Lezione di ieri: a volte restare fermi sul posto è esso stesso una conquista.
Giovedì 09/11/2023 Oceano Pacifico (Isole Cook)
Finché le condizioni si mantengono favorevoli, anche questo bordo non è niente male. Charlotte vuole velocità, quindi cazziamo il genoa a coltello e tagliamo le onde alla velocità di sei nodi e mezzo. Con così tanta spinta non serve neanche governare la barca, basta supervisionare il suo moto spontaneo, raddrizzando la ruota quando è il caso. L’unica reminiscenza delle onde che ci hanno tormentato fino a ieri sono delle piccole creste infami, non più alte di un metro. Arrivano di lato, silenziose e invisibili, si rizzano all’ultimo momento e danno un pugno alla prua, splat! Non riesco ad anticiparle, sbucano fuori dal nulla e finora non ho neanche capito bene che forma abbiano. Secondo me hanno esattamente la forma della prua, così la investono all’improvviso con tutta la forza possibile. Per fortuna sono onde piccole, i pugni d’acqua non costituiscono una minaccia grave. Per il resto, navighiamo senza quasi manovrare la ruota, senza mani.
È una pacchia per Lord Asparagus e per me, che quando assisto a questa magia ho un sorriso da un orecchio all’altro. Dato che il tempo è così calmo e amichevole, sono in pozzetto a scambiare quattro chiacchiere con il timoniere. Nel frattempo, dal tambuccio si levano occasionali folate di profumo di cibo. Sembra pomodoro cotto nel forno, che promette sempre bene.
Alle due il capitano è riemerge trionfante dalla cambusa, annunciando che la pizza è quasi pronta. La pizza? Ma stiamo scherzando?
Si scusa perché non è venuta affatto come una vera pizza da ristorante, la crosta non è ben lievitata come dovrebbe. Mi guardo attorno, cercando altri ristoranti in cui ordinare un’altra pizza. “Capitano, siamo ad almeno seicento miglia dal ristorante più vicino, che credo sia ad Aitutaki. Questo fa della tua pizza la migliore in assoluto nel raggio di mille chilometri. Mai avrei pensato di trovare una pizza qui nel mezzo dell’oceano.”
Scendo difilato ad ammirare la creazione culinaria. Forse questa pizza non è rotonda, forse la crosta non è lievitata come una pizza napoletana, ma per noi lupi di mare risulta molto appetitosa. Solo che non è stata ancora assaggiata. Mi guardo attorno, ma Charlotte sonnecchia sul divano della dinette. Mi siedo tra la mia cuccetta e la pizza, incerto sul da farsi. È troppo bella per tagliarla. E se poi finisce?
Poco più tardi la cuoca si sveglia chiedendo se la pizza è buona. “Ehm, non lo so, voi non la mangiate?” Va bene, inizio io.
Ah sì che è buona, oh com’è buona. È da un bel pezzo che non mangio una fetta di pizza, sono quasi due mesi. È una pizza rossa, la preferita di Mors, con olive, capperi, cipolla e origano. I capperi sono decisamente una novità assoluta, non speravo affatto di rivedere dei capperi in carne ed ossa prima di ritornare in Europa. Mai e poi mai avrei immaginato di mangiare la pizza nel bel mezzo dell’oceano, no di sicuro.
Dopo la prima, cospicua fetta, lascio che sia Lord Asparagus a praticare il secondo taglio, appena finito di timonare.
Il pomeriggio appare tranquillo, nonostante il cielo coperto, perché il vento e il mare si mantengono calmi. Forse abbiamo ritrovato la zona di confine tra gli alisei e la bonaccia. Finalmente il messaggio è passato, andare a Sud non paga ed è meglio virare seguendo i capricci del vento, sul bordo che ci fa guadagnare più distanza in direzione Est.
Alle cinque il cielo è sereno, riusciamo addirittura a vedere il sole tramontare sul mare. Io ho sempre il taccuino a portata di mano e annoto la direzione di bussola in cui tramonta il sole, che sarà utile per calibrare la bussola. Non ho tempo in questi giorni per fare i dovuti calcoli, ci penserò quando arriveremo a terra. Per utilizzare la bussola nella navigazione non basta conoscere l’errore di magnetizzazione del quadrante, ma bisogna correggere la lettura in base alla deviazione e alla variazione del campo magnetico locale. Detta in maniera semplice, la Terra è come un magnete, ma i poli del magnete non sono affatto allineati con l’asse terrestre. Per questo, se uno cercasse di raggiungere il Polo Sud seguendo la bussola, arriverebbe in realtà in una zona vicino alla costa antartica, ben lontano dal centro del continente. Viceversa, seguendo l’ago del Nord non si arriverebbe mai sulla calotta artica, perché il polo Nord magnetico si trova tra le isole del Canada settentrionale. Va da sé che la direzione del Polo Nord e dell’ago della bussola non sono quasi mai coincidenti, quindi bisogna apportare una correzione a seconda della parte di mondo in cui ci si trova. Esistono anche altri fattori da considerare, ma questa è la base.
