C’è sempre una prima volta

Aggiunta a ieri: È il caso di issare un pezzetto di randa, per guadagnare velocità e stabilizzare Valiant. Decido che è ora di fare cambio ruoli, perché se tra due settimane mastro Ernests ci lascia, bisogna che impari anch’io i trucchi del mestiere. Così mi preparo a cazzare la drizza, mentre Lord Asparagus libera la penna della vela. Uno, due, sei… Non c’è niente da ridere, contiamo così su Valiant, uno, due e sei. Uno, due, sei, issa! Siamo già a metà issata, quando ci giunge un grido dal pozzetto: “Guardate la drizza dannazione, su sulle crocette!”
Di solito io guardo in su e mastro Ernests issa la vela, quindi non ci siamo accorti che la drizza d’acciaio si è incattivata sulle crocette più alte. È incastrata in un piccolo perno, aggrappata come se avesse le mani. Cerchiamo di scuotere il cavo a casaccio, ma non c’è niente da fare. Interviene Charlotte, per spiegarci come liberare il cavo, ma la sua concitata descrizione a parole è complessa da interpretare. Bisogna prendere il ritmo del rollio della barca, e impartire una frustata al cavo mentre l’albero si sta inclinando sottovento. La chiave è il tempismo, perché il colpo di frusta deve arrivare in cima mentre la barca è sbandata al massimo. Riprendo a issare, ma la manovella del winch diventa durissima, forse qualcosa non va. Certo che qualcosa non va, la penna della vela è incastrata nel lazy jack di sinistra, che da qui non vedo. Calo e isso di nuovo, agganciando la bugna della seconda mano di terzaroli. “No Paolla, quella è la terza mano, no?” Oggi non ne va bene una, ho agganciato l’occhiello sbagliato. Calo e isso di nuovo, cazzo la drizza e siamo a metà del lavoro. Una volta tesata la cima della seconda mano e i lazy jacks, basta addugliare di nuovo le due cime dei terzaroli e mettere in sicurezza la drizza. Fatto, c’è voluta solo mezz’ora, è stata l’issata peggiore di questi tre mesi. Almeno ho imparato molto, è questo che conta.

Lezione di ieri: è bene portare sempre con sé un buon regalo.
Martedì 17/10/2023 Oceano Pacifico (Samoa)
Il cielo va schiarendosi, ma l’orizzonte resta popolato di nuvole scure e cortine di pioggia. regoliamo spesso la dimensione del genoa, operazione piuttosto tediosa perché non sono del tutto in forze, c’è qualcosa che non va. Forse mi sto ancora adeguando al rollio, anche Ernests non ha ancora toccato cibo. Anche le osservazioni di sole con il sestante sono faticose, ma sono importanti ai fini del mio progetto e non si possono procrastinare. Per il resto risparmio energie, non sappiamo quanto a lungo durerà questo tempo balordo.
Nel pomeriggio il vento cala, ma non certo il mare. Riduciamo la vela al tramonto e ci prepariamo ad un’altra notte di navigazione al buio. Finisco il turno e mi rifugio in cuccetta a dormire. Mi sveglio con il motore acceso, e anche il frigo è acceso. Insieme stanno scaldando l’ambiente, dove l’aria non circola perché gli osteriggi devono restare chiusi. Charlotte è indaffarata, come sempre, così balzo dal letto per dare una mano. Continuo a essere sensibile al rollio, anzi mi sa che questa è la volta buona che…
Corro in pozzetto, questa volta non c’è scampo. Mi sdraio con la testa fuoribordo, rivoltando il contenuto dello stomaco, vuoto. Uno sputo in mare ed è fatta, sono come nuovo. Mi giro verso Ernests, ancora sconvolto per questa scena così inaspettata. “Molto bene, anche questa è fatta. Aspettavo da tempo che il Pacifico mi facesse venire il mal di mare, c’è riuscito finalmente. È per questo che dici sempre di non aver mai sofferto di mal di mare, finora.” Ernests pensa che questo mal di mare sia molto strano, di solito non si risolve all’improvviso dopo il primo vomito. Forse è qualcosa che ho mangiato. Può darsi che fossero le papaye della mattina della partenza, come al solito erano parecchio mature e con qualche puntino dal sapore piccante. Non so bene il perché, ma di sicuro sto molto meglio di prima. Torno a sdraiarmi, cullato dalla sinfonia del motore.
Il turno dalle tre alle sei è parecchio noioso, abbiamo poca vela per navigare in sicurezza, il mare si è calmato e anche il vento. Valiant si trascina a quattro nodi di velocità e il cielo coperto non offre neanche le stelle da guardare. Ho la testa ciondolante, così timono in piedi, saldamente aggrappato alla ruota. Sonnecchio ancora, mi accendo e mi spengo ogni quindici secondi per correggere la rotta, così alle cinque e mezza il capitano mi trova in piedi, ma con la fronte appoggiata sulla ruota. Mi ha scoperto, bisogna che oggi recuperi.
Passo la mattinata a riposare in ogni momento disponibile, mentre il cielo resta coperto e piovoso. Le onde aumentano di nuovo e al timoniere è garantita una doccia di acqua salata.

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