Le gioie di essere un architetto

Lezione di ieri: se hai fame, conta pure sugli indonesiani, ma impara, mi raccomando.
Sabato 10/12/2022 Samarinda (Indonesia)
Acmad è già uscito e in casa ci sono solo Budhi e Efendy. Ci prepariamo in fretta per andare all’università, a partecipare al seminario tenuto da Tiffany, la collega di Acmad. Prima di entrare nella sala conferenze, prendiamo al volo una scatola di cibo fornito dall’università. È incredibile come qui il cibo non manchi mai, in ogni occasione di ritrovo.
Con l’aiuto delle slides e del mio fedele traduttore, riesco addirittura a cogliere il senso dei discorsi. Nel frattempo Efendy e io mangiamo.
Alla fine del seminario avrei anche una domanda da fare, ben preparata, ma il mio braccio alzato viene ignorato. Come direbbe Ahmad, sono razzisti. Il motivo è semplicemente che il tempo sta finendo e il seminario è rivolto agli studenti, io non c’entro proprio niente. Peccato per loro, mi sembrava una buona domanda.
Finita la conferenza aspettiamo Fanny (Tiffany) seduti sotto al portico, poi andiamo a pranzare in un ristorante particolare, con dei piatti più ricercati del solito, ad esempio il riso nero. L’altra particolarità è che nei pressi dei tavoli c’è un recinto con tre tartarughe terrestri. Il locale ha aperto da poco e perciò ho il presentimento che queste testuggini siano state trasferite direttamente dal pavimento della foresta al pavimento di cemento, come decorazione. Come ormai si sarà capito (leggendo le pagine del giornale di viaggio che non ho ancora scritto), è difficile sottovalutare l’interesse degli indonesiani per la conservazione del proprio patrimonio naturale. Questo interesse è ad un livello tale che non finisco mai di stupirmi di quanto infimo sia. Per questo è difficile sottovalutarlo. Meglio tornare al tavolo a chiedere a Fanny che difficoltà ci sono a lavorare in Indonesia come architetto, in quanto donna. Mi aspetto che non sia affatto semplice. La sua risposta in realtà mi stupisce, perché la situazione non è così terribile come immaginavo. Semmai il problema sono i clienti, che tendono a rivolgersi a un uomo perché si presuppone che sia più competente dal punto di vista ingegneristico, proprio come accade anche in Italia. Pensavo peggio, ogni tanto si può tirare un sospiro di sollievo. Va male come da noi, se non altro.
Mentre chiacchieriamo torna il cameriere, a informarci che il bubur non è disponibile e non potrò assaggiare il mio acerrimo nemico. Non capisco come possano aver terminato il riso sbriciolato, ma mi adeguo. Da bere ho chiesto una tazza di tè perché dopo ieri l’altro non mi faccio più fregare. In certi locali non sono in grado di portare una tazza dell’acqua bollita che usano per il tè, ma solo l’acqua minerale. Se insisti a chiedere un bicchiere, ti portano un bicchiere di acqua minerale, gli infingardi!
Ridendo e scherzando finiamo di mangiare, sorseggiando le bibite lentissimamente alla maniera indonesiana. Mi faccio scattare qualche foto con l’apatosauro alto tre metri che c’è nel cortile, non lontano dalle testuggini, poi torniamo a casa a rivedere Acmad.
L’incontro con Ami non è andato per niente bene perché lei lo ha lasciato, così prendiamo lo spunto per approfondire le ragioni della loro presunta incompatibilità. Innanzitutto qui in Indonesia non ci sono delle vere e proprie caste dettate dalla stirpe, ma la classe di ciascuno viene definita dal lavoro che svolge. Questa classe viene chiamata stigma, proprio come in latino, e fa sì che i figli siano condizionati dal mestiere dei genitori, oltre che dal proprio. Addirittura, in Indonesia il mestiere è riportato sulla carta di identità, così come l’affiliazione religiosa. Mi sembra un’ottima idea per facilitare le discriminazioni sociali, come mi ha suggerito la Gualtier (o meglio Giulia Gualtieri) si potrebbe migliorare aggiungendo anche lo schieramento politico. Non mi sono mai reso conto delle implicazioni della voce “professione”, quando era specificata sulla vecchia carta di identità italiana. Nel caso di Acmad, che lavora nello studio di architetti insieme a Fanny, la professione è indicata come “imprenditore”. Chi altro si guadagna da vivere in maniera indipendente? Proprio quelli che selezionano i rifiuti. Chi è che non è affatto contento che Acmad faccia il lavoro a cui aspirava da bambino? I suoi genitori, proprio loro. È un aspetto culturale complesso, dipendente in buona misura dall’apertura mentale della famiglia. I due innamorati hanno anche organizzato un incontro tra le due famiglie, per chiedere l’approvazione del loro fidanzamento ufficiale. Si sono guardati dall’alto in basso e dal basso in alto, senza possibilità di mediazione. L’incontro ha riscosso tanto successo che Ami e Acmad hanno anche smesso di frequentarsi, ma soltanto per cinque mesi. Acmad è parecchio giù e fuma sempre di più, ma è bravo a deviare il discorso su altri temi. Meglio parlare di filosofia, di Platone, Jung, Bordieu e Nietsche. Io ho digerito malissimo la filosofia da Platone in poi, ma spiegata nel modo giusto la trovo interessante. Acmad mi porge il proprio diario personale, un librone sgualcito in uso dal 2015 ad oggi. C’è riportata per intero la massima di un saggio, un certo Lao Ma.
“To know the way is like being a child. Laughing
and crying all day without hoarse.