Il nostro problema a bordo è che la bussola non è stata calibrata per molto tempo e non abbiamo idea di quanto sia precisa. Per dirla tutta, non siamo troppo sicuri neanche di come si facciano i dovuti calcoli. Se ne era parlato una sera a Opua, prima della partenza dalla Nuova Zelanda. Quella sera eravamo riuniti per parlare della prima traversata, delle previsioni meteo, della strategia e delle basi teoriche della navigazione in oceano aperto. Una serata molto interessante, alla quale erano presenti anche Andrea ed Elisa. Soltanto che, giunti a questa faccenda della bussola, la spiegazione è diventata confusa. Charlotte non dormiva a sufficienza da mesi, quindi ripescare certe conoscenze dalla memoria era un’impresa titanica. Sono venuti in suo soccorso Raphaël e Andrea, capitano della Perroquet, il veliero centenario che sta restaurando. Anche Andrea sa il fatto suo, ha appena attraversato il Pacifico dal Messico alla Nuova Zelanda, entrando nella baia di Opua senza carte nautiche, navigando a vista. Andrea ha cercato di spiegare come si fa, ma Charlotte non usa lo stesso metodo. Ha sempre fatto i conti in una maniera diversa e non ha mai riscontrato problemi. Tutto ciò che ho letto sull’argomento conferma quello che sostiene Andrea, ma Charlotte non può sentire ragioni. È da un pezzo che non fa di questi calcoli, così ogni volta che ci prova qualcosa non va.
Così quella sera andò a finire che Charlotte si impuntò sul proprio metodo, arrovellandosi per cercare di ricordarsi come funzionasse questo metodo. Andrea, che la conosce bene, la lasciò molto diplomaticamente alle proprie riflessioni. Raphaël invece è uno di quelli che amano insegnare e insistono pazientemente fino a far prevalere ciò che è vero e giusto. È tipico del mio amico Gibbo (Gilberto), che non trova pace finché la verità non si fa strada tra la nebbia della menzogna. Così Raph insistette, ma senza il benché minimo risultato.
Oggi che il mare è calmo e il capitano sta meglio, ho provato a rivangare la questione, suggerendo che forse, potenzialmente, potrebbe essere davvero come diceva Andrea.
“Andrea? Non l’aveva detto Andrea, mi sembra che fosse Raphaël a insistere su questo punto. Ti ricordi?”
Oh santo cielo, se faccio anch’io la fine del buon Raph, per me è finita. Da quando siamo arrivati alle Samoa, Raph e Mag sono stati menzionati per due volte, questa è la seconda. La prima stata pochi giorni dopo il loro sbarco, quando Charlotte ha fatto riferimento allo spazio lasciato libero dagli zaini “di quella coppia che c’era a bordo”. Se qualcuno inventasse una macchina del tempo, potremmo andare ad insegnare ai Romani che cos’è la damnazio memoriale. Per questo l’ultima domanda di Charlotte ha fatto suonare nella mia testa un campanellino, che in realtà sembra piuttosto una sirena antiaereo. Evacuare! Evacuare!
“Ah, Raph! Eh sì, mi ricordo.” Fine della conversazione, non so più niente di bussole, almeno finché non avrò ad un libro di teoria della navigazione da presentare al capitano.
Così ora raccolgo dati, in vista del giorno in cui impareremo a fare questi maledetti calcoli, che sono semplicemente somme di angoli. (Manca un passaggio importante di questa traversata, dalle Fiji alle Samoa. Quando la scriverò sarà chiaro cosa ne è stato di Mag e Raph)
Nonostante il cielo sia sereno sopra di noi, la maggior parte dell’orizzonte è carica di grosse nuvole cotonate. Le rotonde volute di vapore sono illuminate di arancione e di rosa, creando un panorama magnifico. Soltanto il capitano storce il naso, perché quelle nuvolacce sono cumulonembi e portano guai.
