Ondaaa!

Lezione di ieri: quando si è confinati in un luogo ristretto, nel poco spazio a disposizione è fondamentale trovare un pensatoio.
Giovedì 26/10/2023 Oceano Pacifico (Isole Cook)
Viste dalla spiaggia, le onde possono sembrare tutte uguali. Osservandole da una barca a vela, si ha l’impressione opposta. È come guidare una bici da strada su una strada sterrata, si sente ogni sasso e ogni buca. Almeno in barca la sensazione non è così spiacevole, per chi non soffre di mal di mare. Con il mare incrociato, le onde sono un garbuglio informe di pieni e vuoti, a volte le onde spuntano dal nulla, altre volte l’acqua si ritira da sotto la prua e Valiant sbatte sul cavo dell’onda, splat! Pur essendo irregolari, le onde si possono suddividere in categorie, che si affrontano in maniera diversa. Ci sono onde con la cresta dritta e corta, segmenti isolati del treno di onde principale. Poi ci sono onde a piramide triangolare, con la cima piatta, e infine ci sono onde praticamente coniche, ripide e appuntite. Sulle creste dritte si lascia andare il timone e Valiant segue dolcemente il pendio. Le piramidi invece vanno scalate seguendo uno degli spigoli, in modo da sedersi sulla cima e scendere dal lato opposto. I coni invece è meglio schivarli, perché si afflosciano subito e ci fanno solo rallentare.
Questo è quello che ho imparato osservando i miei reticenti compagni di traversata, spero che le mie deduzioni siano corrette. Non ho modo di verificare perché nessuno è al corrente di che cosa fanno le proprie mani. Per questo sono di nuovo in pozzetto, fissando Charlotte e le onde, le onde e Charlotte, fino a capire qual’è il trucco. Forse il capitano non è in grado di spiegare il concetto a parole perché lei stessa ha sempre imparato osservando gli altri. Ripete sempre che nessuno si è mai preso il disturbo di farle da insegnante, non è detto che sappia spiegare a parole ciò che sa fare d’istinto. Mastro Ernests non ha colpa, forse ha iniziato a rimontare così solo per stare più comodo. Tuttavia, non ho ancora trovato tutte le risposte che cerco, c’è un ultimo tipo di onde che incombe su di noi, i frangenti. Per ora si sono tenuti a distanza, ma prima o poi arriveremo alla resa dei conti.
Ora le onde sono ancora alte, ma non troppo spigolose e il vento è amichevole e costante. Lasciando andare il timone, Valiant tiene la rotta, ma non solo. Aggira le onde più piccole e scavalca le piramidi d’acqua, basta solo raddrizzare il timone quando si sposta. È questa la tecnica segreta, è ottima per la navigazione di lungo corso. Quando si attraversa un oceano l’aspetto più importante non è seguire una rotta perfetta, ma piuttosto risparmiare le energie. Dopo gli ultimi giorni passati a mulinare il timone a destra e a manca, poter riposare così è meraviglioso. È un metodo completamente diverso da ciò che conoscevamo finora, per fortuna che Ernests lo ha scoperto per caso. È la stessa sensazione che si prova quando si impara ad andare in bicicletta senza mani, è una specie di magia. Ogni tanto riceviamo le visite degli uccelli marini di passaggio, ora c’è una sula che volteggia in cerca di pesce. Vola, anzi plana, radente all’acqua, sfiorando delicatamente i flutti con le ali. È incredibile come faccia a seguire il profilo delle onde, è come se fosse appoggiata sull’acqua con le punte delle penne. In piedi su Valiant che pattina sulle onde, mi sento proprio come quella sula laggiù e spalanco anch’io le ali per immedesimarmi meglio. A 7,5 nodi di velocità non stiamo certo volando, ma la barca è così leggiadra che potrebbe quasi staccarsi dall’oceano e planare.
Dopo tre ore di slalom tra le onde, mi tocca cedere il timone. Proprio alla fine del turno di mezzogiorno, un’onda frangente prende il naso di Valiant arrotolandosi sulla punta della prua. Se dovesse capitare un altro incontro ravvicinato, non saprei se orzare o poggiare. Ho chiesto al capitano e la risposta è stata: “Dipende”. Come al solito, al cambio turno aggiorno Ernests su quello che ho imparato e su come gestire il mare di oggi. Sta a lui completare il puzzle, se può.
