Bingo, Riçard mi ha trovato

Lezione di ieri: Le notti fredde e ventose servono per dormire in ostello e lavare tutto.

Mercoledì 24/11/2021 7:12 – Podgorica (Montenegro)

Stamattina invece di mettermi avanti con i racconti è meglio caricare online le foto della GoPro, visto che questa sim montenegrina mi dà diritto a 500GB in una settimana e io probabilmente ne userò un millesimo.

9:52

Basta, lasciamo perdere, deve esserci un problema nel bluetooth del telefono, perché non riesco più a connetterlo alla GoPro. Questo significa che per il momento le foto e i video sono intrappolati nella scheda SD finché non trovo un computer in grado di leggerle. C’è un computer qui all’ostello, ma è troppo recente per supportare ancora le schede SD, legge solo CD ROM e l’ultimo modello di floppy disk.
Dopo l’insuccesso con le foto raccolgo il bucato e faccio quattro chiacchiere con Chloe, che ha qualche anno in meno di me e lavora qui all’ostello tramite Workaway e proviene da Baku, in Azerbaijan. Mi dà qualche informazione utile riguardo ai confini tra gli stati caucasici. L’Azerbaijan è spaccato in due dall’Armenia, e a quanto pare gli azeri devono prendere l’aereo per raggiungere l’altra metà del paese, altrimenti devono per forza aggirare l’Armenia da Nord. Chloe prima di venire in Montenegro era in Cina a insegnare inglese, ma poi è stata espulsa a causa della pandemia.
Poco dopo conosco anche Kamal, che come me è arrivato ieri in autobus e riparte oggi in aereo. Mi consiglia di visitare il suo paese, che è molto bello e le persone sono molto ospitali. Mi propone anche di andarlo a trovare a Dakka, se passerò per di là.
La mattina è andata, esco e vado in centro per incontrare Espe e Diego, gli spagnoli incontrati a Mostar, e per cercare un negozio che riesca a sistemare il bluetooth.
Diego non mi risponde e nessuno tratta telefoni Oukitel, mi sa che a questo punto dovrò farlo aggiustare ad Hong Kong. Niente, prima o poi incontrerò un computer e un proprietario generoso, basta avere pazienza. Almeno ho scoperto che la sim del Montenegro funzionerà in roaming fino al primo dicembre, che è perfetto.
Faccio dietrofront e torno verso l’ostello per fare la spesa e poi uscire dalla città. La prossima destinazione è Pejë, che non capisco come si pronunci. Qualcuno dice “pec”, qualcuno “peia”, qualcuno “pei”, comunque è lì che vado, a 250 km da qui. La strada in teoria sarebbe molto più breve, ma la scorciatoia è una stradina di montagna con dei tratti non asfaltati.
In previsione del lungo viaggio che mi aspetta, due o forse tre giorni, faccio una spesa abbondante e l’unica cosa che dovrò acquistare sarà il pane. Finalmente trovo il riso, della cui esistenza cominciavo a dubitare, visto che lo cerco da due settimane. Non è vicino alla pasta, altrimenti l’avrei trovato facilmente, l’hanno nascosto tra lo zucchero e l’olio, in base a non so quale abbinamento culinario del Montenegro.
A venti minuti a piedi c’è la pompa di benzina che la proprietaria dell’ostello mi ha consigliato per l’autostop, quindi compro anche due porzioni di burek da passeggio. È una preparazione onnipresente nel Sud dei Balcani, che consiste in un rotolo di sfoglia avvolto a spirale e farcito di formaggio fresco, spinaci oppure carne macinata. Finito di mangiare faccio una di quelle cose che qui contraddistinguono i turisti, cioè conservare la carta fino al primo cassonetto.

