È piovuto dal cielo Mehmet

Lezione di ieri: a volte le traduzioni a sfondo sessuale sono giuste.
Giovedì 07/01/2022 9:10 Aktoprak (Turchia)
Meglio partire presto oggi, per non rimanere bloccato nei dintorni di Dinar, dove non sembra esserci niente a parte del secco. Partire presto naturalmente significa andarsene verso l’una, perché tra l’articolo da finire e lo zaino da rifare il tempo vola. È giunta l’ora di trasferire i numeri di telefono salvati sulle varie SIM dei Balcani sulla SIM italiana, perché ci sono una serie di numeri salvati nel posto sbagliato. Per esempio il numero di Florian incontrato nell’ostello di Prishtina è ancora nella SIM del Montenegro. Non so perché, ma mi era sembrata una cosa intelligente salvare i numeri nella SIM locale. Nel frattempo le nuvole si dissipano e la temperatura diventa rapidamente molto gradevole anche in maniche corte.
La situazione in gola è stazionaria, continuo a prendere lantiinfiammatorio e vediamo se funziona. Già che ci infliggo un altro duro colpo alle colonie di batteri là in fondo, adesso sono un po’ più bravo e riesco a fare un lavoro più decoroso.
Mentre finisco di mettere via tutto arriva una macchina, che parcheggia a cinquanta metri da me, oltre un cespuglio. Mentre gli occupanti scendono, mi ritiro al riparo di un pino per finire tranquillamente le mie attività. Dieci minuti dopo la macchina riparte e se ne va. Sono piuttosto frequentati questi boschi, perlomeno di giorno.
14:02
Ritorno sulla strada principale senza nemmeno sapere se per raggiungere Konya è meglio passare da Isparta o da Çay, anche se le temperature dovrebbero essere migliori lungo la strada per Çay, che significa tè.
Ci pensano Abdullah e Kenan a fugare i miei dubbi, due marmisti diretti in centro a Dinar. Meglio passare per Çay, perciò mi aiutano a ricollocarmi al bivio giusto e mi indicano la direzione da prendere. Il passaggio successivo me lo dà Sefa, che fa il soldato nell’esercito turco e sta andando in un microscopico paese poco dopo Dinar, che si chiama Akgün. Prende una strada contorta e la cosa mi allarma, ma il motivo è che la viabilità di Dinar è fatta male e questa è una scorciatoia. Sembra che stiamo andando in una strada di campagna, invece si arriva alla strada extraurbana per Afyonkarahisar. Sefa si ferma poco dopo, prima ancora che io sia riuscito a capire la sua destinazione. Almeno da qui sarà facile fermare una macchina, visto che sono in mezzo al nulla.
Dopo non molto infatti si ferma una Ford Taurus rossa che probabilmente risale agli anni ottanta. È una macchina tenuta decisamente bene, con a bordo Erjàn (j è la “je” francese) , di cinquant’anni, e Florie, una bambina down di circa otto anni. Riesco a capire che stanno andando dal dottore a Sultandaği (Sultandāi), un paese che si trova poco oltre Çay. A Sultandaği c’è il bosco, quindi va benissimo, li seguo fino a destinazione. Per il resto non parlano quasi per niente, forse anche perché la macchina lanciata ai cento all’ora sulla strada dritta con il finestrino scostato fa troppo rumore per poter comunicare. Mi limito a osservare il panorama, che sta cambiando radicalmente.
Il sole ormai è basso e inizia a colorare l’orizzonte di una luce rosata, mentre noi percorriamo una valle piatta fiancheggiata a destra da alte montagne prive di vegetazione almeno quanto la parte pianeggiante, che è coltivata. Non so bene che cosa si possa coltivare qui, in questo terreno polveroso e pieno di pietre, che è secco anche in inverno. Forse qui cresce solo la speranza.
A sinistra al posto delle montagne ci sono dei colli arrotondati, non meno brulli del lato destro e non coltivati. Incontriamo un paese ogni dieci chilometri, come tra Denizli e Dinar, ma qui si tratta di centri abitati molto più piccoli. Sulle pendici delle montagne circostanti ci sono alcune zone popolate di piccoli pini, che sembrano piantati in filari come nei numerosi interventi di rimboschimento ai lati delle autostrade turche. Ora il paesaggio inizia a svuotarsi parecchio, gli alberi sono rari e i cespugli quasi assenti, la legna da ardere deve essere un bene di lusso da queste parti.
19:20
Arriviamo a Sultandaği quando è già buio, ma prima di andare ad accamparmi entro in un negozio di ciğ köfte e ordino due dürüm, due rotoli. Facciamo che mi fermo qui al caldo a mangiare, così da ricaricare il telefono e scrivere qualcosina.
.Il proprietario, un uomo magro sulla quarantina con una faccia simpatica si interessa a me, che sono l’unico avventore a quest’ora. Il mio aspetto e il dürüm doppio dicono che vengo da lontano, perciò si siede di fronte a me qualche metro più in là, e inizia a tempestarmi di domande in turco. Quando scopre che sono arrivato dall’Italia in autostop impazzisce e va nella stanza accanto a dirlo alla moglie e a un cliente poi passa suo figlio davanti alla vetrina e lo chiama dentro per raccontargli chi è capitato nel suo locale. Il proprietario si fa chiamare Nuri, mentre suo figlio si chiama Enès. Nuri mi fa notare ridendo che tutto quello che ho davanti, due dürüm e un bicchiere di ayran, costano diciannove lire, che per me sono appena un euro. Continua a farmi domande su dove sono stato e a parlarmi di calcio e di altre cose che non capisco, finché non sopraggiunge un impegno e deve farsi dare il cambio dal figlio Enès. Restiamo noi due nel locale, così io mi riposo e scrivo, con tutta l’elettronica attaccata alla presa.
