a chi ne ha bisogno.
Questo olio però non è quello giusto e in più non c’è un ATM in cui prelevare contante, quindi andiamo al distributore successivo e Antonio scende a controllare che olio c’è.
A posto, hanno la tipologia giusta e qui a cento metri c’è un centro commerciale in cui prelevare. Dopo aver parcheggiato davanti al supermercato, Antonio, Jasmin e io scendiamo a prelevare. No, meglio, Antonio, Jasmin, io e lo zaino scendiamo a prelevare. Lei torna indietro quasi subito perché effettivamente non serve e intanto io prelevo 130 marchi, esattamente l’importo che ho su una delle due carte, meno 80 centesimi. Perfetto.
Torniamo indietro per andare tutti e due a piedi al distributore, ma Antonio insiste per andare da solo, tanto fa in un attimo. Gli do i soldi, tanto rimango qui con Jasmin e la macchina, non è che lui possa scappare con il malloppo. Attraversa la strada e nel frattempo faccio due chiacchiere con Jasmin, esaurendo rapidamente quel pochino di inglese che sa.
In pochi minuti Antonio è di ritorno con una borsina di taniche d’olio. Ne ha comprate solo quattro perché questo olio costa 27 marchi al litro.
Serve qualcosa per rompere il sigillo ermetico sotto il tappo, tiro fuori il Victorinox e poi lo tengo in mano. Così, perché non si sa mai.
“Sai guidare?”, mi chiede Jasmin. “Sì, non penso di essermi dimenticato.”
Antonio solleva il cofano e io mi siedo alla guida, con l’incarico di accendere la macchina.
Con la chiave la portiera non si apre. Magari se la giro nel verso giusto è probabile che si apra. Mi siedo alla guida e per prima cosa pesto a fondo l’acceleratore e provo a girare la chiave. Niente.
Improvvisamente mi ricordo che forse il pedale della frizione è quello più a sinistra. Appurato che non mi ricordo più come si guida, riusciamo ad accendere la macchina e, mentre tengo il motore al minimo, Antonio versa l’olio nel serbatoio.
Spengo la macchina e controlliamo se effettivamente la perdita è qui. Sì, ed è anche bella grossa, c’è un lago qui sotto. Ci serve un meccanico.