13:40

Sul cartello scrivo Bioče – Kolašin, meglio mirare in basso quando si esce dalle capitali. Il sole è già basso qui nella zona Est del fuso orario +1, quindi mi metto in testa il cappello per riuscire a guardare in faccia gli autisti. Sono ad un incrocio, ma dopo venti minuti ancora non si è fermato nessuno. La strada da questo lato è a due corsie, quindi sicuramente quelli che vanno lontano viaggiano sulla sinistra e non si fermeranno mai. Proseguo per un paio di chilometri, dove la strada si restringe subito dopo una rotonda in costruzione. Uscendo dalla rotonda le auto si fermano in coda e procedono a passo di lumaca, sembra che ci sia un ostacolo. Il problema è che c’è un metro di strada non asfaltata e lo scalino per risalire è netto e alto tre dita. Ci si potrebbe mettere letteralmente qualsiasi cosa per ridurre il dislivello, anche solo un’asse di legno una secchiata di ghiaia. Ma sai che fatica sarebbe?
Qui la strada ha una sola corsia per senso di marcia e il posto è perfetto. Aspetto un po’, ma nessuno si ferma, solo una donna a piedi che ci tiene a farmi sapere, serbo-croato, che secondo lei “non si fermerà nessuno”. Grazie, molto gentile e a non rivederci.
Si fermano ben due macchine, ma sono proprio i residenti delle due case che ci sono qui. Dopo una mezz’ora arriva una Renault Trafic gialla, accosta e mi fa segno di salire. Come si può immaginare, sono incredulo.
A bordo c’è Riçard (si legge Richard), proveniente da Basilea, in Svizzera. Ha una ditta che si occupa di edilizia ed è un appassionato maratoneta. Non è solo un corridore, ma anche un ciclista e un escursionista, dice che si è fermato perché ha visto il mio grosso zaino, che fa di me un passeggero interessante.
Prima di abitare all’ombra delle Alpi ha vissuto a New York, dove ha conosciuto la moglie svizzera, ma è originario di Pejë, ed è là che sta andando per consegnare questa macchina e gli oggetti che ci sono nel retro.
Il mio nuovo autista non è solo un maratoneta corridore, ma è anche un maratoneta del volante. Si è svegliato ieri alle sette, è andato al lavoro, poi ha caricato in macchina una marea di oggetti scartati dalla cantina durante un recente trasloco ed è partito per il Kosovo alle dieci e mezza. Nella notte è arrivato in Croazia ed è sceso lungo la costa per poi imboccare la strada tortuosa che attraversa il Montenegro e ora prevede di arrivare per le otto. È soddisfatto di queste 22 ore di viaggio, è un buon tempo.
La strada per la Serbia sarebbe di tre ore più breve, ma la Serbia è meno bella ed è piena di serbi, quindi lui fa sempre questa strada per venire in Kosovo.
Gli racconto del mio amico Aleot, che due anni fa guidò per 18 ore da Reggio Emilia a Dunkirk mangiando cioccolato come carburante per rimanere sveglio. Si Mette a ridere e mi dice che lui mangia un po’ di tutto, non ha un segreto per guidare così.
Mi aspettavo di visitare per almeno un giorno anche questa parte del Montenegro, ma poi decido di seguirlo fino a Pejë, anche perché lui mi assicura che le ragazze sono bellissime nella sua città.

