Lezione di ieri: chi va in Pakistan con dei preconcetti sul rischio terrorismo, sia pronto a farsi ridere in faccia da tutti i pakistani.
Domenica 29/05/2022 10:30 Lahore (Pakistan)
Sto iniziando a seguire gli stessi orari di Ahmad, mi sveglio tardi. Oggi lui deve iniziare a preparare una presentazione per una lezione di martedì in una scuola, quindi deve lavorare sodo per completarla in tempo. Accende il computer, apre il sito canva.com, apre Instagram e per oggi il lavoro è finito. Ci ripensiamo domani. In questi giorni è impegnato con mille telefonate e inoltre deve organizzare un viaggio nel Regno Unito.
Prepara una frittata con parecchie verdure e il tè, la base fondante di ogni pasto. Non dobbiamo neanche uscire di qui per fare colazione, perciò restiamo in camera fino all’una, alle due, alle tre e poi arriva il suo amico Harsalal che deve venire con noi stasera, a cena da un altro amico che ci ha invitato.
“È tutto il giorno che siamo chiusi qui, andiamo fuori?” Finalmente convinciamo Ahmad e andiamo al parco a camminare.
Ancora una volta, questi due parlano punjabi e io non ci capisco un accidente. Approfitto di una pausa della loro conversazione per esprimere delle generiche rimostranze contro il comportamento incurante dei pakistani che ho incontrato. Non sono molto generico, le mie generiche rimostranze ormai sono diventate abbastanza chiaramente delle accuse dirette. Ho deciso di continuare imperterrito sulla via delle proteste, a costo di diventare sgarbato. Tutti si dicono fluenti in inglese e in urdu, ma di fatto non sono in grado di parlare inglese tra loro e nemmeno di insegnarmi la propria lingua. Che siano sfaticati o in difficoltà, il risultato è che ieri sera ho scaricato un vocabolario e imparerò l’urdu nonostante la loro noncuranza.
Questa volta trovo ascolto, il buon Harsalal si offre di farmi da insegnante e di risollevare la mia opinione del Pakistan. Finito il primo giro del parco, Harsalal ha male ai piedi e si deve fermare, mentre Ahmad continua a camminare. Al diavolo la camminata, ho trovato un insegnante e non lo mollo, mi siedo insieme a lui. In realtà parliamo in inglese per buona parte del tempo, ma ne avanza abbastanza per imparare più parole di quante ne possa ricordare. Il camminatore nel frattempo ha fatto due giri invece di uno, saliamo in macchina per rivederci più tardi a cena.
La cena si svolge nella sala cubica di un avvocato amico dei miei due soci, infatti Harsalal ha bisogno anche di una consulenza legale. La carta da parati alle pareti mi riporta in Azerbaijan, ma le poltrone e il tavolino di vetro hanno uno stile decisamente diverso.
Il nostro ospite è molto cortese e interessato a me, così abbiamo modo di conversare prima che arrivi la cena. Era più di cento chili e ne ha bruciati venticinque grazie alla propria perseveranza e alla dieta chetogenica che segue tuttora. In realtà la seguiva, perché la cena di stasera è una rara eccezione. Probabilmente va verso la quarantina, ma non è ancora sposato e rimedierà a breve. Non deve essere semplice vivere in Pakistan per così tanti anni senza essere sposati, perché la gente mormora e ti stressa fino all’esasperazione.
Aggiunge che dovrei andare a vedere il Nord del Pakistan e mi mostra qualche filmato realizzato laggiù. Io e Ahmad ci guardiamo sorridendo, ormai questa storia del Nord sta diventando una barzelletta.
Ceniamo con un piatto di pollo, riso e tamarindo che si chiama beeriani (o qualcosa del genere), in grande quantità. A un certo punto il nostro anfitrione mi domanda se ho gradito questo piatto. “Certo che mi piace, è delizioso.”
“Hai mangiato poco, devo dedurre che non ti sia piaciuto molto”
“Allora portane dell’altro.” “No, ma cosa fai, stavo scherzando…” Niente, ha chiamato il cameriere per far riempire di nuovo un vassoio di portata, tutto per me. Il riso è davvero buonissimo, non stavo scherzando, quindi altri due piatti li posso mangiare. Dopo la Georgia non mi spavento più davanti a niente, se non al sospetto che i georgiani non siano il popolo più mangione del pianeta. Molto tempo dopo che gli altri hanno finito di mangiare le palline di pasta fritta sotto sciroppo che si chiamano gulab jamun, finisco di mangiare anch’io e riprendo a studiare un po’ di urdu. Il nostro ospite è impegnato a dare consigli legali e gli altri due consultano il telefono. Faccio un giro in bagno, che tralascerei se non fosse che mi perdo a dare la caccia a un paio di gechi. Acchiappare lucertole è un’attività troppo eccentrica per farne menzione in Pakistan. Quando al ritorno mi chiedono che fine avessi fatto, trovo una risposta evasiva e nessuno si preoccupa di indagare.
23:45
Dopo la cena c’è il bar ad aspettarci. Portiamo a casa Harsalal, prendiamo Umair e ci rechiamo al club dei perditempo. Ieri nell’ufficio di Alì c’era una cartellina piena di fogli intitolata “General Bar Council” (Consiglio generale del bar). Non ho capito cosa fosse, ma sicuramente riguardava le deliberazioni dell’assemblea riunita qui. Non riesco ancora a capire che cosa dicono, so solo che parlano prevalentemente di politica.
Saajit ordina un giro di tè per tutti. La mia finestra sul Pakistan sono gli amici di Ahmad, ma seduti a questo tavolo ci sono un avvocato, un giudice, aspiranti commissari, un insegnate di economia e altri ancora. È abbastanza normale che non abbia notato la stessa frenesia dell’India, qui al tavolo ci si può permettere di chiacchierare. Molte delle mie osservazioni saranno viziate dall’essere stato a contatto solo con la parte benestante di Lahore. Per giunta, in una grande città come Lahore le differenze tra ricchi e poveri sono amplificate. A quanto mi è stato detto, la classe media qui è molto ridotta.
2:20
Lasciamo gli altri alle chiacchiere, altrimenti alle quattro siamo ancora svegli.
Ma le palline di pasta fritta sotto sciroppo sono palesemente……STRUFFOLI😍
Almeno per dare la caccia ai gechi non devi usare il retino. Immagina raccogliere farfalle e mettere giù trappole per cerambici e dover trovare una scusa per il retino e le bottiglie di vino e frutta fermentata.