Autostop verso il caldo

Lezione di ieri: mai fossilizzarsi su una destinazione solo perché la si è ripetuta cento volte.
Venerdì 14/01/2022 7:48 Göreme (Turchia)
Meglio finire di scrivere l’articolo di ieri sera, perché stasera non farà caldo e se ci sono meno di cinque gradi non riesco a scrivere fuori dal sacco a pelo. Se entro nel sacco a pelo facilmente mi addormento e quindi conviene fare tutto prima.
Scendo nel salone e Yusuf sta a cora dormendo sul divano. Faccio pianissimo ma si accorge lo stesso di me, per fortuna mancavano solo quindici minuti alla sveglia. Mangio la mia colazione, poi anche la colazione che mi prepara lui. Stamattina Taha andrà a Nevşehir accompagnato da una persona conosciuta tramite Couchsurfing, perciò ci auguriamo buon viaggio. Torno su, faccio la doccia e svuoto la camera dalle mie cose.
11:05
Lo zaino è pronto, posso salutare tutti e andare. Anzi, magari è meglio se mi lavo i denti prima di partire. Dov’è lo spazzolino? Bella domanda, non si trova. Svuoto tutto lo zaino in mezzo al corridoio e proprio là in fondo, nella tasca dei pantaloni puliti avvolti insieme alle magliette belle dentro ad un sacchetto impermeabile ecco lo spazzolino. Un posto più scomodo non c’era.
Faccio per andare il bagno, ma è occupato dall’imbiamchino che sta rifacendo l’intonaco nei punti in cui si è rovinato. Si è appena lavato la faccia e sta usando l’asciugamano che ho lasciato appeso alla porta a vetri, che palesemente non è una salvietta comune.
Quando ha finito entro in bagno io e controllo da che parte è l’etichetta. Mi dispiace amigo, hai sbagliato lato.
Trovata la pecorella smarrita scendo in salone a scrivere un’ultima cosa e parto verso Avanos, la prima tappa per raggiungere la strada principale per Malatya.
Prendo lo zaino, i cartoni, il bastone, la mia tanica d’acqua e poco fuori da Göreme trovo il primo passaggio grazie a Bolcan (Si legge bòlgian). Sta andando poco oltre Avanos, verso la sua azienda che produce aceto di mele e aceto di vino. Ha quarant’anni e due figli, ma non so perché dimostra trentacinque anni al massimo. Parla inglese e vuole sapere un sacco di cose sul mio viaggio, prima di farmi scendere poco dopo la confluenza tra le due strade che passano a Nord e a Sud di Göreme e vanno verso Kayseri. Da Göreme a qui abbiamo superato un paio di cani morti di freddo a bordo strada, non immagino come sia la situazione più a Est.
Torno indietro a piedi e aspetto al sole che arrivi qualcuno, dato che il passaggio di auto è abbastanza scarso. Il passaggio successivo me lo danno Viktor, Xera, Julia e Albert. Li saluto con “Merhaba, nerede gidiyorsun”, ma mi guardano con facce perplesse, infatti sono Ucraini. “Hello, where are you going?” (ciao, dove andate?) funziona decisamente meglio, stanno andando in centro a Kayseri. Julia è la figlia di Viktor e Xera, mentre Albert è il loro cane, che si rifugia in braccio a Julia perché il mio zaino è instabile sulle mie gambe. Viktor di mestiere vende mobili, quindi si dà il caso che vada spesso da Lviv a Milano per partecipare ad una fiera e grazie a questo lui e la moglie hanno imparato anche un po’ di italiano. Evidentemente bastava chiede “Ciao, dove andate di bello?”
La famiglia è diretta a Kayseri perché andrà a sciare sul monte Erciyes, un vulcano spento alto 3900 metri. Non sapevo che ci fosse una cima del genere qui vicino e come d’incanto appare la vetta, emergendo dalle nuvole tre chilometri sopra di noi.
Cerco di spiegargli dove sto andando e loro mi portano in una direzione che non mi aspettavo, proseguendo poi verso Nord. Non ho capito dove stessero andando, comunque ho già capito che qui non passa quasi nessuno diretto verso Est, bisogna camminare mezz’ora e arrivare allo svincolo che porta a Buğdaylı.
