Martedì 15/08/2023 Mare delle Fiji (Fiji)
Nonostante la protezione impermeabile a prua, la sentina si riempie sempre più in fretta, l’acqua ormai scende a filo dalla guarnizione del timone. Usiamo la pompa manuale ogni tre quarti d’ora, per risparmiare le batterie e di conseguenza il carburante. Abbiamo ancora il serbatoio mezzo pieno, che significa soltanto 40 litri di gasolio. Charlotte ha dichiarato che in casi estremi, se la guarnizione cedesse del tutto e noi e la barca fossimo a rischio, tiriamo dritto verso una spiaggia qualsiasi e ci areniamo là. Il problema è che tra noi e la spiaggia più vicina ci sono ancora centocinquanta miglia, circa ventiquattro o trenta ore di navigazione, a seconda del vento.
Dovremmo farcela, in fondo c’è solo un rigagnolo d’acqua che entra da poppa, il resto è a posto. Charlotte dice sempre che questa barca è solida come un bunker. Con il sole ormai al tramonto, mi pare ormai di essere vicino a terra. Basta svuotare la sentina altre tre trenta volte e saremo arrivati. La verità è che non è finita qui.
Dal pozzetto, sentiamo Charlotte che tira degli accidenti, mentre smonta la propria cuccetta per guardare meglio sotto la tavola di legno che sta sotto al materasso. Mentre cercava di riposare ha sentito uno sciabordio proveniente da sotto il letto, dove c’è il serbatoio del carburante. Sì, il capitano dorme sul serbatoio. Il rumore che ha sentito non è quello del carburante che sobbalza sulle onde, infatti abbiamo un nuovo problema. Il serbatoio di alluminio si trova appoggiato allo scafo di vetroresina, dentro uno scompartimento fatto di compensato marino. Lo spazio tra il serbatoio e le pareti è stato riempito di schiuma di poliuretano, che è intrisa di acqua salata. Fino ad adesso non ce ne eravamo accorti perché la barca non era abbastanza sbandata, cioè non era sufficientemente inclinata dal lato sinistro. Questo comporta vari problemi. Avere dell’acqua salata a contatto con l’alluminio può perforare il metallo, e noi non sappiamo se l’acqua è lì da giorni o da anni. Il secondo problema è che l’acqua potrebbe essere entrata nel serbatoio, nel qual caso il motore potrebbe abbandonarci da un momento all’altro. Il terzo problema è anche il più grave: non abbiamo la minima idea di come l’acqua marina sia arrivata qui. L’intero compartimento si trova sopra alla perdita del timone, non ci sono segni di sgocciolamento dai bulloni che attraversano il ponte di coperta. Come se non bastasse, Charlotte sale un attimo in pozzetto, squadra ancora una volta la prua della nave e sbotta: “Allora non mi sbagliavo, mi sembrava che la barca fosse più pesante a sinistra. È come se si trascinasse.” Come sarebbe a dire più pesante a sinistra? L’equipaggio intero è più che mai confuso, proviamo ad avanzare delle ipotesi alternative. Forse è perché abbiamo consumato i cento litri di carburante legati alla battagliola di sinistra. Però abbiamo anche consumato duecento litri di acqua dolce a sinistra, che dovrebbero compensare. Forse è la disposizione delle vele a prua, o è aumentato il vento, o qualcos’altro. Non possiamo avere una falla, ce ne saremmo accorti dannazione! Ernests dice che forse è solo un’impressione, noi dell’equipaggio non notiamo alcuna differenza. Io temo che non sia così, magari il motivo è semplice e non ci abbiamo pensato.
Tuttavia, se un lupo di mare come Charlotte dice che la barca si trascina a sinistra, vuol dire che la barca si trascina davvero a sinistra. Mentre Mario si prende cura di tenere la rotta, ciascuno si mette alla ricerca di infiltrazioni d’acqua, falle o una spiegazione qualsiasi a questo mistero. Se la barca è visibilmente più pesante, non si tratta di due gocce, devono esserci alcune centinaia di litri nascosti da qualche parte. Io mi caccio tra le vele ammucchiate a prua, in uno spazio claustrofobico e senza un filo d’aria. È complicato controllare che cosa succede qua sotto, perché bisogna spostare quintali di vele per farsi strada fino ai pannelli sottostanti e ispezionare lo scafo. Grondo di sudore già a metà dell’opera, ma alla fine non trovo proprio niente, in punta alla prua è tutto quasi asciutto. Più indietro è impossibile controllare da solo, ci sono decisamente troppe vele e poco spazio.
Eppure si trascina, e per esserne certi basta fare la prova del nove. Viriamo!
