Donald, Rijeka (Fiume) e la falsa notte di halloween

Lezione di ieri: rimanere a piedi alla frontiera è proprio scomodo, ma bisogna metterlo in conto.


Lunedì 01/11/2021 6:34

Mi sono svegliato presto, eppure c’è già parecchia luce. (Questa sensazione continuerà per una settimana, posso evitare di ripeterlo.)

Come ogni giorno piego tutto, faccio lo zaino, mi lavo i denti e mi pettino i capelli schiacciati dal berretto di lana. Intanto mi arriva vicino un gruppetto di codibugnoli a beccare qualche frutto, ma mentre tiro fuori la GoPro se ne sono già andati.

Qui non si fermerebbe nessuno, proseguo verso Rupa, dove c’è l’ingresso dell’autostrada per Rijeka. Le macchine sono poche da questo lato del confine, quindi scrivo un po’ tra una e l’altra.

In generale mi pare che camion, Audi, BMW, Mercedes e donne da sole siano poco disponibili a darmi un passaggio. Qui passano solo macchine costose, camion e donne da sole, non proprio il massimo.

Io ho tempo e molto da scrivere, quindi con pazienza aspetto, finché arriva una Mercedes grigia che frena abbassa il finestrino. Mmh, non è normale, dov’è la fregatura?

Il baule si apre automaticamente e io con circospezione ci appoggio lo zaino e rapidamente raggiungo il sedile del passeggero, per non rischiare di essere separato dal mio compagno di viaggio.

Alla guida c’è Donald, che avrà circa quarant’anni e lavora per una grande multinazionale, “forse la più grande del mondo”, è croato e sta andando un po’ più a Sud di Rijeka. Perfetto.

Accenno a questa folle idea del giro del mondo e mi dice che l’ha fatto anche lui quando era più giovane di me, a 21 anni. Ora vorrebbe andarsene dalla Croazia, perché sente che negli anni le persone si sono indurite, c’è stato un aumento dell’egoismo e della frenesia. In più, ora che ogni aspetto della vita viene calcolato o numerato, lui per la propria azienda corrisponde ad un numero identificativo, non a Donald Frank.

Dopodiché subisco un’invettiva contro i giovani che riesco a schivare per un pelo. Donald rimane senza parole quando sua figlia gli chiede che tempo fa fuori o quando consulta le previsioni meteo per sapere se sta per piovere, quando il meteo è lì fuori dalla finestra pronto per essere consultato. Così si è arrivati al paradosso che se fuori c’è il sole ma il meteo prevede pioggia, si annullano le uscite perché non si è più in grado di leggere il cielo.

In un discorso del genere riconosco un modo di pensare che mi è familiare, infatti scopro che anche lui è un marinaio e ha una piccola barca a motore.

Anch’io ho provo un certo disgusto ogni volta che mi viene assegnato un numero di matricola, all’università come al lavoro. È anche abbastanza ridicolo che ormai abbia maggior valore il la previsione del meteo rispetto all’osservazione diretta. Un esempio? La settimana scorsa il meteo di prevedeva la stessa temperatura a Ljubljana e a Velika planina. Io ci ho creduto come un fesso, senza ascoltare la vocina che mi ricordava che la temperatura cambia di un grado ogni 150m di quota, quindi a 1550m bisognava aspettarsi 8°C in meno che a 350m.

Superato il momento delle lamentele, mi esprime la sua preoccupazione per l’atteggiamento egoista che ha visto crescere attorno a sé in Croazia. In effetti più la vita diventa frenetica e ansiogena, più diventa ragionevole preoccuparsi sempre di più per se stessi. Solo che non si tratta di un cambiamento temporaneo, è in atto da decenni.

Mi trova d’accordo, è anche per questo che sono in viaggio, per raggiungere luoghi dove si vive in modo diverso e conoscere chi ci abita.

