Dalla stalla alle stelle

Lezione di ieri: quando qualcuno ti chiede se vuoi fermarti a fare l’acquata (si chiama così il rabbocco delle scorte d’acqua dolce), non si offenderà se rispondi di sì.

Giovedì 28/10/2021 7:27

Effettivamente c’è stato freddo, ma lo rifarei mille volte. Esco dalla tenda e vedo che all’orizzonte il sole si è sciolto in tre tuorli d’uovo impilati uno sull’altro. Se mi fossi svegliato cinque minuti prima avrei preso il binocolo per cercare quel piccolo lampo verde che si vede per un istante appena il sole valica l’orizzonte. È stupendo, provo a fotografarlo ma non è la stessa cosa, è meglio immaginarsi tutto quel rosso laggiù all’orizzonte che illumina il pendio facendo brillare l’erba di giallo e le rocce di arancio, mentre dal lato opposto il cielo è già illuminato di azzurro chiaro.
Stendo tutto al sole per far asciugare l’umidità. Il tetto della tenda va agitato per far volare via il grosso della brina che ricopre il lato interno.
Mi siedo al sole come un rettile finisco i quattro etti di biscotti avanzati da ieri sera. Al sole ci sono ben quindici gradi e la temperatura aumenta a vista d’occhio.

10:15

Ieri alla fine ho scoperto che le fonti d’acqua indicate sulla carta sono in realtà dei rubinetti che spuntano dal terreno in mezzo ai gruppi di capanne, ma in questa stagione non c’è acqua corrente e i tubi sono stati tappati. C’è anche un laghetto, ma immagino che le vacche lo abbiano concimato con cura e magari è meglio evitare di bollire quell’acqua lì, anche se è limpida. Ho ancora mezzo litro d’acqua, ma preferisco tenere da parte un po’ di acqua pulita, non si sa mai.
Ormai mi sono scaldato, quindi telefono a casa mentre corro e saltello in cerchio tra rocce, bisogna che qualcuno sappia subito che cosa sto vedendo. Nel farlo trovo una cavità in un sasso, piena di acqua piovana cristallina e fredda gelata. Si trova fuori dalla portata del bestiame, quindi mi pare un’ottima occasione per inaugurare il Sawyer, un filtro fisico per l’acqua che lascia passare solo acqua e virus. (Per i lettori biologi: intendevo dire virioni) Sono un po’ in dubbio perché mi faccio degli scrupoli da virologo, ma mi sembrerebbe ancora più stupido non reintegrare l’acqua che ho usato per brinare la tenda e digerire i biscotti a secco.
Chiamo anche Špela e ci mettiamo d’accordo per vederci stasera alle otto a Ljubljana.
Riempio lo zaino e vado a fare qualche foto intorno al laghetto, che fino a poco fa era ricoperto da un telone trasparente tutto stropicciato, formato dal vento di stanotte che ne ha ghiacciato la superficie in modo irregolare. Ora è scongelato e ne approfitto per lavare un paio di mutande.

12:06

Riparto verso valle prima che il sole inizi a scottarmi e rifaccio la stessa strada di ieri per passare dalla fonte che c’è lungo la strada.
Da lontano vedo una famiglia con un cane che corre incessantemente avanti e indietro, entra in un laghetto e poi corre di nuovo. Naturalmente appena mi vede schizza verso di me e mi salta addosso per giocare. Forse è più sporco lui, ma sicuramente io puzzo di più.
La sua famiglia slovena mi spiega che questo labrador si chiama Archie e ha cinque mesi. Anche loro cinque sono diretti a planina Dol, quindi finisce che gli faccio da guida perché hanno con sé solo una descrizione del sentiero da percorrere e in un punto la strada non è per niente ovvia. Cammino davanti, un po’ distante perché questa maglia ormai sta in piedi da sola, e Archie viene con me perché naturalmete vuole stare in avanscoperta davanti al branco.
A planina Dol saluto Archie, Laura, Miša e le tre figlie e scendo di nuovo nel bosco multicolore. Avendo il bastone posso correre giù con lo zaino senza sbriciolare le ginocchia sotto i nostri 85 chili.
La discesa è veramente lunga, non me la ricordavo così, ma alla fine torno al parcheggio e riprendo il mio cartello di cartone con scritto Kamnik. Molto bene, il prossimo obiettivo è la fonte. Bevo, riempio le borracce e poi lavo le ascelle, i capelli, due magliette e le mutande di prima.

14:27

Arrivo alla fonte e con l’acqua riempio un po’ la sacca stagna che ho portato apposta per lavare i vestiti a mano. A bordo strada mi tolgo quella schifezza chiamata maglia, mi insapono e mi sciacquo accovacciato sull’erba. Dopo aver lavato anche i vestiti stendo al sole la maglietta, che miracolosamente è tornata pulita. Il mio stenditoio è il bastone, incastrato nel muro di sassi della fonte e appoggiato sullo zaino.
Mentre spero invano che il sole asciughi il bucato faccio un video sull’importanza di usare solo saponi certificati per fare queste cose all’aperto.

