La sveglia, il mio migliore amico

Lezione di ieri: neanche io sono immune al mal di mare.
Mercoledì 18/10/2023 Oceano Pacifico (Samoa Americane)
A mezzogiorno, il vento ci abbandona quasi del tutto e decidiamo di virare di bordo per non allontanarci troppo verso Nord. L’angolo è pessimo, siamo costretti a deviare verso Sudovest, a novanta gradi dalla destinazione Papeete. Attraversiamo un groppo, poi un altro e un altro ancora. Ormai non si parla d’altro, al cambio turno Ernests mi chiede quanti groppi ho avuto in tre ore e mi aggiorna con il proprio conteggio nel turno precedente. Con il passare delle ore, abbiamo la consolazione di superare Pago Pago, lasciando l’isola a dritta. Tuttavia, all’arrivo del groppo successivo, mentre Mario sta timonando, qualcosa va storto. Si accende l’allarme che già conosciamo, e Charlotte apre il passauomo di poppa per controllare che cosa è successo. Il braccio idraulico di Mario si è staccato dal timone, spaccando la testa filettata su cui era avvitato. Il chirurgo di bordo conosce la barca come le proprie tasche, afferra le pinze, il martello e in un attimo rimette insieme il povero Mario.
Ben presto viene buio, ammainiamo la randa e aspettiamo che passi anche questa notte, navigando piano piano e cercando di risalire il vento il più possibile. Ad ogni groppo, perdiamo ancora più miglia verso Ovest perché è prudente poggiare fino ad avere il vento in poppa. Drrrr… drrrr…. Mi sveglio, riduciamo la vela, torno a letto. Ernests ha appena avuto delle raffiche di vento a 36 nodi. Il mio turno è decisamente più piacevole, le raffiche arrivano solo a 32 nodi e attraverso solo tre groppi invece di quattro. Essere riposato aiuta molto, così come la giacca impermeabile. Aveva ragione Charlotte, quando in Nuova Zelanda ci disse che avere sempre il vento addosso prosciuga le energie. Navigando di bolina l’effetto si sente parecchio. Ora mi rendo conto anche che la stanchezza dei giorni scorsi probabilmente era dovuta anche al mal di mare, più che all’aver corso una mezza maratona sabato mattina. Finisco il turno di guardia, mi levo i vestiti impermeabili fradici e torno a dormire.
Alle otto mi aspetta una sorpresa, per un momento fisso l’orologio, confuso. Ho iniziato il turno alle nove, quindi ho finito a mezzanotte, Ernests ha timonato fino alle tre, Charlotte gli ha dato il cambio e poi è di nuovo il mio turno. Perché nessuno mi ha svegliato? In pozzetto c’è ancora Charlotte, che ha deciso di coprire due turni di fila perché ieri mattina ero stanco. Il capitano ha sempre ragione, forse pensava anche di fare un bel gesto, quindi mi limito a prendere atto della nuova decisione. Mi vesto e salgo in pozzetto, determinato a riprendere il timone. Non ho bisogno di dormire sei mesi, e se c’è qualcuno a bordo che deve riguardarsi e riposare, non sono certo io. Non mi sembra il caso di ringraziare, privarmi del timone non è un gesto apprezzato, lo sa tutta la barca dal fondo della chiglia fino in testa all’albero. Finora ho puntato la sveglia solo di tanto in tanto, ma evidentemente non posso fidarmi di nessuno, che si tratti di avvistamenti di cetacei, di manovre sul ponte o di turni al timone. D’ora in poi ci sarà sempre una sveglia, in modo che non capiti di nuovo. Come dice il maestro Alberto, Sensei di karate e jujitsu, ogni singolo allenamento è un’opportunità di crescita, ogni singola lezione persa va sprecata, non importa quale.
Mentre compilo il giornale di bordo, a fine turno, noto una grande scritta rossa: “SCUFFIA”. È stata annotata ieri sera, ma non mi sono accorto di niente. Charlotte dice che Valiant si è inclinata così tanto da rischiare la scuffia a novanta gradi. Eravamo ben lontani dal toccare l’acqua con l’albero, ma c’erano tutti i presupposti per una scuffia. Le è capitato una volta durante una regata, era parte di un equipaggio di venti marinai. L’imbarcazione di legno su cui navigava è stata investita da una raffica, che ha moltiplicato improvvisamente la pressione sulle vele facendo inclinare tutta la barca. L’albero sovraccarico, anch’esso di legno, si è spezzato con rumore tremendo.
Ora che al timone c’è Ernests, il capitano prepara il pranzo. Perché le manopole dei fornelli non funzionano? Che sia finita la bombola? Impossibile, l’abbiamo cambiata due settimane fa. Forse c’è una fuga lungo il tubo. L’ipotesi più probabile purtroppo è un’altra, perché il quadro elettrico sta avendo dei problemi. Può darsi che gli spruzzi di acqua marina di questi giorni si siano infiltrati nel retro del quadro elettrico, ossidando alcuni contatti. Anche l’interruttore delle pompe di sentina laterali non funziona più, ed è proprio sotto l’interruttore del gas. Abbiamo ancora due pompe di sentina funzionanti, ma come facciamo adesso a cucinare? Penso subito agli otto chili di bsissa e ai due chili di arachidi che ho imbarcato come scorta. Possiamo sopravvivere per un bel pezzo. Charlotte in realtà ha già una soluzione, anche se non ne è affatto entusiasta. L’impianto del gas ha una doppia valvola di sicurezza, la prima è un regolatore di pressione attaccato alla bombola e la seconda è elettrica, accanto ai fornelli. Basta disabilitare la seconda e affidarsi al regolatore di pressione, che sulla terraferma è sufficientemente sicuro. Paradossalmente, gli incendi in mare sono difficili da spegnere, perché portare l’acqua da fuori a dentro è un’operazione laboriosa e a volte è anche poco sicura. Appurato che il gas funziona ancora e non moriremo di fame, vado a letto.

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