Finalmente sto imparando una lingua

Tutti questi bar mi hanno dato alla testa, ho fatto confusione e ho raccontato ieri la serata di oggi.

Lezione di ieri: Sono in quella parte di mondo dove ogni persona che incontri ti offre un caffè.

Venerdì 26/12/2021 – Pejë (Kosovo)

Oggi facciamo le cose con più calma, ho un po’ di tempo per scrivere e Riçard arriva verso le dieci. Per scherzare gli chiedo quanti amici incontreremo stamattina e lui mi risponde che oggi non ha impegni, la giornata è dedicata a me.
Per iniziare, andiamo a prendere un caffè. Mi fa vedere un po’ di foto della sua famiglia e delle sue imprese di corsa eccetera eccetera. Gli è difficile contenere l’orgoglio per i suoi figli, che effettivamente hanno delle capacità atletiche ben superiori alla norma, imparano gli sport con uno schiocco di dita. Per esempio, tu compri a Julian un paio di sci e lo porti in cima alla pista per accompagnarlo nella discesa tenendolo per il cappuccio della giacca. Solo che lui a metà discesa chiede di lasciarlo andare e in cinque minuti ha già imparato a scendere da solo, curvare e fermarsi.
Domani si festeggia l’indipendenza bdel Kosovo e io, con un giorno di ritardo, mi rendo conto che ieri Riçard stava insegnando ad Alest a mettere le mani a forma di aquila a due teste perché è il simbolo dell’Albania. Non a caso Alest indossava un maglioncino rosso.
Andiamo un po’ in giro per le vie del centro e mi mostra la prestigiosa scuola di judo costruita in cima ad una collina accanto alla città, che recentemente ha ricevuto la visita della World Judo Federation.
Andiamo a fare un giro in macchina nel canyon del fiume Rugova, che ha scavato una stretta gola nella roccia calcarea, costellata di vie ferrate e cavità naturali. Scendiamo a dare un’occhiata appena prima che la strada inizi ad inerpicarsi su un versante, così possiamo scendere fino al corso d’acqua e saggiarne la temperatura. L’acqua a mio parere deve essere pochi gradi sopra lo zero, e infatti proviene dalle profondità della roccia calcarea qui intorno e più a monte. Riçard mi spiega che una volta, in estate, andava con i propri amici a fare il bagno in un punto più a valle dove c’è un laghetto di quest’acqua gelata. Il posto è spettacolare, di là dal torrente c’è un’altissima parete di roccia a strapiombo, dove si nota il punto di distacco di un macigno che è piombato quaggiù pochi anni fa. L’unico problema è che la zona è piena di confezioni di generi alimentari e bibite, seminati a pioggia dalla perizia dei kosovari.
Rientrando Riçard mi mostra quello che sembra un piccolo accampamento creato su un’isola circondata dal torrente. Ci abita un uomo che negli anni ha costruito un riparo per sé e vari punti di osservazione, prevalentemente con sassi e legno, aggiungendo infine parecchie bandiere degli Stati Uniti. Poco più avanti vediamo in alto sulla sinistra una piccola apertura con un arco a tutto sesto, dalla quale si accede all’interno della montagna. Qui la chiamano la Porta della Regina, perché è là dentro che veniva nascosta la regina in caso di attacco a questa regione. Naturalmente all’interno ci sono stanze e corridoi scavati nella roccia a partire da una grotta preesistente. Per chi conosce Tolkien, basta pensare alla porta di Durin a Erebor.
Uscendo dalla valle si passa accanto ad un lungo muro sormontato dal filo spinato, e la mia guida mi spiega che serve per evitare intrusioni nella zona di una chiesa ortodossa. In pratica questa antica chiesa cattolica è stata convertita a chiesa ortodossa prima della guerra, in modo da giustificare l’occupazione serba.
Davanti all’ufficio turistico ci aspetta Mentor, un amico di Riçard che fa la guida escursionistica e che ci saluta rapidamente perché tanto ci rivedremo stasera al bar Dio.
Finito il giro esplorativo, andiamo a pranzare con pane e cebapa, la versione locale del čevapčići che ho mangiato a Sarajevo.

14:20

Torniamo a casa e troviamo la famiglia riunita, manca solo il fratello di Riçard che abita a Prishtina e oggi siamo in dieci. Imparo una marea di parole chiedendo aiuto a destra e a manca, ormai riesco a mettere insieme qualche frase semplice anche senza traduttore. Alest continua a ripetere floke kaçurrela perché ho un sacco di capelli che secondo lui sono da tagliare. Col freddo che farà nei prossimi mesi non ci penso neanche perché fa freddo, është e ftohtë.
Passa così tutto il pomeriggio finché non arriva l’ora di uscire per tornare al bar Dio e incontrare Mentor, Sara, Eduard e Valentina. I primi due sono una coppia che si è conosciuta lavorando qui nella base militare italiana come interpreti e parlano un perfetto italiano. Valentina invece è la moglie di Edi, il piastrellista che ho incontrato ieri.
Durante le conversazioni in albanese cerco di capire qualche parola che conosco già e nel frattempo sorrido e annuisco. Sono così convincente che a un certo punto mi chiedono se sto capendo. “Neanche una parola.”
Parlo anche con Mentor e Sara, in italiano. Avendo vissuto a Firenze per un corso di formazione e lavorando a distanza con colleghi italiani, hanno qualche scelta lessicale toscana, ma non l’inflessione fiorentina. Ora Sara prepara le buste paga per varie aziende italiane. Mentor invece è appassionato di escursioni in montagna e va spesso sui monti del Kosovo e dei paesi limitrofi. Con il suo gruppo di amici montanari si lancia ogni volta in imprese più difficili e non vuole mai che Sara vada con lui. Lei vorrebbe e gli ha chiesto più volte di seguirlo, ma lui ogni volta non vuole. “Cambiamo argomento, vi piace il mare?”
È una bella serata, ci salutiamo e gli faccio scrivere una dedica sul cartoncino della birra Peja, che è abbastanza leggero da poter stare nello zaino senza problemi.
Dopo aver salutato tutti andiamo al bar Vanilla con Edi e qualche altro amico per raggiungere il numero minimo di caffè quotidiani.
Torno a casa, dove sono rimasti solo Martin e il televisore, e scrivo un po’ prima di dormire.

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