Lezione di ieri: Meglio avere pochi programmi, perché tanto gli incontri interessanti ti vengono a cercare.
Mercoledì 1/12/2021 8:04 – Prishtina (Kosovo)
Bella la sveglia, peccato che mi sono riaddormentato. Forse se mi impegno riesco a fare lo zaino in meno di mezz’ora.
8:30
Siamo in perfetto orario, stando attenti al ghiaccio partiamo a piedi per fare una consegna ad un amico e poi Gezim andrà a prendere l’autobus. Alla fine il lavoro per oggi è ancora da fare, ma nelle prossime sei ore c’è tutto il tempo per terminarlo senza distrazioni.
Ci spostiamo a piedi in giro per Prishtina perché a Gezim hanno ritirato temporaneamente la patente, perché ha fatto un incidente. Ha schivato un cane randagio e si è schiantato contro una roccia con un paio di amici a bordo. Mentre non ha la patente, per evitare ogni tentazione di guidare la macchina, l’ha venduta e ha risolto il problema alla radice.
Facciamo un giro al bar per prendere un caffè da asporto e finalmente capisco un fatto strano capitato ieri mattina qui in centro. Ero in piedi davanti alla mia panchina e mi sono passati davanti a mezzo metro di distanza alcuni poliziotti, guardandomi fisso. Sto solo mangiando su una panchina, cosa volete?
A quanto pare in città c’è l’obbligo di portare la mascherina quando ci si sposta all’aperto, la si può togliere solo se ci si ferma da qualche parte, quindi ero in una situazione un po’ al limite. Non me ne sono reso conto perché quando non c’è la polizia in giro quasi nessuno porta la mascherina. Inoltre c’è stata una sparatoria su un autobus qualche giorno fa, quindi anche il mio pericolosissimo bastone da assalto potrebbe non essere visto di buon occhio. È evidente, potrei fare una strage in qualsiasi momento.
10:30
Ci salutiamo e torno in centro, con la mascherina, per finire di scrivere l’articolo di oggi. Mentre sono sulla mia panchina al sole arriva un seccatore a sedersi insieme a me e allo zaino, biascicando un buongiorno in albanese. Capisco più o meno il senso delle sue domande e gli rispondo fino al limite della pazienza, dopodiché lo ignoro, esprimendo i miei improperi ad alta voce in dialetto, parlando tra me e me.
Per fortuna ho quasi finito e me ne vado. È giunta l’ora di lasciare il Kosovo e partire per Skopje, oggi che c’è di nuovo il sole.
Uscendo dalla città compro anche una porzione di fli, per colazione. Mi aspettavo che fosse dolce, o almeno salato, invece è proprio neutro. È semplicemente una pila di omelette passata in forno, che probabilmente sarebbe molto più buona se Jeff non l’avesse lodata così tanto.
Esco da Prishtina sotto un enorme stormo di cornacchie dirette a Nord verso il centro.
La periferia della città è più nuova del centro ed è ricca di cantieri, attivi o abbandonati.
Sono fortunato perché Skopje è vicina e c’è una grande strada che porta direttamente là, il problema è che ci sono solo macchine con la targa del Kosovo, nessuna macedone. Speravo di trovare un buon posto per l’autostop in meno di due ore, ma a quanto pare c’è da camminare ancora.
Provo a fermare qualcuno all’ingresso di un distributore di carburante, ma non funziona. Ormai lo so che se in venti minuti non si ferma nessuno vuol dire che il posto è sbagliato, quindi continuo a camminare. Per coincidenza lungo la strada incontro di nuovo una delle auto passate poco fa e mentre saluto l’autista attraverso il finestrino gli chiedo a gesti se va verso Skopje. Mi fa segno di sì, fantastico.
Si chiama Pedrit, ha circa trentacinque anni e lavora per un marchio di articoli sportivi per il basket. Lui stesso ha giocato da professionista in una squadra di basket, avendo così l’opportunità di viaggiare. È appassionato anche di mountain bike e mi mostra un video spettacolare girato da lui l’estate scorsa, pedalando sulle montagne del Kosovo.
Il passaggio è molto breve, ma per me dieci minuti di macchina sono due ore a piedi, non potrei chiedere di meglio per allontanarmi dal traffico della capitale.
Mi lascia ad un incrocio dove ci sono dei lavori in corso, così la strada a due corsie è ridotta a una sola e io posso sfruttare la corsia libera come piazzola di sosta.
14:50
In pochi minuti accosta un taxi, sono già pronto a rifiutare gentilmente, ma la corsa è gratis. Sono stato a bordo con poliziotti e autisti di autobus, ma mi mancano ancora i viaggi gratis in taxi. Salgo a bordo con Dianos, che parla albanese e tedesco e sta tornando a casa a Ferizai. Il suo contachilometri segna 386000. Dianos mi racconta che si è trovato senza soldi l’anno scorso, durante il lockdown. Ormai avrà quasi sessant’anni e sono vent’anni che fa questo mestiere, ora sta lavorando dodici ore al giorno per guadagnarsi da vivere.