Inizio della rubrica dell’ecologo

I saponi “fatti con ingredienti naturali” non danno nessuna garanzia, di base qualsiasi sapone è fatto principalmente da acidi grassi e soda caustica. Il problema è che solitamente la composizione del prodotto è molto vaga e lascia ampio spazio all’aggiunta di tensioattivi più efficaci del sapone che si può ottenere in casa. Parecchi tensioattivi artificiali sono molto difficili da biodegradare, vengono dilavati dal terreno e contaminano l’acqua. Solo i saponi con la dicitura “Completamente e prontamente biodegradabile” hanno qualche speranza di essere biodegradati nell’ambiente, ma solo in presenza dei batteri giusti. Anche sapone chimicamente più semplice è comunque nocivo, perché rompe la tensione superficiale dell’acqua. Per visualizzarlo in testa, in acqua e sapone i ragni d’acqua (Gerridi) invece di pattinare sulla superficie, sprofondano. Pluff. Chiaramente la tensione superficiale è cruciale per tantissime funzioni vitali degli organismi acquatici, non è solo un problema dei pattinatori.

Quindi: mai lavarsi con un sapomne a caso in prossimità dell’acqua e soprattutto mai lavarsi direttamente alla fonte, anche il sapone biodegradabile va sversato nel terreno altrimenti non si degrada affatto.

  • Fine della rubrica dell’ecologo

Spero che nessuno sia morto di noia. Dopo quasi un’ora ho finito e prima di partire riempio di anche la bottiglia di plastica. Sto ancora pensando al sapone e mi cade il tappo, che si ferma proprio sul bordo di una fessura del muro che comunica con il canale di scolo della fonte, sotto i miei piedi. È andata bene.

No, non è vero. Mi scivola di nuovo, rotola di lato e sparisce in un’apertura laterale del suddetto scolo, fermandosi tra le foglie. Questo potrebbe essere un problema.

Nei minuti che seguono, le poche macchine che passano vedono sul ciglio della strada un tizio sdraiato prono per terra con le gambe in strada e un braccio infilato sotto l’asfalto. Alla fine recupero il tappo, ancora pulito, lo sciacquo e con la concentrazione di un chirurgo lo avvito al suo posto.