20:00

Atto III – Il meccanico
Mentre ripartiamo in macchina in cerca di un meccanico, scrivo qualche messaggio ad Antun per aggiornarlo sugli ultimi sviluppi. Gli sembra un guasto un po’ strano e fa qualche battuta, ma in fin dei conti la perdita c’è ed è anche consistente, quindi mi indica il suo meccanico di fiducia. È qui vicino, quindi imposto il navigatore e porgo il telefono ad Antonio che è alla guida. Lo guarda perplesso e alla fine dice che non va bene, quello è un meccanico che va bene per le Audi, e questa è una Volkswagen. “Understand?” Antonio per una fortunata coincidenza ha un amico qui a Mostar che ci può dare una mano. “Sì, ma adesso dove stiamo andando?” Interviene Jasmin per spiegarmi che stiamo andando al McDonald’s perché c’è il wifi gratis e il loro telefono prende male. Mentre percorriamo una strada piena di insegne luminose di negozi vari, Antonio accenna ad un motel dove loro due hanno intenzione di dormire stanotte. Gli propongo di venire all’ostello, che ha un sacco di posto e sicuramente costa meno.
Nel frattempo abbiamo palesemente superato la destinazione e perciò torniamo indietro verso il centro. C’è pieno di macchine parcheggiate a casaccio, ma questi sono tedeschi e devono parcheggiare nei posti segnati.
Scendiamo io, Antonio e lo zaino, mentre Jasmin resta in macchina. Dobbiamo solo spiegare il problema a questo amico meccanico, poi ritorniamo alla macchina per fargli vedere in videochiamata di che guasto si tratta.
A quanto pare bisogna sostituire il serbatoio dell’olio e quella ventola che funziona male. Finita la telefonata in croato, Antonio mi fa un riassunto: il meccanico riesce a farci il lavoro domani e i pezzi costano 580 euro, ma vuole essere pagato subito. Non è molto rilevante ai fini della nostra comunicazione, ma quindi Antonio parla bosniaco? Dice che è figlio di padre turco e madre croata, o forse il contrario. Questo spiega perché non sembra per niente tedesco e perché il telefono è impostato in croato, che per me è indistinguibile dal bosniaco.
Qui l’intermediario diventa per forza google traduttore perché il discorso inizia a farsi complesso.
Torniamo al punto: “Quanti contanti abbiamo per pagare?” Neanche la metà dei soldi, rispondo io, ho solo 220 euro sull’altra carta. Per avere il resto bisognerà aspettare martedì, perché il bonifico per ricaricare le carte impiega due giorni lavorativi ad arrivare, non è istantaneo.
Per me è meglio, perché pensavo di restare a Mostar per due notti e avevo accettato malincuore questa partenza anticipata. Mentre abbozzo il bonifico, con causale “backpackers trust fund” (fondo compagni viaggiatori), viene elaborato un nuovo piano. Chiediamo all’amico meccanico se ci può venire incontro, lo paghiamo per metà domani e il resto dei soldi glielo daremo lunedì, così intanto lui inizia a riparare l’auto.
Rimontiamo in macchina e la gioia di Antonio è incontenibile, dice di nuovo che è come se Dio fosse sceso all’improvviso nella loro macchina per aiutarli, è sconvolto.
Adesso andiamo a prelevare, poi prendiamo un taxi e torniamo in centro.
“Non possiamo prelevare domani? Se il meccanico non accetta io mi ritrovo con un mucchio di marchi di cui non so che fare. E poi, francamente, da queste parti è probabile che si riesca a far aggiustare la macchina per molto meno.” Non capiscono, uso il traduttore.
No, il meccanico ha detto espressamente che i pezzi sono da cambiare e i contanti non si possono ritirare domani perché prima di fare questa proposta è meglio far vedere che abbiamo i soldi per pagare. “Understand?”
E sia, andiamo, tanto alla fine se i marchi me li tengo io nel portafoglio loro vanno poco lontano.
Prima di andare a prelevare dobbiamo fare un’altra telefonata per avvisare il meccanico, quindi torniamo al McDonald’s, scendiamo di nuovo dalla macchina per sederci un attimo ai tavoli. La mia mania di tenermi lo zaino appiccicato alla schiena ormai suscita ilarità, ma se in questi due minuti che siamo distratti qualcuno gli apre la macchina, sono io che mi ritrovo nei guai.
Nella videochiamata risponde una donna di mezza età perché, a quanto pare, il meccanico è uscito di casa e tornerà tra dieci minuti.
“Invece di tornare al McDonald’s, non potevamo usare il mio telefono, visto che io ho internet?” È vero non ci ha pensato. Gliel’ho detto anche prima, ma evidentemente nessuno dei due ha capito.
Visto che l’amico tarda a richiamare, con la macchina andiamo a prelevare i contanti.
“Ma che razza di amico è questo meccanico?” chiedo io. Sì in effetti concordano che non si è rivelato un granché come amico, ma al momento il problema è un altro.
Appena rientrati in macchina mi richiama il mio amico Bonni, il mio esperto di fiducia in arte e storia. Lo avevo chiamato prima per avere qualche informazione storico-artistica sulla città di Mostar. Dovete sapere che la sua passione per quello che studia è tale che si può ottenere una visita guidata di qualsiasi città storica semplicemente nominandola, anche da casa.
Gli racconto un po’ come sta andando e gli chiedo se magari ci possiamo risentire domani perché sto aiutando questi due viaggiatori tedeschi rimasti a piedi e che domani dovrebbero darmi un passaggio per Kotor. Nel frattempo i due tedeschi mi chiedono di riferire che “Gli piacciono gli italiani”. Ci salutiamo e Bonni si raccomanda di “non fare cagate”.

Atto IV – La trattativa

Andiamo a casaccio lungo la strada davanti al McDonald’s e troviamo un posto in cui prelevare, ma ci sono da pagare 8 marchi di commissione. Mi sembra un furto, quindi noi tre torniamo in macchina da Jasmin e cerchiamo un altro ATM. Questo è un drive-in di fianco a una stazione di servizio, ci parcheggiamo davanti e io scendo a prelevare. Speravo che l’Intesa Sanpaolo fosse più gentile, ma ci sono sette marchi di commissione invece di uno come al primo prelievo. Pazienza, provo a ritirare 440 marchi, ma sono troppi, 420 sono troppi e finalmente con 400 marchi esce il contante.
Torno in macchina e chiamiamo il meccanico, che ora è rientrato. A un certo punto della telefonata Antonio mi chiede i soldi per poterli mostrare a questa specie di amico, ma il meccanico sembra irremovibile. Antonio mi restituisce i soldi e gira il telefono verso di me chiedendomi di pregare il meccanico di farci questo favore e di accettare questi soldi come anticipo, abbiamo 220 marchi. Naturalmente non funziona, però ho anche qualche soldo in più, nel portafoglio mi sono avanzati trenta marchi e quindici euro. Più due monete da 5 marchi. Ripetiamo il passaggio di soldi un’altra volta per pregare di nuovo il meccanico, prima Antonio e poi io. Finalmente accetta.