Dopo un’ora Enes deve uscire per andare a fare delle consegne a domicilio, perciò propone di portarmi da qualche parte. “Quanto possiamo andare lontano?” “Abbastanza lontano”, risponde lui. Sicuramente non possiamo andare fino a Konya, ma mentre cerco una nuova destinazione sulla mappa sopraggiunge un uomo di quasi quarant’anni, con una grande barba brizzolata. Mi sente parlare inglese e si ferma: “Hai bisogno di qualcosa?” “No, sono a posto, sto andando a campeggiare qui nel bosco.” “Come ti posso aiutare?” “Non so, ho già la tenda, devo solo andare nel bosco e preparare il campo.” “Puoi dormire a casa mia, se vuoi.” “Sul serio?”
Probabilmente Enes prima era al telefono con lui, ho sentito che telefonava e che ha parlato di me con qualcuno. “Enes, mi posso fidare di quest’uomo?” Enes risponde di sì con decisione, mentre il nuovo arrivato storce il naso perché lui sa di essere sincero. Si chiama Mehmet, in realtà ha quarantadue anni e stava andando a comprare una birra nel negozio qui di fronte, quello con un poster di Atatürk grande come la vetrina. Non è stato Enes a telefonargli, stava solo passando di lì per caso. Anche se il maestro Hugway di Kung Fu Panda diceva che il caso non esiste.
È la seconda volta che ospita dei turisti, la prima è stata sei anni fa, quando capitarono qui due ragazzi belgi. Quei due non facevano l’autostop, ma andavano in pellegrinaggio a Gerusalemme a piedi. Prima ancora di chiedergli se ha famiglia mi faccio spiegare brevemente come è possibile che a Sultandaği ci sia qualcuno che parla fluentemente l’inglese.
Quando era più giovane Mehmet ha viaggiato in lungo e in largo in Europa, prima in Russia poi in Francia, in Spagna e in quasi tutti gli altri paesi, escludendo solo la Slovacchia e altri due. È rimasto a lungo in Francia, ospite di una famiglia che lo ha aiutato per lungo tempo. Così adesso quando gli capita l’occasione offre ospitalità ai viaggiatori che trova per la strada, a quanto pare. C’è questo piccolo problema che sono malaticcio, ma non gli importa e mi dice che dormirò in casa sul suo letto, non si discute.
Entro in casa, poso lo zaino e mi invita in cucina, dove ci sono sua moglie Nicol e la figlia Börte, di quattro anni. Mi raccomando per la ö, il nome Börte si sente pronunciare ogni due minuti in questa casa, quindi leggetelo correttamente. Börte viene subito da me a raccontarmi un sacco di cose, ma io non capisco un accidente, la guardo e rispondo in una lingua qualsiasi.
“Cosa fai lì in piedi? Siediti e mangia qualcosa, qui ci sono delle patatine, ecco una birra, tra poco sarà pronta la cena.” Sono ancora un po’ sconvolto, abbiate pazienza, mi devo riprendere. Soprattutto sono a disagio perché ho decisamente bisogno di una doccia e di lavare i vestiti. Queste nove notti di campeggio sono state molto belle, ma le magliette sono state lavate solo una volta, come me del resto. È giunto il momento di rimettere tutto a nuovo.
Appena chiusa la porta del bagno, il mio telefono-mattone precipita su un secchio e poi sul pavimento, facendo un fracasso tremendo. Mehmet accorre subito, si sarà preso un accidente poveretto.
Torno in cucina lavato e stirato, giusto in tempo per la cena. Nella stanza c’è un tavolo e le sedie, ma qui i pasti si fanno alla maniera turca, seduti sul tappeto a gambe incrociate. Da un angolo della stanza spunta un elemento di legno rotondo alto una spanna e largo cinquanta centimetri, su cui si appoggia un enorme vassoio rotondo di metallo smaltato, largo quasi un metro, che diventa il piano del tavolo. Questo vassoio stava in piedi accanto al forno insieme ad altri due colleghi, perciò i posti a tavola sono potenzialmente molti di più e non dipendono dal numero delle sedie, che in Europa sono decisamente sopravvalutate.
Stasera, per combinazione, fa il suo atteso ritorno una pietanza che non vedevo da quando la preparò Branko in Croazia. Stasera, su richiesta di Börte, si mangia la pizza fatta in casa! Su alcune di queste piccole pizze ci sono pomodoro, formaggio, mais e salsiccia bovina. Sulle altre, le più buone, c’è del macinato di carne che mi è difficile identificare, sono troppo abituato alle pizze con sopra il maiale.
Nicol, la moglie di Mehmet, è di origine rumena ma vive in Turchia da tanti anni e parla perfettamente il turco. Prima di venire qui però è stata per anni a lavorare in Spagna e poi in Turchia ad Antalya, dove lavorava in un club. Non ha imparato molto inglese servendo cocktail, a parte i nomi dei liquori, ma il suo inglese è sorprendentemente buono. Sicuramente non ha imparato l’inglese solo lì, deve essere una delle solite scuse dichi rispolvera una lingua straniera dopo molto tempo che non la usa. È proprio nel club di Antalya che lei e Mehmet si sono conosciuti, per poi venire ad abitare qui a Sultandaği. Mehmet durante la bella stagione lavora nei campi, mentre adesso che è inverno gestisce un caffè. Non lo si può chiamare bar, perché Mehmet ti correggo subito dicendo che lui serve solo tè e caffè. “Adesso però mangia, devi mangiare, non vedi come sei magro?” “Va bene va bene.”
“Ma tu Nicol…?” “Mangia”
Mi perdo un attimo a guardarmi intorno. “Mangia, devi finirlo.”
Cerco di rassicurarli non c’è pericolo che rimanga qualcosa e sono di parola.
22:10
La cena oggi è stata ritardata di parecchio e si è fatto tardi. Mehmet va a letto perché domani si sveglierà presto per aprire il bar. Cioè no, volevo dire il caffè. Io ne approfitto per andare nella stanza a me dedicata con il letto matrimoniale, così da continuare a scrivere al ritmo dei giorni scorsi. Sono ancora senza parole per quello che è successo prima, un uomo uscito di casa a comprare una birra che incontra uno sconosciuto scarmigliato come me e lo invita a dormire a casa propria, senza neanche sapere chi è.