15:30


Lasciata Podgorica, la strada sale in un canyon scavato nella roccia e improvvisamente compare un enorme viadotto con la bandiera di stato che copre per intero il pilone centrale. Questa è l’autostrada commissionata tempo fa dal Montenegro a un’impresa cinese, che però procede a rilento e gli oneri finanziari stanno diventando così gravosi che il Montenegro sta considerando di vendere, o forse ha già venduto, parte del suolo nazionale come forma di pagamento. Ognuno tragga le proprie conclusioni.
Richard ha un figlio, Julian, che ha nove anni, gioca a calcio e ha corso 10km mentre Riçard correva l’ultima maratona. L’altra figlia, Majlinda ha cinque anni e corre 600 metri. Ha imparato ad andare in bicicletta quando aveva tre anni e mezzo, partendo senza rotelle perché aveva visto che gli altri bambini non le usavano. Il giorno che ha ricevuto la bici Riçard aveva mal di schiena e non poteva aiutarla più di tanto, quindi ci ha pensato sua moglie. Dopo il primo giro intorno alla casa Majlinda non voleva più nessun aiuto e dopo pochi minuti pedalava già da sola. Non male, io se ricordo bene ho imparato a sette anni.
Dopo questo parliamo del Kosovo, perché non ho letto nulla su questa parte dei Balcani prima di partire, so solo che c’è stata la guerra con la Serbia.
Sostanzialmente la guerra in Kosovo è stata, come in Bosnia, un tentativo fallito di pulizia etnica, in cui l’esercito serbo ha avuto la peggio contro i partigiani kosovari dell’UÇK, grazie anche al contributo finale della NATO. La guerra è durata poco più di un anno, ma Riçard ricorda bene che al suo ritorno Pejë era completamente annerita dal fuoco e dalle esplosioni. Tutto distrutto tranne la fabbrica di birra e un altro edificio nelle vicinanze. Il fatto è che la popolazione del Kosovo è quasi interamente albanese e rivendica con forza la propria identità nazionale, il che è tuttora inaccettabile per il governo Serbo. Anche se formalmente le carte geografiche riportano una linea di confine, di fatto il Kosovo si considera parte dell’Albania e non ci sono controlli di frontiera sul confine in comune.
Il Kosovo è famoso nel mondo per il suo eroe nazionale, Gjorgj Kastrioti Skënderbeu o Skanderbeg, una signore feudale albanese che combatté per l’indipendenza del territorio occupato dagli ottomani, dalla Serbia fino alla Grecia, per poi combattere anche per il Regno di Napoli e la repubblica di Venezia, impedendo l’avanzata dell’Impero Ottomano in Europa.
Anche madre Teresa era di origine albanese, pur essendo nata a Skopje, inoltre Pejë ha fama mondiale per la propria scuola di judo.
Ci sono un paio di problemi in Kosovo, a parte la questione dell’indipendenza, e il primo è quello del randagismo canino. Durante la guerra, qui come in Bosnia, i cani sono stati abbandonati e nel 2000 ce n’erano così tanti che l’unica soluzione adottata era l’abbattimento. Ora che le cose vanno un po’ meglio ci sono le risorse necessarie per catturare e sterilizzare i cani, in modo da non doverli uccidere. È proprio un amico di Riçard a occuparsi della gestione dei cani a Pejë. Il secondo problema sono i kosovari, che non sono capaci di usare i cestini e spargono i rifiuti ovunque.
Tra un discorso e l’altro Riçard finisce per offrirmi ospitalità a casa di suo padre a Pejë, fino a domenica se serve, perché dovrei vedere una persona domenica mattina per fare un’escursione in montagna. Accetto volentieri.
Tra gli argomenti trattati, ci sono le barzellette sul Montenegro. Dov’è che i montenegrini nascondono i soldi? Sotto la pala, nessuno si sognerebbe mai di sollevarla.
In Montenegro, il dirigente di un’azienda prossima all’apertura convoca in riunione tutti i dipendenti per illustrare l’organizzazione del lavoro durante la settimana. “Al lunedì, ci si riposa in vista del lavoro da svolgere. Al martedì, pianifichiamo il lavoro per mercoledì. Mercoledì si lavora, quindi il giovedì è il giorno di riposo. Venerdì si festeggia il successo di mercoledì e sabato serve per riprendersi dal venerdì sera. Domenica è festa e ci si riposa per essere pronti a iniziare una nuova settimana.” Nella sala sono tutti soddisfatti e applaudono a questa ragionevole pianificazione, ma uno dei lavoratori alza la mano per parlare. “È un’ottima organizzazione, ma avrei una domanda: si lavora tutti i mercoledì?”

