Cinque mesi dopo il rientro

Lezione dei cinque mesi passati: non serve a nulla restare invischiati mille progetti, se non se ne conosce l’ordine di priorità. Stabilite le priorità, si possono iniziare ad affrontare i problemi senza rimanere invischiati.

17/12/2024 Reggio Emilia (Italia)

È fatta.

Grazie a Don Davide, a Cristiano e alla parrocchia del Sacro Cuore, si è tenuta una serata di introduzione alle peripezie e agli insegnamenti di un lungo viaggio come questo. Cosa mi ha tenuto in scacco così a lungo da non riuscire a organizzarla prima? Inizialmente l’entusiasmo del ritorno, il bisogno impellente di rivedere tutti il prima possibile, di trascorrere un po’ di tempo con ciascuno. Ogni incontro si trasformava in un lungo monologo di riassunto del viaggio, accompagnato da commenti di rassegnata invidia, oppure di ammirazione reverenziale per la mia presunta maggiore esperienza. In questi anni ho provato spesso quel senso di disagio che si innesca incontrando qualcuno che si sente meno fortunato. Ne ho parlato per un giorno intero con Constantin, attraversando le montagne del Laos. In Laos la disparità tra noi viaggiatori europei e i laotiani era principalmente economica, legata alla povertà del loro stipendio e alla povertà di opportunità ambire a un futuro migliore. Io avevo trovato il mio modo di convivere con questo leggero senso di colpa, ma per Constantin era assai più difficile. Il giorno prima ci trovavamo nella bolla della città Lang Pabang (che per qualche ragione sulle mappe è traslitterato in Luang Prabang), ricca di turisti come noi e abbastanza curata da mettere a nostro agio noi occidentali. Un giorno più tardi ci siamo trovati davanti il vero volto del Laos, fatto di case molto semplici e trasformate in piccoli negozi di snack e bibite, officine oppure bar-ristoranti. In quei paesini cresciuti lungo la strada, tutti quanti attendono le rare soste dei camionisti, che finanziano il paese quel minimo che basta per poter campare. Generalmente in quella parte del Laos le case fatte di mattoni sono già un lusso rispetto alle abitazioni di assi di legno delle regioni a Nord. Ebbene, era difficile non sentirci in qualche modo colpevoli per la nostra ingiusta fortuna di essere nati tra coloro che nel mondo possono scegliere se essere benestanti o poveri.
Con questa introduzione spero di aver descritto il sentimento che intendo, che mi ha accompagnato per la maggior parte del viaggio all’estero. Escludendo forse Australia e Nuova Zelanda, guardandomi intorno provavo spesso questa sensazione. Non ero certo preparato ad affrontare le stesse dinamiche anche a casa mia, cioè nella mia città. Fino al momento di partire ero stato all’estero, è vero: in Portogallo, in Francia e in Scozia, in un’isoletta della Grecia e persino in Costa Rica, per tre mesi. In questi tre mesi sono stato al mare per due giorni e ho trascorso gli altri ottantotto in una remota riserva naturale grande tre chilometri quadrati. È difficile trovare altrove tre chilometri quadrati altrettanto belli e allo stesso tempo accessibili e confortevoli, ma si tratta di un piccolo angolino di mondo. Al mio ritorno dalla Costa Rica, o “dal Costa Rica” se preferite, non mi ergevo su nessun piedistallo, avevo solo una storia in più da raccontare. Questa volta il ritorno è stato ben diverso e non ne faccio una colpa a nessuno, avrei dovuto pensarci e aspettarmelo.
Benché io sia ancora convinto che una vita trascorsa qui e una trascorsa in viaggio siano ugualmente valide per la crescita personale, è opinione comune che “uno con un’esperienza come la mia” si trovi un gradino sopra gli altri. Almeno, così mi è parso di capire ascoltando le reazioni ammirate di molti. Ora qualcuno penserà: “Se tornassi io dal giro del mondo, lo annuncerei dal terrazzo come un muezzin arrampicato su un minareto!” Potrei fare così anch’io, mi ci vedo già a bestemmiare il nome di Dio cantando “Pallaaah-u-akbar”, suona bene.
Poiché viaggiare è fonte di prestigio sociale, qualunque viaggio porta con sé l’invidia di chi non se lo è potuto permettere, a causa degli accidenti della vita. Moltissimi avevano questo sogno nel cassetto, per non dire quasi tutti, e la reazione più spontanea è recriminare. Metà della popolazione, essendo donna, ha stabilito di non poter viaggiare. Anche io, se fossi una donna, non avrei viaggiato come ho fatto in quanto uomo. Sembra proprio una verità di La Palisse, ma lo metto nero su bianco perché qualcuno pensa che non me ne sia mai accorto.
Un’altra grande fetta di popolazione non aveva i mezzi per viaggiare quando era ora, mentre invece, adesso che ha i mezzi, non è più ora. Altri invece avevano i mezzi quando era ora, ma erano già impegnati in una relazione e così non è partito. Generalmente sono queste le argomentazioni di chi cerca di dare sfogo alla frustrazione e finisce per scaricarne un po’ sugli altri. Non vale nulla argomentare che lungo la via ho incontrato anche delle viaggiatrici sole come me (persino autostoppiste), perché loro sicuramente non hanno attraversato gli stessi paesi che ho visitato io, dormendo negli stessi boschi e case dove ho dormito io, insieme alle stesse persone che ho incontrato io. Strano non averne incontrata neanche una esattamente così, davvero incredibile.
Lo stesso vale per i viaggiatori pensionati che ho incontrato, che hanno la colpa di essere in buona salute, vale per quelli giovani che hanno la colpa di non essere ancora vecchi e per le coppie di viaggiatori che sono colpevoli di condividere la volontà di viaggiare.
Nei mesi ho imparato a saggiare il terreno, prima di lanciarmi nella narrazione. A volte causo solo autocommiserazione.
La medaglia dei giramondo ha anche un’altra faccia, quella della Grande Esperienza. Ne parlava anche Giovanni Berchet nella “Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo”: è la metafora degli ottentotti e i parigini. Nella lettera, questo Grisostomo insegna al figliolo che le sue poesie saranno apprezzate solo dalla gente di media cultura, non dagli ottentotti né dai parigini. Gli ottentotti rappresentano gli illetterati che non sono neanche in grado di comprendere il valore di un’opera. I parigini, al contrario, sono coloro che hanno osservato così tante e variegate espressioni artistiche da non emozionarsi più per alcunché. È facile credere che sia così anche per chi ha molto viaggiato.
Dal momento che ho fatto tante esperienze, tutte diverse tra loro, ci si aspetta che nulla mi emozioni più, che tutto quanto sia una scena già vista, anche piuttosto deludente. Così ci si rivolge a me con una certa reverenza, perché il giro del mondo è così altisonante che solo chi ha fatto due giri del mondo mi può guardare dall’alto in basso. Nessuno ha voglia di annoiarmi con i propri racconti di gitarelle domenicali, che sicuramente devono suonare banali alle mie orecchie. Forse ci si immagina che troverei tutto quanto ridicolo, insignificante.
Così mi trovo interdetto, avrei una voglia matta di raccontare mille aneddoti che mi vengono in mente, ma li tengo per me perché non farebbero che amplificare questo fenomeno. Lo so che nessuno fa apposta, ma capita spesso. Basta accennare alle storie, glissare sulle difficoltà del viaggio e accennare appena bellezze inestimabili che pochi si possono permettere di visitare con un viaggio convenzionale. Conviene minimizzare la portata delle avventure, come se attraversare il Pacifico o il lago di Garda fosse la stessa cosa. Come se salire al Kongma La o al passo di Pietra Tagliata fosse la stessa cosa. In un certo senso è la stessa cosa, perché i posti più infidi sono quelli che si crede di conoscere meglio e ad oggi le peggiori disavventure mi sono successe sull’Appennino emiliano e nel lago di Garda. Mi dico che sarà più facile convincere tutti che non sto fingendo, che è un’avventura eccitante come lo era una volta, che sotto quest’aria parigina c’è lo stesso Palla di prima.