Donald vorrebbe vivere negli Stati Uniti, nei suoi ricordi di viaggio là si respira un’aria di libertà che in Europa non c’è, a causa delle norme che regolamentano qualsiasi cosa.

Da più giovane anche lui pensava per sé ed condivideva questa mentalità personalistica sviluppatasi in Occidente, poi pian piano ha iniziato a vedere anche più in là del proprio giardino e ad alzare lo sguardo fino a scorgere le persone intorno a sè. Oggi sta tornando in Croazia dopo aver fatto visita al suo secondo figlio, che ne deve aver passate di cotte e di crude. Questi è fuggito dall’Afghanistan e ha impiegato un anno per raggiungere la Croazia, attraversando i Balcani e l’Europa centrale, fino ad arrivare in Belgio, per poi tornare indietro in Croazia. Tutto questo senza documenti, che significa attraversare boschi e filo spinato, molte volte. Per anni Donald ha cercato senza successo di fargli ottenere i documenti in Croazia attraverso un buon numero di avvocati, poi alla fine è venuto in Italia per ottenere il permesso di soggiorno necessario a consentirgli di studiare. Ora suo figlio abita e studia a Trieste.

Per inciso, la Croazia è rimasto uno dei pochi stati balcanici, forse l’unico, a non sbarrare i propri confini con una barriera di filo spinato. Come si fa a sbattere la porta in faccia a qualcuno che rischia di morire pur di abbandonare il proprio paese?

Intanto che arriviamo a Rijeka, Donald si ferma in autogrill a comprare caffè e brioche per entrambi. È parecchio preoccupato per me e dice che i miei genitori devono avere un bel coraggio a lasciarmi partire per fare il giro del mondo. Rimango senza parole perché non è esattamente il commento che mi aspettavo dalla prima persona che incontro ad aver fatto il giro del mondo.

Quando scopre che ho con me solo due carte prepagate e sono senza valuta locale, mi allunga anche cento kune, che sarebbero circa quindici euro.

Arriviamo a Rijeka e mentre mi porta in centro mi fa da guida turistica attraverso le vie della città. Nel porto è ormeggiata la Bash, lo yacht di 65 metri su cui è stata Lady Diana prima di morire a Parigi. Il nome è stato cambiato, ma la nave è ancora in servizio.

Poco prima di arrivare mi parla di una trasmissione radiofonica che ha ascoltato di recente, in cui un paio di intervistate esprimevano la propria contrarietà alla costruzione di un muro di filo spinato perché sbarrerebbe la strada agli animali selvatici. Per carità, è vero, ma fa male al cuore veder anteporre i caprioli agli esseri umani. Pur essendo biologo, condivido appieno.

Prima di salutarmi vuole farmi una foto, e dice che rimane a disposizione a qualsiasi ora del giorno e della notte per levarmi dai pasticci.

Lo ringrazio caldamente perché tanta umanità e buon cuore tutti insieme proprio non me li aspettavo, e mi incamminò sotto la pioggerellina di Rijeka. Scrivo per un’oretta mentre aspetto che smetta.


12:10

Nelle ore successive finisco la visita alla città vagando per le strade del centro e tornando al molo per dare un’altra occhiata agli yacht. Accanto alla Bash è ormeggiata la Royal Romance, che è lunga 100 metri e recentemente è stata svalutata a 13 milioni di dollari. Se vi piacciono gli yacht e avete da parte qualche risparmio fateci un pensiero. Ha le cime di ormeggio bianche immacolate e devono averle cambiate al massimo una settimana fa, ma per sicurezza nel punto in cui si incrociano sono rivestite di cuoio. Non si sa mai che si strappi una fibra prima di cambiarle la prossima settimana.