Ernests timona con prudenza, tenendo le onde al giardinetto, ma il mare sempre più grosso trova il modo di scavalcare la murata. Come è capitato a me prima, un’onda si abbatte sulla poppa di Valiant e riempie il pozzetto fino ai polpacci del timoniere. Lo sciabordio scavalca il tambuccio e si scarica sul cuscino e sul materasso del capitano, è già la seconda volta in una settimana. Charlotte getta per terra le lenzuola bagnate e riveste il letto con un nuovo coprimaterasso. D’ora in avanti, le onde che trasformano il pozzetto in una vasca da bagno si chiameranno onde Jacuzzi.
Tre ore dopo sono di nuovo alla ruota, con vento oltre venti nodi e sotto raffica dieci nodi in più. Le onde più piccole sono alte tre metri, ma bisogna tenere gli occhi aperti. Ogni decina di onde arrivano tre montagne di almeno quattro metri, che per noi principianti sono già impegnative. Le onde più alte forse raggiungono i cinque metri e si infrangono in un rotolo di schiuma. Dopo appena mezz’ora al timone, arriva il momento della resa dei conti. Una cresta si avvicina a dritta e si erge all’ultimo momento, aguzza e minacciosa. È un metro più in alto del ponte e sta per frangere. Da che parte vado, a dritta o a sinistra, a dritta o a sinistra? Vengo preso alla sprovvista e reagisco di riflesso, sperando di aver fatto istintivamente la scelta giusta. Ho sbagliato. Il cavallone si schianta sulla murata e spazza il ponte, generando un’onda di piena che si precipita verso poppa. La valanga liquida passa sotto il parabrezza del tendalino, scaricando una cascata nel pozzetto e nel tambuccio, aperto. Sento un gemito di Charlotte, mentre la doccia salata le inzuppa il letto. Adesso sì che è infuriata, si è appena bagnato l’ultimo lenzuolo fresco di bucato. Si rivolge a me, per sapere che cos’è successo, da dove è arrivata l’onda. “Non posso credere che non potessi evitarla, lo sai come si fa!” Segue una sfilza di parolacce, che forse sono rivolte all’oceano, o forse al letto o al vento. Il materasso viene scagliato nella dinette, seguito dal cuscino e dal panno. Piano piano emerge la vera ragione della rabbia del capitano, che è causata dall’esasperazione per il male alle costole. Sentendo lo scroscio dell’onda di piena, ha cercato di alzarsi di scatto e si è fatta malissimo. Da circa una settimana Charlotte si alza dal letto solo issandosi a forza di braccia, aggrappandosi a un pezzo di corda.
Continuo a rimontare imperterrito, cercando di ricostruire che cosa ho fatto, ho i ricordi offuscati. Non so neanche più da che parte ho girato la ruota, quindi non so come affrontare la prossima onda. Un’ora più tardi, quando la tempesta sottocoperta si è calmata, capisco che cosa ho sbagliato. All’arrivo dell’onda probabilmente ho poggiato nel cavo dell’onda, sperando che la cresta si spianasse, invece ha continuato a crescere. Non c’è modo di ricevere consigli dal capitano, ripete sempre che non è dell’umore giusto. Ernests e io continuiamo a sperimentare e a confrontarci a ogni cambio turno. Come si può notare, l’esperienza di entrambi è appena sufficiente a tenere il passo. Arriva un’altra montagna d’acqua, questa volta sono in una posizione eccezionale per girare la barca e scendere nel cavo dell’onda come un surfista in spiaggia. La manovra è perfetta, ma l’assunzione di base è sbagliata. Invece di spingerci e farci partire in planata, l’onda si gonfia e si alza, rotolando sullo specchio di poppa. La poppa di Valiant è inclinata come una rampa, così l’onda decolla e ricade in pozzetto, riempiendo la Jacuzzi. La vasca da bagno si vuota in fretta, ma l’acqua salata sicuramente non fa bene al quadro di avviamento del motore. Almeno adesso ho capito che Valiant non è una tavola da surf, è meglio prendere le onde al giardinetto, dove la murata è verticale.
Verso le sette cala la sera e le onde diventano più infide di prima. Tenendo una rotta più poggiata stiamo al sicuro, ma perdiamo tutto il margine di guadagno verso Est, forse a causa della corrente subtropicale che ci porta alla deriva.
