Filippopoli, la capitale della Tracia

Lezione di ieri: la calzamaglia è un toccasana per le contratture, forse ieri è stato il giorno in cui ho camminato di più in due mesi.
Mercoledì 15/12/2021 7:20 Sofia (Bulgaria)
Molto bene, meglio sbaraccare prima che il parco si popoli. Non ho staccato neanche un fino d’erba, ma magari qualcuno potrebbe offendersi se non sono passato a salutare prima di entrare.
Ora sono completamente fuori dalla città, infatti in cinque minuti trovo un passaggio diretto per Plovdiv. Nikolai sta andando a Stara Zagora per lavoro, si occupa di manutenzione di impianti elettrici. Si scusa perché il suo inglese non è un granché, ma non è male considerando che lo ha imparato semplicemente grazie al proprio lavoro. Non stiamo certo parlando di cavi e morsetti.
In poco più di cento chilometri il paesaggio inizia già a cambiare, attraversiamo una zona boscosa piena di abeti carichi di neve e subito dopo la neve scompare e la pianura si apre davanti a noi, delimitata solo dalle Stara Planina (Vecchie Montagne) a Nord e dai monti Rodopi a Sud. Plovdiv appare in lontananza, e più si avvicina più appare simile a Reggio Emilia. È grande il doppio, ma è circondata dai campi e si vedono le montagne a Nord e a Sud. La differenza è che qui manca la fascia collinare, le montagne si innalzano di colpo dal terreno piatto.
Stamattina è partito da Botevgrad, che è molto inquinata perché si trova in una conca chiusa su tre lati dalle montagne. Incredibilmente, mi sa dare anche delle notizie preziose sulla strada per Smolyan, dove intendo andare domani. Sua figlia studia a Smolyan e lui l’ha accompagnata lassù proprio due giorni fa, quando c’è stata una piena del torrente parallelo alla strada. L’asfalto era sporco di fango per un lungo tratto e a Smolyan c’è stato anche un blackout che non è stato ancora riparato.
Anche secondo Nikolai il nome della capitale è Sòfia, il dilemma è risolto. Mi fa parecchie domande sul mio viaggio fin qui e mi fa scendere allo svincolo per Plovdiv, a dieci chilometri dal centro. Nessun problema, ci posso andare a piedi.
No, che barba camminare, facciamo che cerco un passaggio e metto da parte un po’ di tempo per uscire dalla città stasera ed essere già in pole position domattina presto. La prossima tappa è Smolyan, a mille metri di quota, ma vorrei evitare in ogni modo di passare la notte lassù, perché è previsto un bel -7°C. Meglio arrivare in cima presto e iniziare a scendere verso Zlatograd prima di sera.
Con un po’ di fortuna si ferma Constantin, che fa il carrozzaio ed è vestito da lavoro perché sta andando proprio verso il centro. Con qualche parola in inglese e un po’ di gesti precisa che vernicia le automobili, non è un meccanico.
12:15
Sono in centro a Plovdiv, l’antica Filippopoli. Da sotto alla prima piazza che incontro, accanto a una moschea, affiora la curva nord dell’antico stadio romano. Le vie del centro storico sembrano ordinate alla maniera romana, ma non lo sono e non ci si può spostare ad intuito. A un tratto mi accorgo che c’è una parte della città che è sopraelevata su un massiccio di roccia, quindi lo aggiro subito per andare a vedere la città dall’alto. Lungo la via trovo anche qualche chiesa da visitare, per poi giungere in cima in un sito archeologico dove sono rimasti alcuni tratti di mura composti di pietre così grosse che i millenni non le hanno ancora spostate. Quassù c’è la parte più vecchia della città, con gli edifici ottocenteschi restaurati e parecchie targhe a indicare dove dove hanno vissuto alcuni personaggi importanti. Le case hanno delle travi di legno a vista che delimitano i riquadri intonacati e dipinti di colori pastello. Spesso il primo piano sporge ed è sostenuto da alcune travi puntellate nel muro del piano di sotto. Al momento i muratori stanno lavorando al restauro della scuola gialla, la prima scuola superiore della città, aperta nel 1868. Dentro c’è ancora la ringhiera bianca con un motivo a fiori che conduce al piano di sopra. Oltre la porta di ingresso, in fondo al corridoio principale, c’è un mobile che potrebbe essere una cattedra di legno.