Arrivato là incontro Murat e Talha, due amici sui quarant’anni, che stanno facendo un percorso brevissimo ma mi suggeriscono di cambiare cartello e scrivere Pınarbaşı, o addirittura Malatya. Malatya mi sembra un po’ troppo distante, facciamo una via di mezzo.
Il trasporto successivo lo vincono Mustafà e Alì, che mi aiutano a superare l’ultimo tratto di città fino all’ultimo ingresso della strada che circonda Kayseri. Sono già le 15:30 e non ho ancora lasciato Kayseri, aggirare la città è più complesso del previsto.
Mentre sono in piedi vicino all’incrocio, due venditori di arance mi chiedono di dove sono e se voglio un po’ di frutta. Sono a posto, adesso la vitamina C non è prioritaria. Si ferma un camion e salgo a bordo della grande cabina. Prima di lasciare la strada uno dei venditori di arance mi corre incontro e mi allunga un’arancia già tagliata a spicchi. In cima alle scale del camion mi aspetta Neizdet, un camionista che trasporta grano da Çorum (si legge ciorum) a Gaziantep. Le nostre strade si divideranno a Pınarbaşı, a ottanta chilometri da qui.
La città di Kayseri, specialmente in questa parte della periferia, si sta espandendo a vista d’occhio ed è formata da una moltitudine di condomini a otto o dieci piani, dipinti di colori sgargianti. Prima di lasciarceli alle spalle incontriamo anche i cantieri dei nuovi edifici ancora in costruzione.
Neizdet ha circa cinquant’anni, parla solo turco e mi spiega che percorre sempre questa strada, abita a Çorum e ha tre figli. “Sono meglio le strade turche o le strade italiane?” mi chiede. In effetti questa strada è ottima, però è l’equivalente di un’autostrada, è normale che sia tenuta bene. Secondo me sono simili.
Fa parecchie telefonate ma con me non è un gran chiacchierone, quindi arriviamo con calma a destinazione e mi faccio lasciare al bivio per Malatya, proprio cinque minuti prima che tramonti il sole oltre le montagne.
Da qui vedo un posto in cui poter appendere l’amaca, ma sarebbe molto meglio spostarsi più a Est, perché stanotte a Pınarbaşı sono previsti dieci centimetri di neve. Risalgo un po’ la strada e scrivo Malatya con il pennarello cinese. Il sole è già tramontato e fa già un freddo cane, in più per scrivere con questo pennarello bisogna andare piano piano, altrimenti smette di scrivere. Per fortuna sto scrivendo su un cartone bianco, così la sfumatura grigia dell’ultima A si legge lo stesso.
17:03
Tempo cinque minuti e si ferma una macchina, stupendo. “Merhaba, nerede gidiyorsun?” “Malatya’da gidiyorum.” Incredibile, va a Malatya. La mia faccia ghiacciata si illumina e salgo a bordo con Rıdvan, un uomo di quarant’anni che è ingegnere geologo, o qualcosa del genere. In pratica dirige i lavori di trivellazione quando viene individuato un nuovo giacimento minerario. Ha viaggiato tantissimo, non solo attraverso la Turchia ma anche in Kenya, Namibia, Sudafrica, Mozambico, Burkina Faso e diversi altri. Purtroppo viaggia sempre per lavoro, non ha mai avuto modo di visitare questi paesi come si deve, tuttavia l’Africa gli piace. Lavorando così spesso in trasferta una settimana ogni quattro torna a casa a Malatya, dove lo aspetta la figlia di otto anni. Stamattina presto è partito da Ankara, distante 450 chilometri da qui. Ne abbiamo davanti altri 250, quindi arriveremo tra un bel po’.