15:36

La maglietta è ancora umidiccia e il sole è appena sparito dietro un versante della valle. Me la infilo per asciugarla con il metodo che usavo in Scozia per asciugare tutto il bucato.
Mi incammino per cercare una piazzola in cui fare l’autostop, ma dopo due minuti netti vedo una macchina che mi supera e poi si ferma per aspettarmi. Passando ha letto il cartello che tengo in mano a penzoloni così ho appena ottenuto un passaggio senza neanche chiederlo.
Carmen è vestita con una tuta sportiva perché è appena stata a fare un giro più su nella valle, avrà circa trentacinque anni e lavora come poliziotta a Kamnik, oggi è in ferie. È d’accordo con le mie supposizioni riguardo ai vestiti abbandonati nei boschi al confine con l’Italia, quelli che ho visto vicino a Socerb.
Mentre arriviamo alla stazione degli autobus, mi dice che posso tornare a Ljubljana con tre euro.
Bello, costa pochissimo, però io sto ancora facendo pratica e viaggiare in compagnia è più divertente. Non posso fare l’autostop lungo la strada per Ljubljana perché sarei controsole e non mi si vedrebbe in faccia, quindi torno un po’ indietro e in dieci minuti sono di nuovo in macchina.
L’autista si presenta come “Igor, anzi no, Aigor” e l’altra si chiama Marija. “Don’t worry my friend, I’m a professional driver.” Inutile dire che quando l’autista si preoccupa di specificarlo, è perché ha una guida più sportiva del normale. Non rischiamo niente, di fatto guida nella media, nel senso che mentre fuma supera una macchina troppo lenta suonando il clacson durante tutto il sorpasso. Igor consegna la merce per Eurospin ed è stato più volte in Italia, persino in Sardegna. Mi racconta di quando a vent’anni, cioè venticinque anni fa, andava a fino a Treviso con la sua Renault 4 per andare a comprare i vestiti, che qui scarseggiavano. Difficile da immaginare.
Mi fa notare la sua maglia con scritto Dovčič e inizia a parlare delle squadre sportive italiane di una mezza dozzina di sport, che lui segue con passione.
Mi lascia a Mengeš, attraverso il paese e faccio l’ultimo tratto di strada in macchina con Branko, un autista di autobus che torna dal lavoro. In pratica ho evitato l’autobus, ma ho conosciuto lo stesso l’autista. In realtà guida scuolabus e autobus privati, ma l’importante è il concetto.
Introduce l’argomento vaccinazioni e proteste, quindi ne approfitto per avere informazioni sulla severità delle restrizioni dal punto di vista di una persona vaccinata. Contrariamente a quando avevo capito parlando con Petra e Andraž, il green pass è richiesto solamente per entrare nei grandi centri commerciali, mentre l’accesso ai supermercati è libero. Inoltre le tradizionali proteste del venerdì di cui parlava il ragazzo turco che ho incontrato all’ostello di Ljubljana sono composte da poche centinaia di persone. Nessuno lo aveva specificato, ma io mi ero immaginato una folla più consistente.
Mi lascia poco fuori dal centro, così mi fermo in un market e compro un oggetto di cui avevo sottovalutato l’utilità: il deodorante.
Quando sono in trekking di solito mi lavo molto più spesso, ma finora sono mancati i soliti laghi e torrenti.
Ora credo di essere abbatanza presentabile, a parte la giacca che non è più molto fashion per via dell’età.
L’appuntamento è al quartiere Metelkova e sono in anticipo di due ore, quindi ne approfitto per entrare e sedermi a scrivere. Alla sera questo posto è tutta un’altra cosa, c’è qui accanto un gruppo di ragazzi che cantano le canzoni del loro De Andrè sloveno, con l’accompagnamento di una chitarra.
Finalmente alle otto arriva Špela, lascio 17 chili nella sua macchina e, levitando, la seguo verso il centro. Per i miei personalissimi motivi logistici non ho mai visto Ljubljana dopo il tramonto, le stradine sono molto belle anche di sera. Trovo che ci sia un’atmosfera più calda con i lampioni accesi e le vetrate dei locali che proiettano la luce sul selciato.
È già tutto molto strano, ma per rendere le cose ancora più strane deviamo all’improvviso sulla destra ed entriamo in un locale. Mi scappa da ridere a pensare che non entro in un luogo riscaldato da una settimana, mi stavo dimenticando com’è.
Špela è venuta a Ljubljana per staccare dal lavoro intenso degli ultimi giorni e anche lei è appassionata di fantascienza. Decidiamo di andare in un posto dove pensavo di non tornare per un bel pezzo, si va al cinema a vedere “Dune”.
Aspetta aspetta aspetta, c’è un problema, il film è in sloveno, che cosa posso sperare di capire?
Invece no, i film qui sono in lingua originale con i sottotitoli, evidentemente è troppo costoso doppiare gli attori per una platea di due milioni di sloveni. Deve essere anche per questo che quasi tutti parlano inglese da queste parti.
Così ora posso rovinarvi il colpo di scena finale, alla fine c’è Voldemort che dice “Luke, io sono tuo padre” e Rob muore.
Adesso Špela ha voglia di leggere il libro e io invece penso che prima o poi visiterò un deserto sabbioso.
Finito il film si va a casa, ma non a Koper, a casa dei genitori di Špela a Ljubljana. A differenza delle usanze barbare di casa mia, qui le scarpe si tolgono all’ingresso perché a destra è già pronta una batteria di pantofole. Si chiude la porta e assaporo tutto lo straniamento di essere di nuovo in una casa.
È un po’ tardi e dormono tutti, in silenzio andiamo di sopra e trovo una stanza tutta per me. Con un letto. Un materasso. Delle coperte. Wow.
La mia roba è degna al massimo di stare per terra, io invece non sono degno di niente e filo a fare la doccia.
Il letto incredibilmente comodo, decisamente morbido, ma metà della notte mi sveglio. Ma che caldo c’è qua dentro? Mi dispiace di essere tutto sudato in questo letto così pulito, ma a pensarci bene ieri fuori dal letto c’era -3 e oggi +22, mi stupirei del contrario.

4 commenti su “Dalla stalla alle stelle”

  1. I tuoi racconti sono pazzeschi palla, li sto seguendo con la stessa intensità ed interesse dei nostri genitori e nonni quando leggevano i loro romanzi a puntate preferiti pubblicati dai vari giornali.
    Mi sembra di intravederci anche un po della filosofia e dello stile di quello scrittore giramondo scozzese di cui mi avevi parlato anni fa durante un giro in montagna (scrittore di cui però non ricordo il nome, ma spero tu abbia capito il riferimento).

  2. Esatto, proprio lui!
    Continua così con la scrittura a ruota libera, secondo me merita e sta venendo anche molto bene.
    Saluti da una piovosa Trento

  3. Luca Franceschi

    Palla, siamo in astinenza di tue notizie, ormai ricarico questa pagina sempre più volte al giorno. Spero di vedere la bandiera pirata sventolare su Fiume al più presto!
    Buon proseguimento.

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