21:30

Atto V – L’appuntamento
Comincia ad essere tardi e per oggi non c’è più niente da fare, suggerisco di tornare verso il centro.
Mi chiedono se l’ostello ha anche delle camere private. Io ho visto solo dei dormitori, ma l’ostello ha solo tre ospiti e quindi per loro sarà come essere in camera da soli. Non sono convinti e alla fine rifiutano la proposta, andiamo al motel così domattina il meccanico viene a prelevare l’auto e la porta in officina.
No, non se ne parla, io avevo deciso di dormire in ostello a Mostar e dormo in centro a Mostar. “Ma sei sicuro?” “Sì che sono sicuro, basta che mi lasciate vicino al centro.”
Al mio ennesimo rifiuto a seguirli, Antonio fa inversione e nel frattempo Jasmin mi passa il telefono per dargli il mio numero. Lo controllo un paio di volte perché non so a memoria il numero della mia SIM bosniaca.
Ci incontriamo domani a mezzogiorno.
A posto, siamo quasi arrivati e mentre Antonio rallenta per fare di nuovo inversione e accostare, l’auto inizia a dare segni di spegnimento e si è anche accesa la spia dell’olio. Mi fanno scendere in fretta, prendo zaino, bastone e cappello e ripartono verso il motel. “Mandatemi la posizione!” Jasmin non capisce, è vero che non capisce l’inglese. “Mandate posizione dove noi incontrare.” “Ok!”

21:30

Scena finale
Sono lungo una strada principale in mezzo a due cimiteri musulmani, da che parte è il centro? Qui vicino, ci si arriva in dieci minuti.
Scrivo ad Antun per informarlo che ho lasciato i tedeschi e lui risponde che è disponibile per incontrarci domattina al bar a fare due chiacchiere per conoscerci. Stupidamente non mi sono fatto dare il numero da Jasmin, e lei non mi ha ancora mandato nessun messaggio.
Vado direttamente all’ostello perché sono quasi le dieci e sono un po’ stanchino.
Arrivo, mi apre la nonna e mi fa accomodare al piano di sopra insieme in stanza con gli altri due ospiti poi scendo di nuovo dalle scale ripide della casa per pagare la prima notte, solo dodici marchi.
Non ci posso credere. Una sinapsi ostruita scarica un fulmine attraverso la corteccia prefrontale e vengo assalito da un presentimento che di fatto è già una certezza, ma ammetterlo subito sarebbe un colpo troppo duro ed è meglio andare per gradi.
Tu che leggi e che sei più intelligente di me sicuramente ti sei già rovinato il finale a sorpresa. Come sai, il portafoglio è vuoto.
O meglio, ci sono i documenti, le carte, un marco in monetine e due euro e un centesimo. Dietro il portafoglio ci sono io che dovrei spiegare quello che è appena successo in più di due ore a una nonna che probabilmente sa tutto l’inglese che basta per accogliere gli ospiti, presentare la casa e concordare i pagamenti. Tra l’altro la mia non è una certezza, è solo la conclusione più logica dopo ciò che è accaduto, magari mi chiamano davvero.
Mi siedo un attimo lì accanto, mi passo le mani sulla faccia e le dico qualcosa riguardo a due tedeschi che mi hanno chiesto di aiutarli e io gli ho dato tutti i soldi che avevo, ma probabilmente stavano solo fingendo. Ero sicuro di avere i soldi con me, ma dopo tutto il passamano se li sono tenuti loro. Per sicurezza aggiungo che penso che mi abbiano derubato, spero che almeno questo venga compreso.
Sicuramente ho parlato troppo in fretta e sono quasi sicuro che non sappia cosa vuol dire “pretending”, che era una parola fondamentale.
Probabilmente devo aspettare che mi arrivi il bonifico e potrò pagare lunedì.
Di tutto questo discorso avrà capito poco più che le ultime due parole, ma per ora basta e mi dice che non c’è problema, non devo pagare subito.
Sollevato faccio le scale e mi preparo a incontrare il mio compagno di stanza che è già rientrato. Non mi sembra il caso di rivangare subito quello che ho appena passato, ed è meglio distrarmi.
Ha trent’anni, si chiama Moon, che già è un nome bellissimo ed è coreano. Specifica che è sudcoreano, naturalmente. Io ne so poco di tratti facciali mongoloidi, ma lui ha la faccia del cantante dei The HU, un gruppo metal della Mongolia.
A parte questo, ha un grosso zaino e una borsina con almeno tre chili di kiwi.
Parla inglese con una certa fatica, ma superate le prime frasi capisco che le R sono quasi tutte L, le F sono tutte P, la V sembra una B e LT diventa una specie di R. Da cui “prend” per dire amico e “dipicher” per dire difficile. L’espressione più ricorrente è qualcosa che sembra “cobid people” (persone covid), ma in realtà vuol dire “covid before”(covid prima). Lo storpia talmente bene che da una frase all’altra non riesco a ricordarmi che cosa intende dire.
Sono stato fin troppo inclemente con Moon, che in realtà meriterebbe solo dei complimenti, ma la sua pronuncia è così buffa che non ho potuto fare a meno di riportare gli aspetti più divertenti. In realtà ammiro molto l’impegno che ha profuso nel farmi capire ogni cosa durante le nostre lunghe conversazioni.