Mi propone anche di prendere un caffè, ma questa volta sono costretto a rifiutare perché sono di fretta, per superare il confine prima del buio ho bisogno di saltare da una macchina all’altra.
Mi lascia a una fermata dell’autobus, tiro fuori pollice e cartello e in un minuto sono di nuovo in viaggio, stavolta con Bissin, che mi porta fino a Kaçanik. Purtroppo parla solo albanese, la conversazione è scarsa, perché la mia SIM del Montenegro si rifiuta di funzionare e non posso usare nessun traduttore, vado a memoria.
Bissin mi lascia all’ingresso di Kaçanik, che è un posto pessimo per fermare le macchina perché tutti i kosovari che guidano fin qui entrano in paese, pochissimi proseguono verso la Macedonia. Inoltre in questa valle stretta sta venendo buio prima del previsto, meglio proseguire un altro chilometri e sperare di farcela negli ultimi dieci minuti di luce, altrimenti bisogna che mi rassegni a passare la notte qui, anche se mancano solo dieci chilometri al confine.
16:40
Ormai le speranze sono appese a un filo, naturalmente è difficile fare l’autostop quando gli autisti non ti possono vedere bene in faccia e non è neanche così sicuro per me.
Proprio all’ultimo momento, accosta Nuk. Non riusciamo a parlare molto in dieci minuti, specialmente perché lui sa il tedesco quanto me. Quando accosta cinquanta metri prima della frontiera, capisco quello che stava cercando di dirmi: non va in Macedonia.
Almeno sono uscito dal Kosovo, che era l’obiettivo minimo di oggi.
16:55
Come ho fatto per uscire dalla Slovenia a piedi, mi metto in fila in mezzo alle macchine. Un poliziotto mi nota e mi dice di saltare la fila e andare direttamente allo sportello, così faccio l’italiano e supero un paio di macchine incolonnate.
Il transito è veloce e indolore, così mi avvio a piedi lungo la strada. Non faccio in tempo a fare due passi, che vengo notato da un altro ufficiale della frontiera. “Tu, dove stai andando?” “Vado verso Skopje.” “Vieni qui che adesso ci trovo un passaggio su una macchina.” Sono senza parole, per me è talmente surreale che mi scappa da ridere.
Daniel è incredibile, si dà un gran daffare per trovare qualcuno con un posto a bordo e dopo una decina di macchine mi ha già trovato una sistemazione. Con questo me ne vado con un bellissimo ricordo della gentilezza dei kosovari.
Alla frontiera macedone non ci sono problemi perché non c’è neanche bisogno di scannerizzare il codice qr del green pass, basta essere in possesso di un codice qr qualsiasi, anche quello della scatola dei cereali. Mi lasciano passare insieme a tutti gli altri.
In questa macchina sono in cinque: Kristian, Orce, Ace (si pronunciano orze e aze), Mirçe e Nikolçe. Sembrano i nomi dei nani de “Lo Hobbit”, ma apparentemente Orce-Ace e Mirçe-Nikolçe non sono coppie di fratelli.
Per prima cosa gli chiedo come si pronuncia il nome del loro paese perché non l’ho ancora capito, finora ho sentito dire Macedonia, Mazedonia e Makedonia. Ace dice che Mazedonia non si può sentire, Macedonia è la versione albanese e Makedonia è la pronuncia macedone. Ci sono così tanti albanesi in Macedonia che entrambe le ultime due sono corrette, non c’è differenza.
Come al solito quando entro in un paese nuovo, invece di disturbarmi eccessivamente a cercare informazioni online sui luoghi da visitare, chiedo dove andare a chi mi trasporta. Per ora so solo di Ohrid, che è molto fuori mano rispetto al mio itinerario, e so che vicino alla capitale c’è il Matka canyon, un parco naturale molto suggestivo e probabilmente molto freddo, nient’altro.
Ace mi informa che è vietato lasciare la Macedonia prima di aver visitato Ohrid, quindi mi rassegno e a questo punto ci devo andare. Un altro posto interessante è un osservatorio astronomico antico di millenni, che si trova da qualche parte vicino a Kratovo.
Segno anche questo e scendo in centro a Skopje. Provo a ringraziarli in albanese ma mi rimproverano subito: non devo parlare albanese, sono in Makedonia adesso. Niente, ero appena riuscito a imparare qualcosa, butto via tutto e ricomincio da grazie, che qui si dice blagodaràm. O meglio, si dice благодарам, perché qui si usa l’alfabeto cirillico.
Vado verso il centro a cercare una SIM della T-mobile, che è la compagnia telefonica con la copertura migliore. Giro parecchi tabaccai prima di trovare quello giusto, all’ingresso del bazar, ma scopro che costa molto di più di quanto mi aspettassi. Otto euro e mezzo per una settimana sono più del triplo del prezzo della SIM che avevo in Bosnia. Intanto che rifletto se comprare la SIM della A1, che costa meno, faccio un giro per il bazar, tanto troverò un altro tabaccaio qui in giro. No, a parte qualche ristorante, tutti i negozi sono chiusi, nonostante non siano ancora le sette. Preso dal dubbio che la tabaccheria di prima chiuda tra dieci minuti, torno indietro in fretta e compro quella SIM, probabilmente vale la pena di seguire i consigli di Ace.
