Lezione di ieri: Ci si può anche derubare con le proprie mani.
Domenica 14/11/2021 6:35 – Mostar (Bosnia e Erzegovina)
Ho sognato varie volte che i sedicenti tedeschi si ripresentavano. Se avevano ragione i greci, i sogni fatti al mattino si avverano, ma temo che sia una scemenza come quella delle salamandre ignifughe di Aristotele.
Fuori piove e gli altri dormono, quindi resto a letto e provo a scrivere, ma mi riaddormento.
9:00
La colazione consiste in una frittata sottile, pomodoro a fette, una sottiletta e pane. In più c’è anche una tisana calda. Ci vorrebbe una nonna in ogni ostello.
Finalmente si è svegliato anche il nostro compagno di stanza, che si chiama Steve ed è un reporter. Come si può immaginare dalla sua borsina con scritto Tesco, è inglese.
È tornato qui per fare un servizio sulla situazione in Bosnia a quasi trent’anni dalla fine della guerra, intervistando le persone per strada per capire a che livello sono le tensioni sociali nel paese. Come ho percepito anch’io parlando con i miei autisti, le divisioni sono ancora nette. Sebbene nessuno voglia tornare di nuovo a combattere, alcuni degli intervistati a Mostar aggiungono anche che sono pronti a combattere per difendere la propria terra. Combattere sì, ma la guerra no. Che differenza c’è? Inoltre Steve è andato anche nella periferia di Mostar a parlare con un uomo che ha un problema a una gamba e alla vista e vive in una baracca, per dare un’idea delle condizioni di estrema povertà in cui vive una parte della popolazione.
Ha fatto un sacco di foto e gliene restano due sull’ultimo rullino, una per la persona che sta per incontrare stamattina e un’altra per sé come ricordo prima di rientrare a casa. Gli chiedo perché lo fa e mi risponde che in realtà non lo sa, non è stato inviato da un giornale, è tornato qui a proprie spese. Semplicemente pensa che sia importante raccontare che cosa sta accadendo in questo paese di cui non si sente parlare mai, per mostrare queste fragilità. Purtroppo deve andare, ma almeno abbiamo fatto buon uso di questi quindici minuti.
Resto in camera a scrivere mentre aspetto di incontrare Antun. Dopo poco arriva la nonna a rifare il letto di Steve e ne approfitto per spiegarle che resterò fino a martedì perché fino ad allora non riesco a pagarla. La prende bene e risponde “Va bene, pagherai quando riesci.”
11:00
Più tardi esco per vedere Antun, che mi riconosce grazie al cappello blu e mi porta in un bar con la terrazza sul fiume Neretva. Ci incontriamo sullo Stari most, il ponte vecchio, e lo stesso cane di ieri mi segue e prova a mordicchiarmi una gamba, quel simpaticone. Ho anche fatto la doccia, ma si vede che è la mia faccia che non gli piace.
Antun ha 31anni e parla inglese a fucilata, ma non ha mai vissuto in paesi anglofoni, fa il cameriere nei bar e parla con molti stranieri.
Gli chiedo se nei giorni scorsi c’è stata una piena qui a Mostar e scopro che quella che vedo qui sotto è proprio la piena che sta arrivando. Lo Stari most è così alto che ci potrebbe passare sotto il Nilo, ma quel rigagnolo che vedo è il fiume in piena, molto bene. Se non altro non siamo a rischio di alluvione.
Gli racconto brevemente la fine della mia intensa serata di ieri e dopo quindici minuti dal nostro primo incontro lui ha già deciso di dedicare metà del suo giorno libero per aiutarmi a cercare quella Golf rossa, che avendo una perdita così grossa non sarà troppo lontana. Provo a spiegargli che con tutto quell’olio potrebbero essere già chissà dove, ma ormai il mio investigatore privato è partito. Vista la sua generosità provo almeno a pagare il conto del bar, ma niente da fare. Riesco a fargli accettare i miei due euro perché sono irlandesi e mancano nella sua collezione.
Partiamo con la sua macchina e mi dice che ha preso la patente due mesi fa, ma mi posso fidare. Io mi fido di più dei neopatentati perché si ricordano ancora come si fa a guidare, quindi non c’è problema.