In questo modo sono passati tre mesi e dovevo ancora organizzare la serata di racconto, trovare lavoro, riprendere arti marziali e contattare l’amico Emanuele Scanarini, che si è preso cura del mio geco durante questi anni. Poi avrei voluto vedere scritto il diario di viaggio, completata la mappa con l’itinerario e riordinata una libreria di decine di migliaia di foto. Speravo anche di iniziare a informarmi su come fare per realizzare quel progetto nato in mezzo all’oceano, tra le isole Cook e la Polinesia Francese, di trovare un pezzetto di terra su cui costruire una casa temporanea, mobile. Poteva sembrare il sogno allucinato di due naufraghi, ma sia io che Lord Asparagus non abbiamo per niente accantonato il progetto. Avrei anche voluto costruire un nuovo arco, perché l’ultimo si era rotto l’estate prima di partire. Mi manca anche leggere, ma se inizio a leggere chi scriverà il diario?
Non sapendo da dove iniziare a soddisfare tutte queste aspettative, non ho soddisfatto proprio niente. Invece ho passato settimane, anzi mesi con la testa piena di pensieri.
La mamma mi chiedeva sempre quando avrei organizzato la prima conferenza e io non lo sapevo mai. Io mi chiedevo con ansia quando avrei iniziato a realizzare tutti questi progetti, senza mai avere risposta. In quel periodo le mie attività preferite erano lavare i piatti, impastare la pizza, spazzare le foglie in giardino, a volte ho addirittura spolverato la casa. In quei mesi ho trascorso ore e ore accanto alla lavastoviglie spenta, lavando i piatti a mano e chiedendomi perché li stessi lavando a mano. Anzi, se lo stavano chiedendo tutti, a casa. Una volta mi è stato chiesto perfino di preparare meno pizza. È inaudito.
Dopo tanto riflettere sul perché, ormai è chiaro che tutte queste attività hanno un tratto in comune, permettono ai pensieri di fluire, in cerca di un nuovo equilibrio. Già due giorni dopo che sono tornato mi pareva di essere ritornato in un batter di ciglia alle abitudini di prima, ripetendo i gesti quotidiani con la stessa familiarità di sempre. Come se invece che tre anni fossero passate solo tre settimane. Per quanto forte fosse la nostalgia di casa, era molto strano, direi quasi inaudito, riprendere la vita quotidiana senza scossoni. È come lasciare una macchina ferma in garage per tre anni, non sarà mai pronta per andare in vacanza prima di aver fatto la revisione. Io però non ho le ruote e quindi mi illudevo di essere pronto a riavviare la vita di prima, semplicemente tornando dove l’avevo parcheggiata.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *