Aerei con le penne, di quasi tre metri

Lezione di ieri: se nevica ed è previsto il sole, meglio sgomberare prima che le nuvole si disperdano.
Sabato 19/12/2021 8:32 Madžarovo (Bulgaria)
Ci sono diverse cose che devo ancora fare, tra cui lo zaino e l’articolo di oggi, quindi è meglio sbrigarsi, perché tra poco saranno già le dieci e dovrebbe arrivare Annusha. Mentre rifaccio lo zaino il salotto dove ho dormito ritorna normale, perché le mie cose erano sparse sul tappeto e c’era il telo appeso di traverso a occupare tutta la larghezza della stanza. Non ho tempo per cucire la fascia per appendere il binocolo al collo, che avrei dovuto aggiustare prima della partenza e dopo due mesi ancora non l’ho fatto. Entro due anni giuro che la aggiusto.
10:05
Per fortuna ho ancora un po’ di tempo, scrivo un altro po’ seduto davanti alla stufa perché ho cambiato l’aria e adesso fa di nuovo freddo. Nel dubbio ho preparato tutto in modo da lasciare l’appartamento come l’ho trovato, ieri la mia ospite non mi ha parlato di stare qui per due notti. Dopo mezz’ora Annusha mi chiama e scendo verso il market dove ci siamo salutati ieri. Mi aspetta insieme a Gradska, sua madre. Consegno le chiavi e Annusha mi guarda stupita, ma provo a spiegarle che è solo per sicurezza, se è così gentile da ospitarmi un’altra notte accetto, ma è meglio se le chiavi le tiene lei. Non vorrei decidere improvvisamente di partire per Haskovo e portare via le chiavi.
La macchina è decisamente a secco di benzina, spero che non dobbiamo andare lontano per osservare i grifoni, mi sentirei un po’ in colpa a fargli fare il pieno solo per portarmi a spasso per la regione. Nessun problema, mi spiegano che stiamo andando dove ci siamo incontrati ieri, a meno di cinque minuti da qui. Meno male, perché sono la macchina è piccola e lo zaino che ho in piedi sulle mie gambe quasi impedisce a Gradska di guardare a destra.
Oggi la giornata è fredda ma serena, c’è anche il sole. Annusha apre il centro, accende il riscaldamento e prepara qualcosa da bere per tutti e tre, per colazione. Nel frattempo do un’occhiata alle bellissime foto naturalistiche che ci sono qui intorno, non solo avvoltoi ma anche due gruccioni e un occhiocotto, che ha un nome buffo ma decisamente azzeccato. Qui vivono due specie di avvoltoio, ma in questo momento i capovaccai (Neophron precnopterus) stanno svernando in Africa, perciò ci sono solo i grifoni (Gyps fulvus), che sono i loro cugini più grandi.
Quando Annusha si è un po’ riscaldata, usciamo a vedere gli avvoltoi con il binocolo. No, niente binocolo, lei va nel retro e torna con un telescopio Svarowski e il treppiede, perché i fondi europei non scherzano. Già questo mi fa intuire che la nostra escursione non sarà molto lunga. “Dove andiamo?” “Da nessuna parte, ci mettiamo qui nel parcheggio.”
In effetti oltre il fiume Arda, che forma un’ansa molto stretta, c’è una formazione rocciosa a semicerchio che si estende lungo il corso del fiume. Vedo due punti in alto sopra le rocce e alzo il binocolo: sì, sono avvoltoi. Si riescono a vedere facilmente anche le cavità in cui nidificano, marcate da una evidente chiazza bianca di guano. Intanto Annusha ha puntato il telescopio verso la parete rocciosa, per farmi vedere i grifoni posati. Riuscirò a vederli? Proviamo.
No, non vedo niente. “Dov’è che dovrebbero essere? Ah, a ore sei, ho capito.”
Non vedo proprio niente, prova a descrivermi il punto, ma ci riesce solo a gesti. Non sono sicuro di aver capito, ma riprovo.
“No, assolutamente no. E dire che un uccellino di otto chili si dovrebbe notare.” Annusha aggiusta il telescopio e ci guardo dentro un’altra volta, vedendo sempre lo stesso spuntone di roccia rossiccia con sopra un cespuglio secco, sul quale non c’è neanche un passero. È ufficiale, sono cieco. Guardo e riguardo, provo a spostare un pochino il telescopio sperando di individuare qualcosa, ma c’è solo roccia e piante secche.
Adesso che ho mosso il telescopio bisogna che Annusha lo punti di nuovo, mentre io sono occupato a sbellicarmi dalle risate. Lo aggiusta mille volte, fino a quando è esattamente centrato sul tacchino, che per mia fortuna dopo dieci minuti non è ancora volato via.
Mi guarda un po’ trionfante e un po’ disarmata, più di così non può fare. Ok, stavolta non lo tocco neanche, non posso fallire. In alto c’è lo stesso inutile cespuglio di prima, ma il telescopio è puntato due metri più giù, su una cornice della parete a strapiombo. C’è un fatto che non avevo considerato, cioè che i grifoni sono dello stesso dannato colore marrone rossiccio della roccia su cui abitano, perciò l’unica parte che spicca è la testa bianca. Come ogni cosa quando uno sa che cosa cercare diventa tutto più facile, anche se non sa dov’è. Qui però parliamo di una bestiola che non si è posata sul cespuglio sopra semplicemente perché i rami non reggerebbero. Non è piccolo, eppure riesce a nascondersi in piena vista.
Un po’ me lo aspettavo, è esattamente come l’anno scorso in Costa Rica quando ho iniziato a osservare gli uccelli con il binocolo. Le prime volte non vedevo niente. Normalmente si usa il binocolo in montagna, per osservare una vetta lontana o una costruzione o al massimo un animale selvatico. Trovi la vetta, scendi lungo il ghiaione e a destra della mirtilleta trovi i camosci. Se non ci riesci al primo colpo magari ci riprovo, tanto sono sempre lì. Lo stesso vale con le stelle, segui la costellazione e hai tempo tutta la vita per trovare quello che cerchi.
Con gli uccelli nella foresta è diverso. Qualcuno ti indica un merlo, alzi il binocolo e vedi verde, sposti lo sguardo intorno e vedi tantissime altre foglie, di tante bellissime sfumature tra il verde è il verde verde. Abbassi il binocolo per puntarlo di nuovo e vedi quell’uccello infame che vola via. Così per una settimana.
Maliya era già nella riserva da più di due mesi e sapeva riconoscere alcune specie anche solo dal verso. All’inizio mi indicava quello che stava guardando e per il resto era occupata a raccogliere dati per il progetto di ricerca. Un po’ con il suo aiuto e un po’ trascorrendo parecchie ore al giorno nella foresta, si impara in pochi giorni a seguire le indicazioni e a trovare il punto giusto in cui guardare. Qualcosa come “Vedi quella coppia di alberi dritti e paralleli, bene, seguili su fino al ramo a sinistra a quarantacinque gradi. Bene, a metà del ramo, cinque metri indietro c’è un gruppo rotondo di foglie con un rametto davanti. Ecco, è lì.” Se l’uccellino rimane al suo posto durante tutta la frase, normalmente lo si trova. Trovare l’albero di partenza è abbastanza facile, perché è verticale e basta alzare il binocolo nella direzione giusta senza preoccuparsi dell’altezza. Dopo due settimane c’è la svolta, si sviluppa la coordinazione occhio-binocolo e alzando le mani magicamente il binocolo si allinea con il punto in cui si sta guardando. Al quel punto sei un cecchino. Non è ancora abbastanza per riuscire a vedere bene quelle pesti dei colibrì, che se sono pigri restano fermi per dieci secondi. Per riuscire a vedere quegli infami servono mesi, è questione di prontezza di riflessi.
Ora che ho trovato il grifone potrei restare qui un’ora in contemplazione. Avverto Annusha, che nel frattempo applaude dicendo “bravo”. È nettamente più grosso e più color roccia di quanto mi aspettassi, per forza non lo vedevo. Tra l’altro non si muove e guarda il vuoto, aspettando. Aspetta che la roccia riscaldi l’aria, generando una corrente ascensionale sufficiente per prendere il volo. Dopo dieci minuti passati a fissarlo ho pietà di Annusha e possiamo rientrare al caldo.
Mentre lei cerca di riscaldarsi davanti al calorifero elettrico, io leggo il manuale da campo sugli uccelli d’Europa. Quello che avevo in Costa Rica era grande come questo, ma c’erano solo le specie costaricane. Il gruppo di ricerca di Madžarovo ha prodotto anche diversi articoli giornalistici pubblicati sulla rivista del progetto Rewild Europe, che comprende altre sei iniziative in altri paesi europei. Ci sono delle foto stupende degli avvoltoi, fatte da un riparo costruito proprio davanti al punto in cui vengono portati i capi di bestiame che muoiono in questa zona. Tra poco arriverà Marin, quello nella foto della rivista, che vive qui a Madžarovo.
Nel frattempo Annusha mi spiega che vive qui con sua madre e una sorella, la quale lavora nell’amministrazione comunale. Annusha non ha un secondo lavoro durante la bassa stagione, ma viene pagata dal BSPB, la società bulgara per la protezione degli uccelli. Questo centro di divulgazione non funziona come un franchising come avevo pensato all’inizio, quindi lei guadagna anche se ci sono pochissimi ospiti. Questo non vuol dire che navighi nell’oro, dice che ha viaggiato in Grecia, di là dal confine, e a Edirne, in Turchia. Ha studiato all’università a Plovdiv qualcosa che ha a che fare con biologia e poi ha trovato lavoro qui nel 2006, dieci anni dopo l’apertura del centro. Nonostante sia inverno, nel mese prossimo è già prevista la visita di due scolaresche, la prima proveniente dalla Repubblica Ceca.
Mentre chiacchieriamo telefoniamo a Volen Arkumarev, che è l’esperto di avvoltoi che parlava nel video di presentazione del centro che Annusha mi ha fatto vedere ieri. Domani è disponibile per incontrarmi ad Haskovo, o all’ora di pranzo oppure nel pomeriggio dopo la seconda riunione della giornata. È perfetto, sessanta chilometri in un giorno sono fattibilissimi.
Annusha a un certo punto decide che è ora di pranzo e va nella cucina del ristorante in cui siamo a preparare una frittata con cipolla e formaggio. Penso che stia preparando un’altra frittata per sé, invece ritorna poco dopo con delle fette di pane tostato e dice che lei mangerà più tardi. Moltissime grazie allora, è proprio buona.
12:10
Poco più tardi arriva Marin, che inizia a raccontare ad Annusha dei lavori che sta facendo nella propria futura casa, che deve essere risistemata da cima a fondo e lui per ora ha finito il parcheggio. Detta così gli sembra una cosa ridicola, ma la prima necessità di chi arriva è parcheggiare, prima ancora di avere un tetto sulla testa. Marin ha studiato qualcosa come scienze forestali a Plovdiv e ora lavora nel settore del turismo, facendo la guida escursionistica e l’istruttore di kayak durante la bella stagione. È anche l’autore di parecchie fotografie che ci sono qui, scattate da dentro al riparo di appostamento di cui mi ha parlato prima Annusha. Oltre a questo non ha molta voglia di parlare e ormai è l’orario giusto per uscire a osservare i grifoni più da vicino. Nessuno vuole venire, li hanno già visti troppe volte per uscire con questo freddo.
A posto, me ne vado per conto mio, con lo zaino e le chiavi dell’appartamento, perché probabilmente loro torneranno in paese prima di me.
Il luogo migliore per osservare i grifoni è lungo la strada che passa proprio sotto le rocce in cui dimorano, a poche centinaia di metri da qui e mentre mi avvicino faccio una prima sosta di osservazione. Arrivato sul ciglio della strada mi trovo proprio sotto la zona dove volteggiano in ampi cerchi e non riesco a seguirli a lungo con il binocolo, altrimenti mi ribalto all’indietro. Inoltre c’è vento e nonostante il sole a stare fermi viene freddo, quindi trovo un posto perfetto. Prendo una roccia per appoggiare la testa e mi sdraio per terra con il binocolo all’insù, adesso sono molto più comodo.
Mi sembra superfluo sottolinearlo, ma questi aerei larghi più di due metri e mezzo sono magnifici. Si muovono a gruppi di 5-10, ognuno secondo la propria traiettoria, a volte diritti e a volte in cerchio, con le loro enormi penne remiganti che generano abbastanza portanza da farli galleggiare nell’aria senza quasi battere le ali. C’è solo un problema, non sembrano così grandi visti da quaggiù. Io lo so che se apro le braccia le loro ali sono abbastanza larghe da circondarmi, ma loro volano ad una quota inquantificabile. Senza nessun confronto potrebbero anche essere delle poiane, per quanto ne so. L’unico momento in cui si intuisce un po’ la dimensione di questi aerei è quando atterrano, battendo le ali un paio di volte prima di posarsi sulla roccia e richiuderle di colpo. Non saprei dire quanto è grande la roccia su cui atterrano, ma sicuramente si intuisce che non sto guardando dei falchi, sono un po’ più grossini.
Dopo un paio d’ore compare un uccello scuro, quasi nero e decisamente piccolo. Non vola in cerchio perché sta pattugliando le rocce, ma ad ogni passaggio vicino a me ho sempre meno dubbi che si tratti di un’aquila, anche perché Marin mi ha accennato che spesso le fotografa. È impressionante pensare che quell’uccellino lì che sembra un corvo in realtà è un’aquila e sta volando decisamente più in basso dei grifoni.
Come per accontentarmi, un’ora dopo arrivano anche due corvi, che sono la metà dell’aquila. Non solo, lassù un alto insieme agli avvoltoi c’è una cosina che si muove, che guardando attentamente si rivela un gheppio o un rapace simile. Se solo si vedesse nelle foto riuscirei a rendere un’idea di quello che sto vedendo, ma la GoPro non è certo lo strumento migliore per fotografare un dettaglio così distante.
Verso le fine del pomeriggio arriva un altro gruppo di grifoni e il numero totale sale a 28, che a tratti volteggiano insieme e ne vedo una decina raccolti nel cerchietto di cielo del binocolo. Uno di questi ha anche un cartello identificativo rosso e blu, con tre simboli sopra, ma è così lontano che non riesco a leggere cosa c’è scritto, anche se quel cartello è almeno 15×20 cm.
16:42
Quando inizia a calare il sole, pian piano la giostra si ferma e gli aerei rientrano negli hangar. Solo ora mi rendo conto di quanto sono stato fortunato, perché ieri non c’era il sole e immagino che non si vedessero così tanti avvoltoi in giro. Una volta messi a nanna tutti gli avvoltoi è il momento di alzarmi per tornare a casa anch’io, senza sole il vento freddo gela le mani. Mentre cammino verso il centro, raccolgo un cranio di canide trovato lungo il sentiero. Può essere utile per arricchire il corredo di reperti naturalistici, ma per trasportarlo le mani devono alternarsi ogni due minuti, riposando in tasca al caldo. È strano che non ci sia già un cranio di cane o di lupo esposto, come decorazione dei nidi di avvoltoio o come spunto per parlare del problema del randagismo o delle esche avvelenate. In qualche modo gli sarà utile, lo lascio sul muretto proprio accanto alla porta principale.
17:27
Rientrato all’appartamento, stasera è meglio dedicarmi a scrivere, perché non mi sono dato molto tempo in questi giorni. Non ho quasi niente da lavare a parte me stesso, quindi c’è tutto il tempo per recuperare un po’.
Prima però chiamo Annusha per ringraziarla e per chiederle se la posso salutare di persona, ma forse non mi riesco a spiegare e va a finire che ci salutiamo per telefono, va bene così. Domattina ho in programma di partire abbastanza presto e siamo già d’accordo che posso lasciare le chiavi sotto lo zerbino, un nascondiglio assolutamente insospettabile.
Sono ancora sconvolto per il servizio d’albergo che sto ricevendo qui, soprattutto perché stanotte ci sarà -7°C.
C’è anche una luna piena magnifica, sorta poco fa dalle rocce degli avvoltoi, proprio di fronte al balcone dell’appartamento. L’ho fatta a notare anche ad Annusha prima, e faticosamente le ho spiegato a che cosa mi stavo riferendo, cercando la traduzione in bulgaro. Il resto delle domande che ho riguardo agli avvoltoi le rivolgerò a Volen domani quando ci incontreremo ad Haskovo, autostop permettendo.

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