Per inciso, il bazar non è altro che la zona della città in cui si raggruppano i negozi, il mercato ortofrutticolo, i bar e ogni genere di locale. Diversamente dalle città in Italia, qui i negozi e il centro storico occupano due zone distinte della città, non sono centrati sullo stesso punto.
Mi fermo su una panchina in piazza per cercare di tornare online e per mangiare quello che ho comprato stamattina al forno.
La sosta riflessiva è molto utile per tre motivi. La SIM sembra non funzionare, e scopro che quei geni della T-mobile hanno scritto le istruzioni esclusivamente in macedone, incluse le didascalie accanto ai numeri dell’assistenza.
Secondo, non ho in tasca i miei guanti da barbone, cioè quelli che lasciano scoperte le punte delle dita. Sono importanti perché mi permettono di accendere il fuoco senza che si brucino e senza che il sangue congeli prima di arrivare ai polpastrelli. È da qualche giorno che ho perso di vista quei guanti e potrei averli lasciati addirittura a Pejë, non mi ricordo.
Terzo, sento un leggero freschino sulla pelle come se fossimo già sotto zero. Tiro fuori il termometro e lo osservo mentre scende a -2°C. Non sono ancora le otto e c’è già meno due, probabilmente stanotte ci sarà meno sei e non mi sembra la sera giusta per passare una notte all’aperto, anche se sto dormendo al chiuso da una settimana. Facciamo che vado in ostello.
20:00
Il centro di Skopje è totalmente diverso dalle capitali viste finora. Gli edifici e i monumenti sono tutti nuovi e celebrano la nazione Macedone con lo stile sobrio tipico della Roma imperiale. Un arco di trionfo, una colonna istoriata sormontata da Alessandro il Grande a cavallo, un museo nazionale che sembra un enorme tempio e molte altre statue gigantesche a decorare le piazze. Tutto costruito negli ultimi dieci anni, forse è questo che lo fa sembrare così innaturale.
Fa freddo, meglio andare all’ostello, che è vicinissimo al centro e si chiama Get Inn. Mi aspetto che costi circa 360 denari macedoni, cioè 6€, ma come al solito il prezzo che ho visto sul sito hostel world è al ribasso, costa 420 denari a notte. Il mio disappunto fa scendere il prezzo a 400 denari e l’affare è fatto. Lo so che in Italia probabilmente si dice dìnari, ma sulle banconote qui c’è scritto денари, che si legge denari, quindi io mi adeguo.
La prima cosa da fare è lavare un paio di vestiti, così che si asciughino entro domattina.
Come al solito sono venuto in ostello con il buon proposito di mettermi in un angolo a scrivere, approfittando del clima mite che non mi fa congelare le dita, e come al solito va a finire che faccio quello che bisognerebbe fare in un ostello, cioè chiacchierare con tutti e scoprire da dove vengono, dove vanno, quando sono partiti, quando torneranno, perché viaggiano, che lavoro fanno eccetera eccetera eccetera. Eccetera eccetera. Eccetera. Bello fermarsi in ostello per tornare in pari con gli articoli.
Così risulta che Miller è colombiano, viaggia per il mondo da sei anni in autostop e probabilmente è da allora che non si taglia i capelli. Priscilla lavora con lui all’ostello e viene da Manaus, la città brasiliana sorta al centro della foresta amazzonica. È partita tre anni fa e chissà quando tornerà. Poi ci sono Nestor e Nicolas che sono originari del Messico, ma Nestor studia e lavora in Danimarca. Hanno girato l’Europa sudorientale e tra pochi giorni rientreranno in Danimarca. Infine ci sono Émeline e Viktor, una coppia di viaggiatori francesi di circa trent’anni che sta facendo il giro del mondo. Hanno appena finito di visitare la Macedonia e domani partono in autobus verso la Bulgaria. Sono i primi che incontro a fare il giro del mondo, e sono addirittura in due, e seguiranno più o meno il mio itinerario, almeno fino in Pakistan. Hanno intenzione di attraversare la frontiera Iran-Pakistan via terra, attraverso il Baluchistan, presso una frontiera terrestre aperta di recente. Purtroppo si spostano molto più velocemente di me, impiegheranno idealmente quindici mesi per ritornare a casa, mentre io so già che ne devo mettere in conto ventiquattro, anche se continuo a dire un anno e mezzo o due. Inoltre viaggiamo in modi parecchio diversi, specialmente per quanto riguarda il pernottamento. Comunque non mi aggregherò a loro, lascerò che mi facciano da apripista.
Continuano le chiacchiere e nel frattempo giochiamo ad Uno, perché non c’è cosa migliore che rovinare sul nascere le nuove amicizie.
Finite le partite a Uno vado in camera a cercare di scrivere, ma mi addormento molto presto senza aver prodotto alcunché.