Atterraggio di emergenza

Lezione di ieri: Con chi non ascolta i consigli, si può sempre tentare il metodo “Inception”.
Lunedì 06/11/2023 Oceano Pacifico (Isole Cook)
Il capitano è ancora allettato, si alza solo per venire a controllare che cosa succede qua fuori. Non potrebbe esserci momento migliore, perché oggi non succede proprio niente. L’oceano è quieto, la giornata è splendida e i pannelli fotovoltaici finalmente servono a qualcosa. Non riescono a tenere il passo con la strumentazione energivora, ma dimezzano il nostro bisogno di carburante. Tre giorni fa abbiamo mangiato una melanzana, l’ultimo vegetale rimasto in frigo. Così ora siamo liberi dal bisogno di accendere il motore per far funzionare quel macchinario degno dei Flintstones. Charlotte ha annunciato con rammarico che d’ora in poi mangeremo solo cibo in scatola, ma non mi sembra la fine del mondo, non è una condanna eterna. Inoltre abbiamo un vasto assortimento di scatolame che adesso sarà sfruttato appieno.
Durante le frequenti ispezioni di Charlotte, l’orizzonte si mantiene nitido e sgombro di vapore, che è sempre un buon segno per chi non ama le sorprese notturne. Piuttosto, l’oceano ci ha portato un’altra sorpresa, una sterna bruna è atterrata sul tendalino. Ha le ali appuntite e lunghe tipiche degli uccelli marini, con un lungo becco affusolato progettato per la pesca. Il piumaggio è color cioccolato, con la fronte bianca che sfuma in grigio cenere dietro la testa. Sotto gli occhi neri ha due colpi di matita bianca, a semicerchio. Un tratto nero di eyeliner dona agli occhi una forma allungata, come andava di moda tra gli egizi. Nella livrea di questi uccelli c’è qualcosa di speciale che non riesco a identificare. Forse il bianco è particolarmente brillante, oppure il grigio ha una vaga sfumatura azzurra, che sfuma nel bianco e nel marrone. Non capisco come tre colori così semplici possano creare un effetto simile.
Il nuovo ospite pare del tutto indifferente alla nostra presenza, il ché non sembra affatto un buon segno. Inoltre ha un’ala un po’ storta, come se fosse ripiegata male. Non è floscia come se fosse rotta, ma dà la sensazione che si sia trattato di un atterraggio di emergenza. Razionalmente però non ha senso, se ha un’ala rotta come ha fatto a volare sul tendalino? Forse ha solo deciso di riposarsi qui, al tepore del pannello fotovoltaico. Che cosa facciamo? Se si sta solo riposando, ripartirà, se invece l’ala è rotta, tra ventiquattr’ore sarà ancora là. Vedremo domani.
Mano a mano che procediamo verso Sudest il vento gira nella medesima direzione, così al tramonto è il caso di strambare, ridurre la vela e risalire di latitudine, procedendo a Nordest durante la notte. Come ormai so benissimo, tutte queste manovre si eseguono nei trenta minuti ottimali per il punto nave, così cerco di non pensarci e lascio perdere anche stavolta. Faccio almeno in tempo a fotografare il tramonto, un ventaglio di raggi rossi e blu. Rosso di sera, bel tempo si spera.
Oggi i turni sono slittati avanti di tre ore, così ho mangiato la cena appena cotta, che è un grande vantaggio. La giornata serena appena trascorsa ha portato aria tersa e un incantevole cielo stellato. Passo ore a studiarlo, un po’ sedendo a dritta e un po’ a sinistra, con la testa fuori dal tendalino e il naso all’insù. Ogni tanto compare il capitano, che controlla l’orizzonte in cerca di ombre sospette. Controlla anche che la sterna stia bene, puntandole addosso quella tremenda torcia frontale, che mi acceca più o meno ogni notte. Il nostro passeggero è ancora lì, accovacciato.