19:30

Dopo ore e ore di viaggio, superando un fiume che porta il nome di un mio amico (ciao Tara!) arriviamo a Rožaje, 1200m di quota, e gli abeti cominciano ad essere coperti di brillantini. La prima neve!
In breve arriviamo alla frontiera con il Montenegro, va tutto liscio e dopo diversi chilometri troviamo la dogana del Kosovo. L’ufficiale e Riçard, entrambi albanesi, si salutano da amici, anche se non si conoscono affatto. Dopo i convenevoli il mio autista deve andare a stipulare una nuova assicurazione per la macchina, perché quella svizzera non viene riconosciuta qui.
Scendiamo a Pejë, che si trova 1600 metri più giù, nella pianura alla base di queste montagne. Qui la guida è una vera e propria disciplina sportiva sembra di essere in India, ma sono ancora in Europa. C’è qualche semaforo e qualche rotonda qua e là, ma sono molti meno degli incroci della città e le macchine seguono traiettorie inaspettate. Più insegnare che il codice della strada, qui le autoscuole insegnano ad evitare gli incidenti.
Lasciamo la macchina in uno dei tanti parcheggi di ghiaia della città e andiamo verso il centro. Faccio per prendere lo zaino, ma Riçard mi dice che è al sicuro lì, è anche un parcheggio custodito. Se lo dice lui… In una macchina qualsiasi parcheggiata al centro ci sono i due custodi, lui gli allunga un euro e proseguiamo. Continuo a spiegare l’importanza dello zaino e Riçard nota che la mia faccia si sta contorcendo in una smorfia di dolore come una madre che abbandona il figlio al primo giorno d’asilo. Mi apre la macchina e corro a prendere lo zaino.

21:10

Entriamo al bar Dio a prendere una birra Peja, di produzione locale, incontrando due amiche di Riçard, che escono dal locale.
Dopo la birra passiamo a salutare un attimo Henri, un appassionato alpinista, per consegnargli qualche regalo proveniente dal retro della Renault Trafic. Già che ci siamo, Riçard chiede se Henri mi può portare con sé quando andrà in montagna domenica. Affare fatto, dopo questo rapido incontro si va in un ristorante a incontrare Eduard, o Edi, un caro amico di Riçard che fa il piastrellista e sta ristrutturando la propria casa. Dopo cena andiamo a casa sua, dove c’è un grande cammeo di Skanderbeg incastonato nello stipite della porta, appena ritinteggiato. La prossima destinazione è un altro bar. Stavolta vado sul furgone con Edi, ma prima di partire lui mi fa assaggiare la Rakia, nella versione aromatizzata alla noce. Sembra quasi nocino, un liquore che si produce a Reggio, ma questo è un distillato ed è dolcificato con il miele, al posto dello zucchero che si usa solitamente per il nocino.
Al bar Vanilla si ripete la stessa scena dello zaino, con Edi che mi assicura che nel suo paese lo zaino è al sicuro. Il furgone è parcheggiato davanti alla vetrata del bar, quindi per stavolta può rimanere lì. Il roaming continua a non funzionare, ma per fortuna in tutti i bar c’è il wifi.
Prendiamo un caffè con Edi e poi mi viene offerto anche un bicchiere di boza da assaggiare. La boza è una bevanda fresca molto diffusa da queste parti, fatta di acqua e farina leggermente fermentata. Questa in particolare è a base di farina di mais.
Nel frattempo Edi e Riçard si aggiornano sulle novità degli ultimi cinque mesi, e poi ricevo anch’io un po’ di domande su di me e il mio viaggio. A questo punto Riçard inizia ad essere un po’ stanchino, perciò andiamo a casa di suo padre.
In una laterale di via Krasniqi, lo stesso cognome del mio ospite, c’è uno stretto passaggio tra un muro e una staccionata nuova di zecca, in fondo c’è la casa di Martin Krasniqi, il papà di Riçard.
Dopo un’oretta insieme, Riçard va a casa e io rimango con Martin, che parla solo albanese e tedesco, ma in qualche modo riusciremo a capirci anche dopo che Riçard sarà tornato in Svizzera venerdì. In totale il nostro eroe autista è stato sveglio per una maratona di ore, cioè più di 42 ore e 12,5 minuti.
Per oggi è abbastanza anche per me, scrivo qualcosina e vado a letto, che è un letto a tre piazze.

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