Torniamo indietro di cinquecento metri con la barca sbandata a dritta. Non è semplice cogliere la differenza, specialmente nella penombra della sera. Noi pivelli non notiamo quasi niente, ma siamo un po’ più convinti dell’esistenza di questo fantasma del trascinamento. Proprio come con i fantasmi, siamo completamente disarmati. Ci rimettiamo in rotta, confusi quanto prima.
Fuori è buio, l’interno della barca è a soqquadro, prendiamo acqua dal timone, abbiamo il serbatoio nella salamoia e la costa dista ancora 140 miglia. Ironicamente siamo anche nel punto di oceano più profondo di tutta la traversata, secondo la carta nautica ci sono sotto di noi quasi cinque chilometri d’acqua. Il capitano dà ordine di preparare le nostre borse, nel caso dovessimo abbandonare la nave. “Non è per spaventarvi, ma si tratta di una procedura di sicurezza”, aggiunge.
Procedura di sicurezza o no, posso assicurare che prepararsi ad abbandonare la nave non è gradevole. Da un lato la situazione non mi sembra così tragica da rischiare di colare a picco. Verosimilmente i problemi che abbiamo sono gli stessi da molti giorni, specialmente l’acqua intorno al serbatoio. Sono problemi gravi, ma ampiamente sotto controllo. Dall’altro lato la preoccupazione di Charlotte deriva da un’esperienza che va ben al di là di quanto possa immaginare, quindi stiamo facendo sul serio. Che cosa metto nella sacca stagna? Pacchi di arachidi, corda, maschera da sub, kit da pesca, marsupio, telefono… è quasi piena. Ecco, posso aggiungere carta, matita, calcolatrice e il libro del punto nave. Se andiamo alla deriva può servire. Devo solo ricordarmi di portare il sestante sulla zattera di salvataggio.
C’è un mucchio di altri oggetti utili nello zaino, che cosa faccio? Raphaël e Magali stanno riempiendo gli zaini, quindi immagino di poter fare lo stesso.
Torno in pozzetto a guardare fuori, sono di turno con Lord Asparagus. Salgono anche Magali e Raph, che parlottano e poi si abbracciano. Anche io ed Ernests ci diciamo addio, per sdrammatizzare. “È stato un piacere navigare con te.”
Intanto, sottocoperta, Charlotte ha la torcia tra i denti e sta ravanando in un buco di ispezione sotto il motore, perché l’acqua proveniente dalla poppa non drena più. Probabilmente il rollio ha sciasquato via dei detriti accumulati chissà dove, che si sono incastrati nella canaletta di scarico della sentina. Solo che questa canaletta larga due centimetri passa proprio sotto al forno e fa una curva, perciò per sturare il tubo intasato ci vuole del filo d’acciaio. Non ce l’abbiamo, quindi l’unica altra soluzione è prendere un tubo di gomma e soffiare forte. Tutto questo va fatto con le mani lerce di quella schifezza accumulata là sotto, che secondo Charlotte odora di pecora. Va notato che, ogni volta che racconto di questi ristagni d’acqua dolce o salata o al gusto di pecora, il sommelier è sempre Charlotte. È importante controllare il sapore, perché se sa di sale vuol dire che l’acqua si infiltra da fuori.
Dopo molto soffiare, il tappo salta e l’acqua putrida defluisce. L’unico fatto positivo è che l’acqua in arrivo da poppa aiuterà a sciacquare via questo schifo.
Anche ora che è defluito il ristagno, abbiamo l’impressione che dai canali di scolo di poppa arrivi più acqua di prima. Torno in pozzetto insieme a Raph e poco più tardi l’acqua della sentina è diventata marrone. “Che sta succedendo?” Ernests e Charlotte stavano ancora cercando di risolvere il mistero dell’acqua in eccesso così hanno usato dei traccianti colorati per capire da dove viene. Per prima cosa hanno usato la tisana rossa di Charlotte, con fiori di ibisco, poi sono ricorsi al thermos del caffè. È geniale, è un tipico trucco da speleologi. Adesso sappiamo che l’acqua viene tutta da poppa, allarme rientrato.
Non è neanche mezzanotte, ci sembra di fare buoni progressi, quando sentiamo il fiocco che sbatte al ritmo degli improperi del capitano. È morto il vento. Ma che razza di alisei sono questi? Accendiamo il motore per qualche ora, per levarci da qui.
Alle cinque di mattina siamo ancora distanti cento miglia dalla terraferma e duecentosettanta miglia dalla nostra destinazione, Savu Savu. Il capitano ha appena cambiato i piani e richiederà un approdo di emergenza a Suva, distante solo centottanta miglia da noi. Non è una decisione banale, perché noi non abbiamo il permesso di prendere terra in un porto diverso da quello che abbiamo contattato prima della partenza. Gli alisei sono debolucci stamattina e il cielo è coperto e grigio. Spegnamo il motore per risparmiare i carburante.