Un’ora prima dell’aurora il capitano chiama un’altra strambata, così dirigiamo di nuovo a Sudest. Aumenta leggermente il vento e anche le onde, abbastanza da spostarci a una velocità ragionevole. Tuttavia non è semplice come sembra, per noi non è ancora finita. Incappiamo in diversi groppi, mentre il vento tende a diminuire sempre più. Il marinaio paziente se ne infischia di queste scaramucce con il vento, ma noi non siamo pazienti. Il capitano si sta un po’ riprendendo e ha deciso di fare un turno al timone. Ieri ha preso un altro antidolorifico da cavalli e ha iniziato con un nuovo farmaco antinfiammatorio. Non ha consultato alcun medico per telefono, ma ha riletto il libro di medicina di un corso che ha seguito l’anno scorso. La diagnosi è confusa, ma nessuna delle possibilità è particolarmente buona. Ulcera, calcoli renali, peritonite oppure appendicite, qual è la meno peggio?
Frattanto il cielo si è annullato e il vento sta scemando, navighiamo ad appena tre nodi.
La sterna è ancora nella stessa posizione di ieri, così Charlotte cerca di raccoglierla con una grossa sciarpa di lana. La cattura è sorprendentemente semplice, così la sterna viene deposta delicatamente in pozzetto, accanto al tambuccio. Stranamente l’uccello non sembra troppo intimidito dalla nostra presenza, ben presto si lascia toccare. Così scopriamo che la povera creatura ha i pidocchi, che sono rimasti aggrappati alla lana. La sciarpa viene immediatamente sigillata in un sacchetto e isolata sopracoperta, in attesa dell’arrivo a destinazione.
Appena finito il mio turno, è il caso di ispezionare subito l’ala sbilenca. Le ossa sembrano integre, l’ala si apre bene e non vedo niente di anomalo. Forse la spiegazione è solo l’estrema stanchezza, testimoniata dalla legione di pidocchi che mi si sta arrampicando sulle braccia. Rimetto a posto il pennuto e spiaccico uno a uno i malefici parassiti, prima che risalgano oltre i gomiti. Ci sono altri modi più intelligenti per spidocchiare un uccello? Né a Lord Asparagus né a me viene in mente niente, così chiamo la sterna. “Tsk, tsk, tsk! Pronta per un’altra manche?” Mi guarda, la prendo in mano con delicatezza e osservo il piumaggio fine e liscio. Entro pochi secondi il tepore delle mie mani e il profumo di cibo penetrano tra le piume e più di un centinaio di quei manigoldi scivola allo scoperto formicolando sulle mie mani. Appoggio la sterna e ripeto la carneficina. Mi pare di ricordare che i pidocchi degli uccelli non parassitino gli umani, ma è un ricordo molto nebuloso risalente a una quindicina di anni fa. Non ne sono affatto sicuro.

Inizio della rubrica dell’ecologo:
Essendo parassiti, i pidocchi sono animali piuttosto interessanti. In quanto succhiasangue a ufo, non hanno particolari problemi a cui far fronte. Si nutrono di un cibo estremamente nutriente e facile da reperire, in un ambiente a temperatura costante, sotto le piume o il pelo. Inoltre il cibo, normalmente, vive insieme ad altro cibo, perciò basta fare due passi per cambiare buffet. Per queste ragioni i pidocchi perdono le ali oppure non le sviluppano affatto, tanto il cibo è comodo da raggiungere anche a piedi. Inoltre sono specializzati in un gruppo ristretto di animali da parassitare. Infatti, udite udite, i pidocchi degli uccelli si chiamano così perché si nutrono solo del sangue degli uccelli.
Valiant non era a rischio di contaminazione.
Fine della rubrica dell’ecologo.

Nel dubbio, continuo a sterminare pidocchi, cercando di non stressare troppo il nostro ospite e sperando che veda cosa sto facendo. Del resto gli uccelli ci vedono benissimo e normalmente sono animali intelligenti. Specialmente per sopravvivere in questo deserto blu bisogna fare buon uso del cervello, quindi confido che capisca. Ad ogni modo, la lascio in pace per qualche ora.

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