Il problema invece è riconoscere i posti in cui sono stato adesso che è giorno. Anzi, il compito più difficile è ricostruire la sequenza degli spostamenti, perché tutto quel girare avanti e indietro tra ATM, McDonald’s e distributori ha mescolato tutti i ricordi. Inoltre io non saprei riconoscere il motel in cui i tedeschi dicevano di voler dormire, perché hanno accennato un “Qui c’è il nostro albergo” senza indicare nessun posto in particolare.
Tutta la buona volontà di Antun non basta a farmi tornare la memoria, quindi alla fine lasciamo perdere e passiamo a prendere due viaggiatori spagnoli che come me hanno contattato Antun attraverso Couchsurfing.
Hanno una faccia simpatica e sembrano decisamente più giovani degli altri viaggiatori che ho incontrato, infatti hanno venticinque anni. Espe e Diego hanno studiato entrambi infermieristica e si sono conosciuti all’università. Si sono lasciati e poi sono tornati insieme.
Sono particolarmente solari, hanno la risata facile e si spostano spesso in autostop, ma sono diretti a Nord, non verranno con me. Anche loro quando piove non si spostano e aspettano che smetta.
Trasportati dalla nostra guida locale, andiamo a visitare Blagaj, dove c’è un monastero derviscio costruito accanto alla più grande sorgente carsica d’Europa (I dervisci per l’Islam sono l’analogo dei frati mendicanti). Poco prima della destinazione c’è un ampio parcheggio dove lasciare la macchina, ma Antun conosce i due che controllano gli accessi e per un paio di marchi ci lasciano passare. “C’è gente che si lamenta della corruzione in Bosnia, ma basta saperla sfruttare” commenta il nostro autista.
Cento metri prima della sorgente c’è qualche chiosco, ma sono quasi tutti chiusi in un giorno così.
Attraversiamo un ponte sulla destra e finalmente vediamo la sorgente. Da sotto a una parete di roccia alta una settantina di metri e quasi nera per via della pioggia, un’enorme cavità naturale quasi sommersa riversa un fiume d’acqua in un alveo che normalmente ospita un torrente. I tagliacque del ponte su cui siamo, cioè quelle strutture che dividono il flusso ai lati dei piloni, sono già sotto una spanna d’acqua e resta poco più di mezzo metro di luce sotto ai due archi.
Di là dal ponte, a pochi metri, ci sono alcune tettoie sotto cui nuotano le anatre e sotto le anatre ci sono i tavoli e le sedie dei bar, rovesciati. La sorgente non è che il tunnel di scarico di un sistema di grotte e deve avere una strozzatura a monte, perché a giudicare dalla pressione con cui l’acqua fuoriesce dalla cavità e si immette nel bacino antistante, ci sarebbe abbastanza acqua per riempire completamente la galleria di uscita, larga una decina di metri. Normalmente questo posto sarebbe carino, ma oggi lo spettacolo è impressionante, soprattutto per i proprietari di quel bar costruito in modo da sporgersi sull’acqua.
Andiamo a visitare anche il monastero derviscio del XVI secolo grazie ad Antun, che dopo un po’ di trattative riesce a farsi dare quattro biglietti pagandoli con i due euro che gli ho dato. Normalmente la tariffa per il turisti è 10 marchi, e noi siamo entrati al prezzo degli abitanti locali, un marco a testa.
L’edificio è a due piani, intonacato di bianco e con i tetti e i mobili interni di legno scuro. Prima di entrare ci togliamo le scarpe e Espe si copre i capelli con uno dei foulard che ci sono all’ingresso. I pavimenti all’interno sono ricoperti con tappeti di colori sgargianti e alle pareti c’è qualche quadro che mostra la perizia calligrafica di questi monaci. Le finestre a vetri si affacciano proprio sulla sorgente roboante, immaginiamo che non fosse facile per i dervisci abituarsi a questo rumore incessante. Giù, all’ingresso della grotta, c’è un merlo acquaiolo che perlustra l’acqua in uscita dal sottosuolo.
14:00
Rientriamo a Mostar e ci separiamo da Antun, che forse ci inviterà a cena a casa sua stasera. Passeggio in centro con Diego ed Espe, facendomi raccontare dei loro viaggi. Vengo a sapere così che Espe ha passato un paio d’anni in giro per il mondo, viaggiando in autostop e soffermandosi soprattutto in Sudamerica. Tutto quanto da sola.