Più tardi, mezz’ora prima della fine del turno, sopra Valiant incombe un’enorme massa scura. Arriva il vento, poi la pioggia scrosciante. Ce l’avevo quasi fatta, due ore e tre quarti senza bagnarmi da capo a piedi. Pazienza, è solo acqua dopotutto, contribuisce a sciacquare noi sudici marinai.
Alle sei passo il timone al capitano e fortunatamente la pioggia è appena finita. In lontananza, sull’orizzonte nero, è in corso uno spettacolo pirotecnico di lampi e fulmini. Noi che non abbiamo il parafulmine ci teniamo molto, molto a distanza da quei cumulonembi festaioli.
Tornato sottocoperta, non manco il mio appuntamento con il tagliere di pizza. Lord Asparagus si unisce a me e finalmente posso spiegargli che cosa sono i capperi. È possibile essere vegani e non conoscere i capperi? I capperi sono il sale della terra, senza di loro sarebbe una tragedia.
La notte, stranamente, trascorre in maniera tranquilla, con l’oceano che sembra essersi aquietato. Un metro d’onda e brezza a quindici nodi, uno splendore eguagliato solo dalle stelle, che brillano in questo raro cielo sereno. Giove sta per tramontare, Venere sorge un’ora prima del sole. Alle tre Charlotte si sveglia per il proprio turno, ma ha intenzione di lasciar pilotare Mario. Se non è proprio necessario, resto a timonare io volentieri.
Certe volte le ore al timone volano, e oggi sono ancora stregato dalla pace ritrovata di questo immenso pazzo oceano. È sempre una seccatura andare a dormire all’alba, dopo aver passato tre ore a cercare di svegliarmi del tutto. Oggi mi sento più riposato del solito e non posso certo sprecare l’opportunità di un turno extra.
Infine arriva il momento di cedere la ruota a mastro Ernests, che ha dormito saporitamente. Scendo a preparare una lauta colazione, poi ritorno in pozzetto a chiacchierare, ora che finalmente possiamo rilassarci. Lord Asparagus sta riflettendo sul cibo semplice. Per due marinai affamati come noi, riflettere sul cibo è un passatempo meraviglioso.
Dovete sapere che, durante i cinque mesi che mastro Ernests ha trascorso in Sri Lanka, ha mangiato principalmente riso e dhal. Il dhal è una zuppa a base di legumi bolliti, spesso lenticchie o piselli, insaporiti con un mix di spezie a base di curcuma, quello che noi chiamiamo curry. Nel monastero buddista in cui Lord Asparagus ha fatto pratica di meditazione, il pasto quotidiano era di regola riso e dhal. Quando ritornerà in Lettonia con i risparmi della Nuova Zelanda, condurre uno stile di vita semplice sarà la chiave per farne buon uso.
Così ora possiamo esplorare le alternative al riso, perché ad esempio il roti ha riscosso un grande successo. Anche la bsissa tunisina sta calando rapidamente, ora che lui e Charlotte si stanno abituando al sapore particolare del mix. Tra le preparazioni che mastro Ernests ha insegnato a me, sicuramente bisogna menzionare i pancake di patate, che non avevo mai visto prima delle Samoa. Inoltre c’è la nostra grande invenzione del viaggio, che a bordo chiamiamo shitty pancakes. Traducendo in italiano si farebbe ingiuria alla ricetta, per citare Totò li battezzerei “la ciofeca dei pancake”. La ciofeca dei pancake è fatta effettivamente con la ciofeca, cioè lo scarto, della spremitura del latte di cocco. Basta mischiare latte di cocco, acqua, farina e trucioli di cocco già spremuti.
Quando arriveremo a Raiatea, cioè l’anno prossimo, avremo modo di sbizzarrirci con lo scambio culturale. Ci sono diverse preparazioni lettoni che io non conosco e parecchie pietanze italiane e asiatiche che mastro Ernest non ha mai sentito nominare. Senza dimenticare il gos, la gelatina di amido di sago che si mangia nelle pianure della Papua Nuova Guinea. Quello sì che è cibo semplice. Tanti altri ne elenchiamo, bisogna che me li appunti per non dimenticarli.
Così, filando cinque nodi, ci trastulliamo parlando di cibo, mentre Valiant divora le onde e procede verso Sudest. Abbiamo il grande genoa completamente spalancato, con due mani di terzaroli sulla randa.
Entro mezzogiorno abbiamo percorso un totale di 2400 miglia dalla partenza da Apia, che è il doppio della distanza Apia-Raiatea. Solo che siamo a poco più di metà strada.