In una piccola chiesa ortodossa trovo una fotografia di Plovdiv risalente al 1838, quando il colle su cui sono era attorniato da alcune decine di case in pietra e i campi iniziavano a meno di un chilometro dal centro sopraelevato. È impressionante la trasformazione che ha subito la città. Dalla cima del colle si vedono anche tre buffe colline allineate, sormontate da grandi costruzioni a punta, probabilmente dei monumenti. Nel frattempo sto telefonando a Davo, che ha appena letto l’articolo su Prishtina che parla di lui, perciò devo schermare il microfono con il guanto perché oggi c’è molto vento. Resto lassù per vedere il tramonto, poi mi avvio verso il cibo.
Per raggiungere il supermercato bisogna passare sotto i binari del treno e attraversare la stazione degli autobus, che non è male per fermarsi al caldo e cenare. In teoria bisogna tenere la mascherina, ma siamo in Bulgaria e non credo che gli altri quattro viaggiatori che aspettano l’autobus qui si offendano se mangio qualcosa.
Uscendo dal supermercato trovo anche l’imballaggio di un grosso frigo, che sarà ottimo per arrivare almeno fino a Zlatograd. Prima però vado alla stazione degli autobus, qui inizia a fare freddo. La sala d’attesa è grande e luminosa e sembra il terminal di un aeroporto. Ci sono parecchie sedie, un fast food e i distributori automatici di merendine, transennati con nastro e sedie. Forse si può mangiare solo seduti sulle sedie del fast food? Mi piace la coerenza, buon appetito.
20:20
Questo posto è fantastico per scrivere in pace, potrei quasi stare qui sveglio tutta la notte perché anche la temperatura è ottimale. Dopo dieci panini sono già al secondo articolo, rimasto in compagnia di quattro senzatetto e quattro guardie che giocano a carte. Presto tre dei senzatetto se ne vanno e quello rimasto va a commentare la partita a carte. Si capisce che si conoscono tutti quanti da un pezzo e si incontrano praticamente ogni sera.
21:50
Tragicamente, alle dieci mi invitano ad uscire perché la stazione chiude nelle ore notturne. Io mi ero già immaginato di passare la notte seduto lì e invece mi trovo nuovamente all’aperto. Per prima cosa ritaglio un bel pezzettone di cartone dalla scatola del frigo, così adesso sembro un senzatetto anch’io. Tecnicamente è quello che sono, a meno di voler chiamare tetto un telo più sottile di un millimetro.
Visto che il piano “The terminal” è saltato, il piano B è raggiungere adesso il margine della città, accamparsi là e svegliarsi già nel posto giusto. La strada è lunga, ma io ho tempo e la notte non è così fredda.
Pur essendo nel quartiere della stazione, non c’è nessuno in giro, neanche i senzatetto, che a quanto sembra sono proprio quattro. Raggiungo la strada che porta a Sudest e la seguo per un paio d’ore. È praticamente illuminata a giorno e passa sopra ad un deposito di mezzi speciali dell’esercito bulgaro. Ci sono mezzi anfibi, bulldozer e carri di tantissimi modelli, parcheggiati nel vasto cortile che circonda un vecchio edificio in rovina. Chiaramente il cortile è delimitato da una recinzione sormontata dal filo spinato, per lasciare che il metallo si arrugginisca indistrurbato.
Chilometri dopo finalmente trovo la rotonda a cui stavo puntando, che ha a lato un campo con un pezzetto di boscaglia. Vago per mezz’ora cercando il posto migliore e scelgo un pezzo di prato a metà strada tra due gruppi di arnie distanti cento metri l’uno dall’altro. È vero che poco più in là ci sono un autolavaggio e un negozio di piastrelle, ma nelle immediate vicinanze il posto è bucolico.
1:03
Si è fatto tardi, meglio dormire. Preparo il mio “déjeuner sur l’herbe” stendendo il telo azzurro e il sacco a pelo e il giaciglio è già pronto. Qui non ci sono rifiuti, significa che non ci è mai venuto nessuno. Ormai è questa la regola.

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