Già che ci sono chiedo loro qualche consiglio sull’uso di Couchsurfing, perché al momento sono riuscito a incontrare solo Antun. Mi elencano una serie di cose che so già e giungiamo alla conclusione che quello che manca sono le referenze, quindi me ne scriveranno una, così con anche quella di Antun smetterò di essere un signor nessuno che chiede ospitalità. Ci salutiamo e ci dovremmo rivedere stasera da Antun.
Torno verso l’ostello e noto davanti a me, in alto in alto, un bellissimo massiccio roccioso che sale dolcemente da sud e scende a strapiombo sul lato nord. Mi sembra un bel posto per avere una bella vista su Mostar, magari ci vado domani.
15:30
All’ostello trovo Moon e gli racconto di ieri sera e di che cosa ho fatto stamattina. Lui sgrana gli occhi a mandorla ed esclama: “LiLi?” Non è per prenderlo in giro, è che questo inglese fa parte della persona che ho conosciuto, lo caratterizza.
Gli spiego un po’ cos’è successo e aggiungo qualche riflessione per sdrammatizzare.
Finito il racconto aggiungiamo un po’ di considerazioni e poi approfondisco un po’ la sua affermazione riguardo alla compagnia di attrezzatura da campeggio. Non ho capito male, c’è proprio un marchio creato da lui e da un suo amico. Solo che, come spesso avviene, i due hanno avuto divergenze di opinioni sulla gestione dei prezzi e sul design degli oggetti. Per non rovinare la loro amicizia Moon gli ha lasciato l’azienda. Ora è in giro per l’Europa con i propri nuovi prodotti, per fare foto e video con cui promuoverli quando fonderà un nuovo marchio al suo ritorno in Corea del Sud. Come dice, adesso che è appena finito il lockdown è probabile che ci sia un’aumento delle vendite nel settore del campeggio e quindi dovrebbe essere il momento buono per inaugurare il suo marchio. Adesso che ha visitato diverse città europee, dice che ultimamente trova sempre gli stessi design, gli stessi stili dappertutto.
È ora di cena, quindi io vado a mangiare un po’ di arachidi e Moon esce a comprare la cena.
Rientra dopo mezz’ora dicendo di aver commesso un errore. Ha comprato da mangiare pensando che il prezzo fosse in marchi, mentre in realtà era in euro, quindi gli hanno dato una porzione enorme. Faccio fatica a credere che sia solo un errore, ma lui giura di sì e mi invita ad aiutarlo con la cena.
Effettivamente le patatine e quel rotolo fritto di carne e formaggio sono stati impegnativi da finire. Buoni, ma impegnativi.
Mentre ceniamo mi fa vedere un paio delle preparazioni più strane del suo paese, tipo i polpi vivi tagliati a pezzetti, che si mangiano crudi con i tentacoli che si muovono ancora. Oppure gli scarafaggi fritti.
Io mi impegno e riesco a stupirlo un po’ raccontandogli del casu marzu e del cervello, ma ormai sono entrambi piatti rarissimi e io non ho mai assaggiato nessuno dei due, quindi non vale molto.
Dopo cena esco di nuovo al bar con Antun, visto che la seconda cena, con gli spagnoli, è stata annullata.
Parliamo del più e del meno, di viaggi, di olio e di tedeschi, poi il mio buon amico inizia a mostrare segni di stanchezza per la giornata di lavoro al bar e lo lascio andare a riposarsi, che se lo merita.
Come mi ha spiegato prima Antun, cattolici e ortodossi abitano da questo lato del fiume, mentre dall’altro lato vivono i musulmani. Sono passati ventisette anni dalla guerra, ma la Bosnia-Erzegovina è ancora divisa, anche se non è sul piede di guerra.
Per questo motivo mi accompagna in macchinari verso il centro e mi fa scendere a Ovest del fiume. Non è che gli sparino se lo attraversa, ma le precauzioni non sono mai troppe, visto il dispiegamento di polizia che c’è in questi giorni.
Tornato in ostello trovo sono Moon, facciamo ancora due chiacchiere e poi si va a letto.