Small people hate loneliness, but the master
makes it his home, his source, his mother,
for he knows it allows him to be one with the universe.

The master knows no expectation,
and therefore, no disappointment.
And thus he stays young forever.

To conquer other is to have power. But
to conquer yourself is to know the way.”

(“Conoscere la via è come essere un bambino. Poter ridere
e piangere tutto il giorno senza perdere la voce.

Gli uomini superficiali odiano la solitudine, ma il maestro
ne fa la propria casa, la propria fonte, la propria madre,
perché sa che essa gli permette di essere tutt’uno con l’universo.

Il maestro non conosce aspettative,
e pertanto nessuna delusione.
E così rimane giovane per sempre.

Conquistare l’altro significa avere potere. Ma
conquistare sé stessi significa conoscere la via.”)

I nostri ragionamenti vengono interrotti dal ritorno di Efendy e Budhi, che portano cibo e allegria. Acmad deve uscire di nuovo e così resto nello studio a scrivere, in compagnia degli altri due soci e delle rispettive morose. Questa sera si potrebbe andare in un club, mi chiedono cosa ne penso. Penso che ci sono già stato una volta quando ero in Costa Rica, in modo da assicurarmi che i club non sono posto per me. Così Budhi compra una bottiglia di vodka al sapore di litchi, per la modica cifra di ventidue euro. Immagino che ci siano delle accise enormi come in Turchia, ma non è così. Tuttora non ho capito come sia possibile che costi così tanto. Quello che ho capito è che il caffè è ancora più buono di prima. Il pomeriggio e la serata diventano una lunghissima serie di telefonate, così mi siedo insieme agli altri quando è già tardi. Colgo l’occasione per raccontare di come gli italiani disimparino molto in fretta a sedere a gambe incrociate. Mi torna in mente ogni volta che osservo i miei progressi nell’uso della sedia più antica del mondo, cioè il terreno. Come direbbe Alberto, il maestro di karate, prima ero un pezzo di legno e in sei mesi sono diventato Carla Fracci. Per chi non ha mai perso l’abitudine sedersi per terra è  pratico, facilmente reperibile e non serve spostarlo per sedersi da un’altra parte. Nonostante i progressi enormi, io sono ancora ben lontano dalla scioltezza stupefacente dei miei compagni di bevuta.
Per oggi ci siamo allenati abbastanza a stare seduti, la bottiglia di oro liquido è finita e sono già le tre, crollo dal sonno.

1 commento su “Le gioie di essere un architetto”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *