Lezione di ieri: chi non ha mai visto un’amaca può immaginarsi qualsiasi cosa.
Giovedì 24/06/2022 Dunagiri (India)
Queesta notte non è piovuto e mentre noi prendiamo il primo tè le capre partono per andare al pascolo, guidate dalla nonna. Come al solito, la nonna porta in equilibrio sulla testa un grosso pentolone che contiene gli avanzi di ieri allungati con molta acqua e fatti bollire. Baccha chota, il capretto zoppo, resta qui perché non è in grado di seguirle, viene lasciato legato al letto mentre bela disperato. Riempiamo le bottiglie dal barile dell’acqua pulita e raffiungiamo le capre. L’acqua corrente qui arriva ogni tanto e da un rubinetto nel cortile, ma scorre così piano che conviene raccoglierla e versarla nel barile blu da dove si attinge per lavare i piatti o per lavarsi le mani.
Io ho già perso la sincronizzazione con l’orario per andare in bagno, quindi ci rinuncio e verso l’acqua per terra. Oggi Kilari mi spiega che sta per vendere una capra a un tizio che passerà dagli allevatori della zona per formare un piccolo gregge. Porterà le capre dall’altra parte della valle e poi non so cosa succederà perché in hindi non riusciamo a capirci. Una settimana fa mi sono informato sul prezzo delle capre adulte, che qui si vendono per appena 65 euro. Se vi servono delle capre qui le vendono volentieri.
A forza di osservare le capre, la loro opera distruttiva si è molto ridimensionata nella mia percezione, in realtà così poche capre su un terreno così ampio non possono sperare di danneggiare i cespugli spinosi e gli alberi di cui si cibano, anzi forse per tenere a bada questa vegetazione esuberante ce ne vorrebbero di più. Oggi il piano era di andare verso la cima della collina, dove Kilari sta costruendo la nuova casa, ma le capre avevano un piano differente e iniziano a scendere i terrazzamenti e a dividersi. Niente, ci andremo un’altra volta. Dopo averle radunate, Kilari le riporta a casa, oggi gli riesce bene. Adesso che so un pochino di hindi in più capisco che cosa dice per chiamare le capre. “Andiamo!” si dice “Cele!” e “A!” è la radice del verbo venire. “Le le lé! À a a!” Ora ha senso.
Si va a fare la doccia, così ritrovo anche Kulassin e Pandit e annuncio che oggi partirò per scendere a Ramnagar e raggiungere il Nepal. Dato che mi basteranno pochi giorni, Pandit mi chiede di restituirgli la SIM. Dopo una doccia o due nel caldo del mattino, torniamo a casa per la colazione. Oggi il sole picchia, mentre Kilari esce io mi siedo sul letto a scrivere, forse è meglio assecondare le sue parole e restare qui un giorno in più. Oggi al bar c’è del lavoro da svolgere, quella stanzetta da cui Kilari ha preso il mio nuovo bastone una settimana fa è di sua proprietà, è il suo studio da parrucchiere. Dopo poco arriva il suo cliente, con i capelli già parecchio grigi e corti, ma non sono mai così corti da non poterli accorciare un altro po’. Curiosamente, si fa lasciare una sorta di codino dietro la nuca, che deve essere un simbolo indù. Anche Kilari ha una ciocca un po’ più lunga, ma non si nota tanto. Approfittando del bel tempo il taglio avviene a bordo strada, sullo spiazzo di ghiaia davanti al bar. Terminato il dovere, saliamo al tempio di Adalikhal, dove stanno distribuendo quel lassi rosa che ho trovato anche a Delhi quando ero con Guram e Tennu. Nel tempio si sta svolgendo la preghiera per le donne, così ci sediamo sulle panchine fuori e i cuochi ci portano da mangiare, mentre una torma di bambini e ragazzi ci circonda per sapere da dove viene l’angrej, se è sposato, come si chiama e tante altre domande originali. Qualcuno fortunatamente capisce che stiamo mangiando e tiene a bada gli altri, fornendo un riassunto ai nuovi arrivati. Ovviamente apprezzo molto. Ci facciamo qualche foto e poi via, scendiamo di nuovo per raggiungere la piazzola dove ho quasi perso la gopro il primo giorno. Restiamo là a lungo, così mi siedo a scrivere e scrivo anche nel pomeriggio quando torniamo a casa.
Così sono rimasto qui un giorno in più senza dirlo a nessuno, quando fa buio ed è ora di preparare da mangiare scendo a tenere compagnia alle cuoche. In verità preferisco di gran lunga stare qui piuttosto che fare la spola tra il bar e un negozio e ancora il bar e non capirci niente.
Qui ci sono più sorrisi e a volte posso aiutare e cucinare così è interessante perché è quello che faccio anch’io di solito.
Ceniamo nuovamente seduti sul tavolone di legno, con cipolle crude, peperoncini verdi, riso, verdure cotte in un sugo denso e giallo, da raccogliere con il riso e il roti. Il riso che avanza viene distribuito alle capre dalla nonna, che passa da tutte per fargli prendere un boccone. Prima di andare a letto le capre entrano nella stalla e arrivano i due cani del paese a sperare di ricevere un po’ di cibo e a fare la guardia. Un’altra, ultima notte a Dunagiri.