Le barche a vela sono poche e quindi il mio interesse cala sott’acqua, dove ci sono delle grosse stelle marine arancioni che stanno mangiando le cozze che crescono sulle pareti della banchina. Appaiono più grandi di due spanne, quindi in realtà devono essere larghe almeno 35 cm. Mentre finisco di perlustrare la banchina incrocio lo sguardo di una giovane coppia di viaggiatori tedeschi. Ci presentiamo e lui subito mi chiede se sono un artigiano (Craftsman sarebbe uno che costruisce cose, non c’è una traduzione letterale in italiano). A quanto pare non sta facendo un sondaggio, è che evidentemente con questo cappello in testa e il bastone in mano in fronte ho scritto “Craftsman”. Sono diretti all’isola di Krk e mi propongono di andare a cena con loro al ristorante vegetariano, ma io ho già da mangiare e quindi ci salutiamo. Cinque minuti dopo mi vedo riflesso in una vetrina, capisco, e scoppio a ridere. “Sì, conciato così hai proprio una faccia da craftsman.”

Da queste primo ore trascorse in Croazia emergono già alcune importanti differenze. La prima sono i senzatetto: praticamente assenti a Ljubljana, qui a Rijeka ce ne sono a dozzine. In giro ci sono meno macchine e alcuni edifici non vedono una ristrutturazione da almeno cinquant’anni, non è degrado dovuto alla salsedine. La città in generale è meno pulita, anche perché è difficile raggiungere la pulizia di Ljubljana.

Ora che ho visto il centro vado al castello, che si trova qui vicino, distante solo qualche cinquantina di gradini. Mi imbatto per caso in un portico pieno di graffiti, una galleria d’arte senza biglietteria. Sono proprio belli e variegati, tanto che mi fermo a fotografarli tutti, prima di iniziare le scale.

La salita è piuttosto ripida, mi devo fermare più volte per non sudare, ma in cima trovo un bene raro e ricercato: una fontana. Finalmente in cima, faccio due passi nel giardino del monastero francescano e poi entro nella chiesa insieme a un altro viandante munito di zaino. Tra la navata, il chiostro e la cappella ci incrociamo più volte.

La cappella annessa al chiostro ha le pareti tappezzate di immagini di Maria, interrotte da una dozzina di modellini di velieri, tra i quali riconosco una caravella spagnola. C’è anche un grande schermo per vedere che cosa succede in chiesa. Nel cortile laterale invece, al riparo di una tettoia, c’è un grande tavolo basso coperto di candele e di cera, che colando fuori ha formato una cortina di stalattiti su ogni lato.

Trovo il mio collega in giacca azzurra fuori ad aspettarmi, ci presentiamo e chiacchierando andiamo a vedere il castello.

Si chiama Hugo, ha circa la mia età ed è di origine portoghese, ma negli ultimi tre anni ha lavorato in Bulgaria. Ora che non ha più un lavoro ha pensato di tornare in Portogallo via terra, percorrendo all’incirca la strada che ho in mente io, ma nel verso opposto. Ha fatto quasi sempre l’autostop, dice che in Bulgaria è facilissimo mentre in Bosnia si è dovuto arrendere. Forse la barba e la carnagione olivastra lo facevano assomigliare ai tanti rifugiati che chiedono un passaggio, ma in ogni caso l’unico modo che ha trovato per viaggiare da quelle parti è mostrare il passaporto. È rimasto nello stesso posto a fare l’autostop per 24 ore prima di rinunciare e prendere un autobus.

Il castello è piccolo ma è bene armato. Migliaia di lucine di natale sono pronte a riversarsi sugli incauti assalitori, ce ne sono così tante da tappezzare la torre principale e tutte le mura interne. La visita dura cinque minuti perché questo più che un castello è un fortino.

Continuiamo a parlare scendendo verso il centro, verso la casa in cui Hugo è ospitato. È la che tiene il suo zaino principale, perché di solito viaggia con uno zaino in spalla e un’altro davanti. Porta il mio stesso peso, ma il suo evidentemente è meno denso.

Lungo la discesa ci scambiamo soprattutto consigli di viaggio e sui luoghi da visitare.