Gli chiedo chi è il terzo ospite dell’ostello, ma non ne ha idea e non sa neanche il nome, lo ha solo visto sfrecciare varie volte dentro e fuori dalla stanza per prendere qualcosa sul proprio letto.
È appassionato di campeggio ed è un designer di oggetti da campeggio. Se capisco bene, ha anche una compagnia che vende questa attrezzatura ideata da lui, pazzesco.
Mi chiede se voglio dei kiwi perché sono già parecchio maturi e non riuscirà a mangiarli tutti. Adesso, no, magari facciamo a metà con quelli più acerbi che avrò lunedì.
A proposito di lunedì, è il caso di fare davvero il bonifico, considerando anche il pagamento del meccanico perché conviene sperare che domattina i tedeschi mi chiamino. In realtà non si può selezionare lunedì 15 come data valuta, domani non è un giorno lavorativo e i soldi non arriveranno prima di martedì. Questo significa che fino a lunedì ci sono 8 euro su una carta, meno le commissioni sul potenziale prelievo, più due euro e un marco nel portafoglio, che al massimo vanno bene per pagare due caffè.
Almeno l’ostello costa poco. Ho mezzo chilo di arachidi, mezzo litro di latte, due mele e due mandarini. Coprono esattamente il fabbisogno calorico di due giorni, senza contare le tre colazioni preparate dalla nonna.
Direi che c’è tutto, in fondo sono solo soldi e ho ancora tutto l’equipaggiamento con me, che è la cosa più importante.
Mi scrivo un appunto per concentrarmi su quello: “È tutta esperienza, dovresti essere grato di averla avuta, rifletti su questo.” Ora cominciamo a fare sul serio.
Potrei riempire un libro con le cose che avrei potuto fare per smascherare gli attori in tempo, ma non ho fatto nessuna di queste cose e ogni rimorso non serve a niente. Tutto quello che si può fare è accettarlo così com’è, scartare il brutto e tenere il buono. C’erano molti modi per subire un furto e questo è stato senz’altro quello più gentile. Subdolo, ma gentile, tanto che li ho pregati io stesso di accettare i soldi. Se trovo il capocomico gli chiedo se la prossima volta possiamo saltare questa scena.
Per il resto devo riconoscere che sono stati dei bravi attori, si vede che non è la prima volta che vanno in scena e hanno anche del talento. Forse non pagherei 385 euro per una commedia di due ore, ma il prezzo è questo, lasciare o lasciare. Sarebbe potuto costare il doppio se avessi avuto quasi tutti i soldi da dare al meccanico. Meno male che il processo scomodo che ho scelto per trasferire il denaro sulle carte mi protegge anche da me stesso.
Su su, basta pensarci perché non è il momento, non ho perso niente di essenziale e magari domattina si fanno vivi.

P.S.: lo so che me lo avevate detto tutti di stare attento e di non dare i soldi a nessuno eccetera eccetera, quindi se volete ricordarmi che me l’avevate detto dovete prendere il numero e mettervi in fila.

3 commenti su “Finalmente una buona storia da raccontare”

  1. Non so se mi sarei dimenticato di non avere i soldi in tasca (probabilmente si dopo una giornata come la tua) ma sicuramente avrei provato anche io ad aiutarli! Ed hai detto bene: tutta esperienza, non lasciare che questo episodio ti impedisca di fare altri atti di gentilezza!

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