Dopo Pınarbaşı, il paesaggio cambia e restano solo la neve, i tralicci e la strada. Non siamo più nella spianata del lago Tuz, qui il paesaggio è collinare e la strada sale e scende, prima di Malatya dobbiamo superare diversi passi di montagna, tutti rigorosamente privi di case, alberi, cespugli, picchi rocciosi. È una grande distesa di terreno sassoso e brullo, con le cime arrotondate. Tra i rarissimi paesini, ce n’è anche uno che porta il nome di Erdoğan.
A Rıdvan piace il proprio lavoro, gli ha anche dato modo di imparare l’inglese. Improvvisamente le montagne finiscono e si apre una valle coperta di lucine gialle, da destra a sinistra e fino all’orizzonte. Malatya è decisamente più grande di quanto immaginassi.
Per mia sfortuna Rıdvan abita a Nord della città, prima del centro, quindi mi lascia sulla strada principale a una notevole distanza dai margini del centro abitato. Ma cosa sto dicendo? Riconsidero subito la giornata e direi che la mia sfortuna l’ho lasciata molto indietro oggi, non pensavo neanche lontanamente di arrivare a Malatya in giornata, percorrendo più di quattrocento chilometri. A quanto pare in Turchia ci si può aspettare di percorrere almeno il triplo della distanza rispetto ai Balcani.
Dove vado adesso? L’ideale sarebbe percorrere dodici chilometri e arrivare fino alla fine della città, ma mi sembra un po’ eccessivo, meglio deviare verso una zona boscata a Nord e suddividere il percorso tra stasera e domattina.
20:23
Mi incammino lungo la via principale di Malatya e dopo un’ora la fine della città è molto più vicina di prima. Le camminate riscaldanti riaccendono l’ottimismo, si sa, quindi decido di ottimizzare il percorso e arrivare nel posto giusto per essere già pronto a fare l’autostop domani mattina.
La via è bene illuminata e le case sono fitte qui in centro perciò si può capire la mia sorpresa quando vedo un rapace volare tra i rami dei platani. Mi avvicino e mi fermo a fissarlo dal basso, fino ad appurare che si tratta di un allocco. È solo il rapace notturno più comune d’Europa, ma non ne ho mai visto uno.
Questo incontro è sufficiente a spezzare la camminata, riparto come nuovo con davanti solo sei chilometri. Ormai sono in una parte di mondo di serie B, non ci sono foto satellitari dettagliate di Malatya, intravedo un frutteto o un uliveto ma non saprei dire se ci sono delle case vicino, bisogna controllare sul posto.
23:35
Anche a Malatya si sta costruendo intensamente, gli ultimi edifici che vedo sono tre condomini in costruzione. Come di consueto, tre cani mi abbaiano contro, proprio mentre sto sparendo nell’ombra. Salgo lungo la strada sterrata che porta alla zona con i filari di alberi, che si rivela un frutteto situato a cinquanta metri da una casa. Come minimo c’è un cane, meglio tornare indietro prima che mi noti.
Dalla strada scendo lungo un pendio incolto con grandi massi e alcuni alberi, fino ad arrivare abbastanza lontano dalla strada in un punto adeguato ad appendere l’amaca. Appoggio lo zaino e faccio un giro esplorativo più su in cerca di un posto più riparato dalla vista. Trovo una zona di terreno pianeggiante, circondata da un semicerchio di alberi, un posto perfetto per piantare la tenda.
La luna è alta nel cielo e mi sto spostando senza torcia, così sono anche meno visibile. Il terreno è praticamente privo di erba ed è gelato in superficie. Riesco a piantare il bastone con facilità, ma se il gelo fosse penetrato più in profondità sarebbe un problema. I sassi sparsi per terra però sono incollati al suolo. Per spostarli devo sradicarli insieme alla zolla che hanno sotto, lasciando i buchi nel terreno.
00:12
Stendo il telo azzurro e lo picchetto insieme a quello blu. Fa già decisamente freddo e mi lancio nella tenda a mettere tutto in ordine per la notte, visto che per stanotte è previsto un -4°C.
Metto i mandarini nel sacco a pelo per evitare che mi si congelino e la tanica d’acqua va nell’angolo vicino alla testa per tenere il telo sollevato. Mi stendo accanto allo zaino, schiena contro schiena.

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