Al momento di lasciarci si offre di chiedere al proprio ospite se può ospitare anche me per la notte, ma mi anticipa che probabilmente è già al completo.


15:36

Ci salutiamo e rifaccio le scale in salita, per andare verso il crocevia delle autostrade da cui si parte per andare in direzione Zagreb, prima di svoltare a Sud verso Plitvice. In cima alle scale faccio qualche foto alle onde lunghe provenienti da SSO, particolarmente evidenti grazie alla luce radente. Qui non si muove una foglia, ma al largo di Zadar nell’Adriatico è in atto una forte burrasca con vento da SSE. In cielo la coltre nuvole trascinate dal vento si arrotola come cavalloni ribaltati, ben evidenti nel chiaroscuro del tardo pomeriggio.

Arrivo all’autostrada verso le quattro e mezza e mi accorgo che probabilmente lo svincolo per Zagreb non è qui, ma dall’altra parte di Rijeka. Di fianco a me c’è un parco fluviale pieno di bosco e manca mezz’ora al buio, quindi cerco un posto in cui pernottare. A Rijeka l’unica parte pianeggiante è il mare, infatti questa zona verde è percorsa da un sentiero che scende giu giu fino alle rovine del vecchio mulino Žakalj, ricoperte di piante rampicanti. Convinto che sia halloween, mi dirigo da quella parte, mi sembra un posto perfetto per la notte. A metà strada trovo una casetta di cemento a due piani accanto ad un altro mulino, ma i graffiti e i segni di bivacco mi fanno proseguire. Sicuramente qualcuno passerà di qua notte di halloween.

Scendo ancora e arrivo al mulino Žakalj con il buio e una leggera foschia. Adesso questo posto è veramente spaventoso, neanche gli spiriti oseranno entrare stanotte.

Il tetto è scomparso da tempo senza lasciare traccia, restano solo le enormi pareti e le aperture delle molte porte e finestre. Entro per cercare un posto al coperto perché stanotte pioverà. All’interno sta crescendo una foresta di allori, perciò in pochi minuti vengo attorniato da un forte profumo di laurea. Giro le rovine un paio di volte, accendendo la torcia a tratti, quando per poco non calpesto due anfibi in accoppiamento. Anche accendendo la luce per un attimo, è difficile che due salamandre pezzate passino inosservate. Sono lucide, nere con macchie gialle dai bordi nettissimi, lunghe una ventina di centimetri. Domando scusa ho disturbato, ma è già tanto se non le ho schiacciate.

Alla fine decido di mettere la tenda tra due alti muri di pietra distanti un metro e mezzo, mentre ormai ha iniziato a piovere. Almeno stanotte riposerò sugli allori.

Il telo di sotto, come ormai è noto, non tiene l’acqua, mentre quello di sopra non è teso e riduce di parecchio lo spazio disponibile. Inoltre il muro più alto non sta schermando la pioggia e si formano delle sacche d’acqua sulle falde del telo. Le posso svuotare perché lo spesso strato di doglie drena abbastanza. Inizio a scrivere ma sono scomodo e c’è umido e a contatto con il telo la condensa mi bagna il berretto. È meglio sdraiarsi e dormire, solo che i piedi finiscono proprio a contatto con il telo di sopra appesantito dall’acqua. Prendo il cartello di cartone Podgrad-Rijeka e lo dispongo a tetto sopra i piedi del sacco a pelo, ma nel farlo scopro che il telo di sotto sporge in fuori e l’angolo dei piedi è bagnato. Pazienza, sotto la tenda il calore si conserva meglio, non avrò freddo.

Chiudo gli occhi, ma non sono tranquillo, quindi aspetto, aspetto e valuto. Mi rialzo a sedere e controllo il perimetro: come pensavo, lo zaino si sta bagnando. Lo sposto dall’altro lato, dove il telo è più teso e non rischia di bagnarsi. Ora ho fatto tutto il possibile e piove anche un po’ meno, dovrebbe bastare.

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