Lezione di ieri: La fidanzata che cerco è una persona curiosa. (detta a me da Emeline)
Domenica 26/03/2023 Auckland (Nuova Zelanda)
Sento dei passi poco distanti, ma è solo il cane del vicino, al di là della recinzione. Torno nel mio bozzolo, prima che capisca che cosa sono e si meta ad abbaiare. Per il resto è tutto tranquillo, nessuno verrà in questo spigolo di boschetto. Non oggi, perlomeno, anche se la piattaforma di assi costruita sull’albero qui sotto segnala che ogni tanto qualcuno viene. È stato installato addirittura un telone impermeabile a mo’ di tetto, in caso di pioggia.
Mentre la temperatura esterna aumenta lentamente, resto al chiuso a scrivere. Me lo ero ripromesso e lo avevo sognato, dopo tutto questo viaggiare sarei arrivato in Nuova Zelanda, e fermandomi a lungo qui a casa, avrei scritto tutto quello che mancava. Ora manca decisamente troppo per poterlo recuperare, ma ho ragione di credere che la situazione catastrofica del diario e del blog in generale possa cambiare. Dopo due mesi e mezzo senza scrivere alcunché, la capacità di scrivere è tornata non appena mi sono imbarcato sull’aereo per Aotearoa. Che cosa è successo nei mesi precedenti? Non ho capito la ragione, ma anche solo pensare a scrivere mi risultava impossibile. Sono trascorsi tantissimi giorni pieni di esperienze memorabili, ma le ho raccontate a voce a parenti e amici. Probabilmente ci sono molti lettori là fuori, ai quali non ho mai parlato direttamente, che non hanno ricevuto neanche un briciolo di notizia in questi mesi. Se tuttora aprite il blog per cercare notizie, la vostra perseveranza è davvero stupefacente. È mio grande piacere premiarla, se la mente e le dita reggeranno abbastanza a lungo. Ora che è mezzogiorno inizia a fare caldo, benefico lubrificante per le articolazioni dei pollici.
Finito il secondo articolo, raccolgo amaca e sacco a pelo in un bozzolo, per scendere nel piazzale a riempire lo zaino. I velisti di stamattina se ne sono andati, ora è il turno dei windsurfisti, che approfittano del vento teso.
Mentre sono intento a imballare Hans e sgranocchiare arachidi, davanti a me c’è una famiglia che raccoglie conchiglie e pezzetti di vetro sulla spiaggia. Il piccolo bottino raccolto finora giace sul tavolino accanto a me, insieme a una patente di guida. L’hanno trovata qui per terra e a me sembra tanto la patente di uno dei ragazzi che c’erano qui ieri sera. La lasciamo in custodia ad un tizio che gestisce il circolo di vela. La donna di origine spagnola che ha trovato la patente smarrita si chiama Eloisa, e dopo cinque minuti di chiacchiere mi invita a casa propria per una birra insieme alla famiglia. Un altro giorno però, oggi la casa è un disastro. Aggiunge che mi avviserà se sentirà parlare di offerte di lavoro interessanti, poi se ne va insieme agli altri per recuperare il pranzo.
Mentre lascio il guardino del circolo, noto un cartello che ieri notte mi era sfuggito, a causa del buio: “vietato pernottare”. Troppo tardi.
Ho bisogno di cibo e di internet, così ritorno verso il supermercato. Pane, formaggio fresco all’aglio ed erba cipollina e mele rosse. Secondo me l’ultimo aglio che ho mangiato è stato in Laos, l’aglio avanzato dalle éxcargot, mentre le mele…. Non ne ho idea, forse da qualche parte in Indonesia, dove sono un frutto esotico. In poche parole, queste mele croccanti con pane e formaggio sono una specie di viaggio nel tempo al modico prezzo di dodici dollari. Ben presto, si avvicina un maori con la borsa della spesa, con un lavoro da offrirmi. Si chiama Leo, mi chiede se fumo marijuana e se sono interessato a raccoglierla. Deve essere popolare qui, anche stamattina ho sentito il vicino fumare uno spinello. “È legale in Nuova Zelanda”
“Certo che è legale!”
“Allora perché per parlarmi di lavoro hai quel fazzoletto davanti alla faccia?” Appena si è seduto qui sulla panchina si è tirato su questo fazzoletto nero e bianco, come un bandido. Percepisce in fretta che non sono sicuro di essere interessato, così se ne va allegramente, confiscando uno yo-yo abbandonato.
Più tardi mentre ancora sto mangiando, si avvicina un collega viaggiatore, attratto dal mio zaino. Si chiama Dove (come “colomba” in inglese), è canadese ed è arrivato tre giorni fa insieme alla fidanzata. È arrivato via mare da Panama, ma andiamo con ordine.