Nella notte continuo a riflettere sull’errore di ieri e sulla reticenza del capitano, finché finalmente trovo pace. Distogliendo l’attenzione dai miei pensieri, mi accorgo di un fatto strano. Le taniche del gasolio, assicurate alla battagliola di dritta, scivolano di qua e di là come se la legatura si fosse allentata. Il vero motivo è l’onda di oggi pomeriggio, che non ha solo bagnato un lenzuolo. Quel frangente ha scaraventato un paio di metri cubi d’acqua contro cento litri di carburante, incrinando il candeliere a cui sono legate le taniche. Strisciando sul ponte, Charlotte mette in sicurezza il nostro prezioso gasolio.
Alla mattina sono pronto, ho lo sguardo fisso sull’acqua in attesa di un frangente, per valutare la mia ipotesi. Arriva un’ora dopo, è proprio uguale a quello di ieri, aspetto che inizi a rombare di schiuma e bam! Con un’orzata decisa, Valiant carica l’onda come un ariete e taglia in due il fronte di schiuma, scendendo dolcemente dal versante opposto. Ce l’ho fatta, non vedo l’ora di insegnarlo a Ernests.
L’entusiasmo è di breve durata perché alle quattro e mezza (orario delle Samoa occidentali, che usiamo ancora a bordo) il capitano è sveglio, fissa il nostro tracciato sulla mappa e digrigna i denti per la rabbia e la frustrazione. Da giorni non fa che gridare che non è giusto, che è sleale, che siamo completamente alla mercè del meteo. Non so perché si aspetti che navigare nell’oceano sia uno scontro ad armi pari, non mi risulta che sia scritto da nessuna parte.
Come per migliorarle l’umore, l’alba rivela numerosi strappi nello yankee issato a prua. Uno strappo è dovuto alle crocette alte, nel solito posto, mentre la base della vela ha ceduto a causa della tensione della scotta. La vela è fatta di tessuto robusto, ma ha più di cinquant’anni e la tensione spropositata a cui l’abbiamo sottoposta ha aperto decine di piccoli strappi e smagliature, destinati a peggiorare. La tensione di Charlotte esplode poco dopo, sentendo che il vento si è calmato leggermente. Decide di tentare il tutto per tutto, navigando a motore contro le onde e contro il vento. Infuriata con l’oceano, accende il motore e cazza a ferro lo yankee, per approfittare del momento di relativa calma. Le istruzioni sono di “fare rotta verso Est, e se la prua e la vela sbattono fa lo stesso”. È veramente furibonda, così vengo trascinato dalla concitazione e inizio a timonare come un pazzo in direzione delle onde, come se dovessimo arrivare a Raiatea entro sera. Affrontare le onde di petto richiede un intenso lavoro di braccia per correggere costantemente la direzione della prua. Poco più tardi ritrovo la lucidità necessaria a mitigare questa follia. La nostra meta dista più di settecento miglia, tutto il carburante che abbiamo a bordo non basta neanche per scalfire la distanza abissale che ci separa. Il vento aumenterà ancora durante i prossimi cinque giorni, non abbiamo la minima speranza di spuntarla seguendo questa rotta. Quando ce ne renderemo conto, ci accorgeremo che senza lo yankee e il paterazzo non andiamo da nessuna parte. È meglio poggiare leggermente e trattarli al meglio possibile. Alle sei comunico queste riflessioni a Ernests, sottovoce, in modo che non cada nel mio stesso errore.
Alle dieci è ormai evidente che le onde, il vento, lo scarroccio e la corrente ci impediscono di guadagnare distanza verso Est, è solo uno spreco di carburante. L’unica soluzione che ci rimane è buttare alle ortiche i giorni spesi per guadagnare latitudine verso sud e dirigere verso l’unico bruscolino di terra emersa nel raggio di trecento miglia: l’atollo di Suwarrow.
A metà turno, Ernests incappa in un formidabile groppo di pioggia, che ci scarica addosso secchiate d’acqua. La sua giacca impermeabile è bagnata fradicia. Mentre assistiamo sconsolati al diluvio, sbucano dalle onde quattro piccoli delfini. Se fossimo superstiziosi potremmo pensare che ci stiano indirizzando verso Suwarrow, che siano di buon auspicio. Si sa che i marinai non sono per niente superstiziosi, proprio per niente, quindi è sicuramente un caso. Comunque sia, sono profondamente grato a questi quattro ragazzi, venuti a rallegrare la nostra giornata miserabile. Restano a saltellare intorno alla prua per parecchi minuti, belli come solo gli animali belli sanno essere. Dopo giorni e giorni di tensione, è meraviglioso essere in bonaccia. Persino Charlotte ha subito un drastico cambio di umore, come se la doccia d’acqua dolce avesse lavato via tutto il rancore.

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