3 commenti su “È piovuto dal cielo Mehmet”

  1. Sì Riccardo, decisamente sconvolgente… non siamo proprio abituati a questo genere di ospitalità.
    Io avrei sicuramente difficoltà ad accogliere a braccia aperte uno sconosciuto.
    E mi rendo conto di non avervi certo abituato a questo, per quanto sia una persona accogliente.
    D’altra parte mia madre mi ha sempre tempestato di raccomandazioni e di non fidarmi degli estranei e dopo non è semplice cambiare.
    Credo che ci voglia la giusta dose di attenzione, ma tu ci stai dimostrando quante brave persone ci sono in giro!!!
    Questa incredibile esperienza ti cambierà senz’altro, ma credo cambierà anche tutti noi… anzi ci sta già cambiando!!!!!!

  2. Concordo con te Silvia, sono davvero colpita da questa incredibile esperienza di generosità e di fiducia. Reciproca d’altronde, perché anche Riccardo si fida generosamente di chi incontra. Ciao a Silvia e Riccardo!

    1. È passato tanto tempo, ma Börte mi chiede sempre di quel ragazzo riccio. Riccardo hai dimenticato di specificare che Börte aveva paura di essere mangiato dai lupi nella foresta 😄 Mi diceva sempre di non farti uscire di casa la notte perché gli animali del bosco ti mangiano 🙈. Sono felice di averti incontrato e se passi di nuovo dalla Turchia, per favore torna a trovarci.

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