Ha trentun’anni, è nato a Ottawa, ha iniziato a studiare ingegneria, ma poi si è dato alla filosofia. È stato per un anno nello Yukon a protestare contro il taglio della foresta nel territorio dei nativi e là ha conosciuto la fidanzata che lo ha portato fino qui. Lei ha insistito per venire in Nuova Zelanda, ma lui non è entusiasta di essere in un paese con una cultura così simile a quella del Canada. È stato anche in India, in Myanmar, in Kazakhstan, in altri paesi russofoni dell’Asia centrale, in Azerbaijan, in Georgia, Armenia, Nepal e in Sudest asiatico e altri ancora. Mentre ci confrontiamo, si rammarica di non aver mai imparato il russo, pur avendo trascorso vari mesi in Asia centrale. Forse sto iniziando a capire quello che mi dice sempre la mamma. Dice che è meraviglioso che stia imparando le lingue dei paesi in cui vado e stringendo tante amicizie. Io non so proprio come farei a viaggiare senza imparare le lingue locali. La metà di quelli che incontro non parlano inglese. Inoltre da Baku in poi è diventato rarissimo incontrare dei viaggiatori, ad eccezione dei paesi del sudest asiatico.
In tutti questi viaggi, Dove ha studiato le religioni, la meditazione e tutto cio che ha potuto imparare in ambito spirituale. A tutt’oggi è ateo, ma è interessato alla spiritualità orientale e alla conoscenza di sé. Un po’ come Emeline mi parlava di Buddhismo e Confucianesimo. Dove ha passato un periodo della propria vita meditando per un minimo di dodici ore al giorno, che non sono niente male.
Mi dispiace cambiare argomento, ma voglio sapere della traversata, perbacco! “Perché l’avete fatta?” Risponde di non saperlo neanche lui, non è stata un’idea sua. Sostanzialmente, lui e la fidanzata sono partiti per il Messico, hanno proseguito in Guatemala e giù giù fino a Panama. Hanno lavorato per un mese aiutando le barche ad atteaversare il canale, poi si sono imbarcati in barcastop, raggiungendo la Polinesia francese. Hanno trovato un’altra barca, girando di isola in isola, poi con altri tre passaggi via mare sono arrivati qui ad Auckland. In totale, la traversata è durata otto mesi -“Otto mesi?!?”- sì, otto mesi. L’attività preponderante del viaggio è stata socializzare con i capitani delle barche, passandone in rassegna a dozzine, in cerca di qualcuno che li accettasse a bordo gratuitamente. In tutto questo processo, hanno incontrato soltanto una barca diretta verso Est, che probabilmente è arrivata in America circa cento giorni più tardi. Dove è scettico riguardo al mio piano di attraversare il Pacifico verso Est e ancora di più riguardo al farlo in tempi rapidi. Apro una breve parentesi per spiegare il problema.
All’equatore, i venti sono deboli, capricciosi e spesso assenti. Sono le micidiali calme equatoriali che tartassano il morale dei marinai, inchiodandoli all’acqua. Venti gradi a Nord e a Sud dell’equatore invece si incontrano gli amichevoli alisei, miti e costanti, raramente turbati dalle burrasche e dagli uragani. Purtroppo per me, questi venti spirano da Est verso Ovest, inclinati a spina di pesce. Da quello che mi racconta Dove, le probabilità di raggiungere Panama seguendo la debole corrente marina equatoriale sarebbe una tortura alla quale ben pochi capitani si sottoporrebbero. È qui che mi si accende una lampadina. “E se andassi giù a Dunedin a cercare qualcuno che va a ovest, cavalcando i venti occidentali?” Forse c’è speranza, anche se navigare là sotto non è affatto una crociera. Tuttavia c’è chi parte da Sud per poi risalire a metà del Pacifico e completare la traversata in acque tranquille. Potrebbe essere una soluzione, ma devo prima parlarne con qualcuno per sapere a che cosa vado incontro. Inoltre, come insegna Alberto DiStefano nel proprio libro “Il giro del mondo in barcastop” il fattore più rilevante nelle lunghe traversate è la salute mentale del capitano e dell’equipaggio. A quanto capisco dai racconti di Dove, loro hanno dovuto essere molto indulgenti su questo aspetto, navigando in condizioni decisamente poco piacevoli. Tuttavia, per il momento queste sono tutte supposizioni vuote, intanto devo trovare un lavoro. Non solo, ma devo anche scrivere il diario di oggi. “Tu, Dove, hai un qualche tipo di diario?”
“Ce l’avevo, sì, ma ho smesso di scriverlo molto tempo fa. Ora osservo gli avvenimenti scorrere e annoto prevalentemente i pensieri e le riflessioni.”
“Ora capisco la ragione di quel taccuino nella tasca della camicia” Lo tiene sempre portata di mano, altrimenti i pensieri si dileguano in un battito di ciglia.
Stiamo ancora parlando fitto, quando arriva barcollando un certo Niko, un samoano ubriaco con una bottiglia di Milo o di caffelatte. O chissà che altra diavoleria. Gettando la bottiglia di plastica sul tavolo da ping pong accanto a noi, ci propone di fare una partita. Dove rifiuta cortesemente e iniziamo un’interessante conversazione con Niko, che interpreta il mio “Riccardo” come proprio alter ego femminile, “Nika”. Nella sua mente annebbiata “Canada” diventa “Kanestan” e così via, finché ci allontaniamo con la scusa di andare a dormire.
In realtà Dove sta andando veramente a dormire, stava solo aspettando che chiudesse il supermercato, per controllare se abbiano gettato via qualche confezione di cibo integra. Ieri, in un altro posto, ha trovato più cibo di quanto ne potesse prendere. Ora capisco di che cosa vivono tutti i senzatetto che sono passati per la piazza finora. Purtroppo per Dove, il retro di questo supermercato sembra piuttosto sporco e povero, ha fatto bene a comprare qualcosa oggi pomeriggio.
“Che programmi hai per domani?” chiedo io.
“Pensavo di andare a fare la revisione allla macchina, poi volevo andare in questo negozio di biciclette, che nel retro ha una discarica di parti di ricambio. Vorrei provare a mettere insieme una bici.”
“Una bici? Perbacco, vengo anch’io! Mio nonno ha rimesso in sesto tante di quelle bici! Ce l’ho nel sangue. Ci vediamo domani allora, anche perché mi sembra che abbiamo amcora parecchio di cui parlare.”
Lui va a dormire nel van della fidanzata, che si trova in centro a Auckland, mentre io torno verso Point Chevalier, dove ho dormito ieri sera. Anzi, prima ne approfitto e uso il wifi un altro po’, guardandomi bene da mister Niko, che piantona la panchina in cerca di qualcuno con cui chiacchierare.
Neanche a farlo apposta, poco più tardi arriva un maori di quasi sessant’anni, di nome Christmasi (Crismasi). Non è ubriaco, ma ha della marijuana pronta da vendere e da fumare. Dato che io non fumo, si prepara una pipa e mi offre di andare a casa con lui. Non ne sono affatto sicuro, malgrado a casa ci sia anche la moglie e uno dei suii figli sia un poliziotto. Dopo un po’ di chiacchiere accetto, mi sembra un tipo a posto questo Christmasi. Finita la pipa si interessa alle mie mele, così gliene do una da sgranocchiare e un’altra da intascare. Facciamo due passi per andare verso casa sua, fino alla fermata dell’autobus. Io ho sviluppato una certa diffidenza dai mezzi pubblici, avendo un ottimo paio di gambe a disposizione. Ho la sensazione che la casa di quest’uomo sia molto vicina, ma la sua mole forse lo affatica troppo. Non lo so, c’è qualcosa che non mi convince, perciò quando inizia a proporre di fare cambio giacca perché il mio piumino è proprio bello, capisco che non è ancora il momento di fare conoscenza con i nativi del paese. Non in città, perlomeno, e non di notte. Molto meglio la mia cara amaca, ciao Christmasi e buona notte! “Mi dai un’altra di quelle mele? Sono così buone!”
“Non hai neanche finito la prima, prima finiscile.”
“Un’altra mela?”
“Finisci quelle che hai, ti dico.” Ah, Christmasi, che tipo! Lo so che sono buone queste mele.
I senzatetto sono tutti radunati nella piazza, ma non mi sembra il caso di ritornare al circolo della vela. Ho visto un paio di giacche in giro e il riparo sull’albero, segno che di tanto in tanto qualcuno passa di là. Inoltre spostare l’accampamento ogni notte è una sana abitudine. Proseguo fino al parco di Point Chevalier, fuori portata dalla pigrizia dei senzatetto appiedati. Non che sembrassero minacciosi, ma non amo le visite notturne.
Dal parco c’è una vista magnifica vista sul centro di Auckland e la Sky tower, che brillano nel buio della notte senza nuvole. Cerco un angolino appartato e preparo il mio giaciglio pensile. Ci sono decisamente troppe zanzare, non sono esperto nel montare la zanzariera sopra al sacco a pelo.
A notte fonda sento dei passi, qualcosa si avvicina, ma la torcia del telefono illumina solo foglie secche. Eppure c’è qualcosa. Finalmente scopro un riccio europeo, di passaggio accanto allo zaino. Ho fatto proprio bene ad appendere il sacchetto con le mele.Non dovrebbero esserci ricci in Nuova Zelanda chi è che ce li ha portati?
Il neoguineiano che c’è in me sta già pensando di cucinare il riccio, ma poi non saprei come scriverlo sul blog. Passo qualche minuto a riflettere su questo dilemma, mentre il riccio rovista tra le foglie del boschetto. Vai pure, l’opinione pubblica ti ha salvato.
Ecco un altro dei motivi per cui tengo un diario, dovrei dirlo a Dove.
Ciao Ricki, che bello che hai ricominciato a scrivere!! Sì certo le tue notizie le ho dalla mamma, ma leggere i tuoi racconti è un’altra cosa!! Questo in particolare mi è piaciuto moltissimo, anche se quando racconti di episodi rischiosi mi preoccupo sempre un po’, pur sapendo che quando li leggo sono già passati. Ti abbraccio forte