In Indonesia lo chiamano Bubur con formaggio

Lezione di ieri: se la scrittura si blocca, taglia e riparti.
Venerdì 09/12/2022 Samarinda (Indonesia)
Oggi dobbiamo uscire per andare a presentare una petizione all’università, perché molti studenti sono contrari all’assegnazione di due lauree ad honorem. Acmad mi chiede di ricordargli di comprare della benzina extra per pulire il pavimento della cucina. Da qualche mese ci sono delle strisce di colla lercia sul pavimento, che ieri ho iniziato a grattare via con un cucchiaino. La colla è dovuta ad un’idea geniale della madre di Acmad, che ha pensato di incollare la moquette sulle piastrelle della cucina. Ora restano solo delle strisce marroni del cosiddetto “taccone”, cioè una sostanza lurida e vagamente attaccaticcia. Ieri sera nelle pause dalla scrittura ho pulito a mano ben due piastrelle. Ci vuole un solvente.
Per prima cosa, andiamo in moschea perché è venerdì. Acmad invita anche me e accetto allegramente, sono sempre grato a chi scavalca le insicurezze e mi invita a pregare insieme. Volo a lavarmi e a prendere il sarung che mi è stato regalato pochi giorni fa, insieme al sonko (sonkò) che mi ha regalato Razak a Pasir Puteh. Il sonko sarebbe il cappello tradizionale che portano i musulmani in Indonesia e in Malesia. Varchiamo la soglia e con mio grande stupore proseguiamo a piedi per cinquanta metri, fino alla moschea. Mi sono dimenticato le abluzioni, me tapino! Eh niente, ormai siamo dentro e do già abbastanza nell’occhio con il mio naso a punta, non c’è bisogno di fare ulteriori scene. Dio capirà.
Solitamente prego per i fatti miei, ma durante la predica mi accorgo con stupore che questa volta riesco a cogliere qualche parola, perché l’imam non sta parlando arabo. Incredibile, meraviglioso. Un altro po’ di vocabolario e arriverò a capire.
Rientriamo a casa e ci diamo alle attività di oggi, che sono la spesa per la cena e il giro all’università. Stasera cucino io e quindi cercare gli ingredienti non sarà semplice. Ieri sera dopo il discorso sui rifiuti abbiamo parlato di risotto, perché mi manca e sono un po’ stanco di spiegare che cos’è. Gli indonesiani sostengono che sia simile al bubur, che sarebbe un porridge fatto con i chicchi di riso rotti. “Non è bubur, e dai! Non c’entra niente.” Un risotto senza formaggio è come una torta senza zucchero, che diventerebbe una specie di pane condito.
Partiamo dagli ingredienti facili: cipolle e carote per il brodo. Tre cipolle dorate, tre carote medie: un euro. Due melanzane staranno bene con i funghi? Ma sì dai, anche perché ci dobbiamo mangiare in dodici. Il sedano qui non c’è e mi sembra un po’ eccessivo ripiegare sul coriandolo, per pietà nei confronti dei funghi. Zucca? Sì che ci sta bene, aggiungiamola. Paghiamo duemila rupie al tizio che tiene d’occhio i motorini e i caschi e andiamo al supermercato. Qui inizia il dramma, a cominciare dai funghi. Ci sono solo quei funghi gommosi e insapori che si mangiano in Thailandia, che conosco già. Sono chiari o scuri, ma comunque insapori. Ripiego su dei funghi di produzione cinese, che probabilmente sono dei boleti saporiti quanto la plastica che li avvolge. Acmad dice che sono buoni e sgrana gli occhi mentre ne scarico un chilo dal ripiano del frigo. Ora, la margarina di palma e il formaggio. Il burro non è neanche da prendere in considerazione perché se ci fosse costerebbe almeno venti euro al chilo. Infatti non c’è. Al suo posto c’è la burromargarina di palma, che sarebbe margarina con aggiunta di olio di burro. Il burro all’interno è talmente poco che il colesterolo è approssimato a zero, molto bene. Il formaggio è poco sopra, costa un euro ogni 150 grammi, ma non è in frigo. Brutto segno. Già confuso, giro la scatola e trovo una lista di ingredienti lunga come una pagina di giornale. Mi appoggio ad Acmad per prevenire un mancamento.  Riporto gli ingredienti per esteso perché la lista regala emozioni dall’inizio alla fine.
Acqua. Olio vegetale, con antiossidanti. Amido vegetale modificato. Proteine del latte. Formaggio cheddar. Emulsificante: sali di fosfato. Sale. Maltodestrina. Regolatore di acidità: acido lattico. Pasta di formaggio. Zucchero. Conservante: sorbato di potassio. Colorante naturale: beta carotene. Aromi: polvere di corna di satana (sintetiche).
Acmad mi sta facendo un video mentre commento ad alta voce questo orrore. Posto che questa è la normalità in Indonesia, non so neanche da dove iniziare ad esprimere ad Acmad il mio sgomento. Acqua e olio vegetale? Forse è maionese vegana. Ma poi perché il formaggio contiene formaggio? Zucchero? Sì grazie, due zollette. Il risultato finale era del tutto bianco, perciò hanno pensato bene di colorarlo con le carote. “Ci dev’essere un pezzettino piccino piccino di formaggio nel frigo, vero Acmad?”
Troviamo l’ultima confezione di keju mozzarella (chegiù) della marca Perfetto. È fatto di latte, sale, colture batteriche, caglio e cloruro di calcio. È giallo e molliccio, ma almeno contiene latte. Trascurando la denominazione, tiro un sospiro di sollievo e lo aggiungo alla squadra. Però non basta per dodici persone e mi rifiuto di comprare quell’altra porcheria. “C’è la crema?” La commessa mi guarda spaesata.
“Intendo la crema di latte.” Questa volta reagisce all’unisono con Acmad: “Ah krimer! Sì sì, c’è.” Mi portano davanti allo scaffale del latte condensato e dei surrogati da aggiungere caffè. Non hanno nulla a che fare con la crema e non c’è alcun modo di spiegare di che cosa parlo, perché qui nessuno ha mai visto la pellicina del latte riscaldato. Non resta altra scelta, dobbiamo comprare il Prochiz. Davvero? Sì, davvero. Lo scaglio nel cestino della spesa, con lo stesso disprezzo dei cuochi svedesi di Swedish Meal Time (rinomato canale Youtube di ricette culinarie, grazie Manfre).
In tutto la spesa per dodici persone costa circa ventimila rupie a cranio, un terzo di una tipica cena Ciuciado, anche se c’è solo un piatto di riso, niente di più. Per chi non si ricorda, le cene Ciuciado sono quelle serate di cucina e baldoria patrocinate da Garry, il nostro chef. Ogni tanto ci riuniamo tra amici per cucinare insieme, con gli ingredienti economici comprati al supermercato Esselunga. Solitamente spendiamo quattro euro a testa per antipasto, piatto principale, dolce e bibite. Capite ora perché non riesco a comprendere come possano bastare duecento euro al mese?
Finalmente ho l’onore di pagare io, così passiamo velocemente dall’università. Qui nessuno controlla i motorini e tantomeno i caschi inforcati sugli specchietti o appoggiati sui sellini. Ridacchiando, racconto ad Acmad che, in Italia, la vita media di un casco incustodito è di circa cinque minuti. Ogni volta i paesi poveri riescono a stupirmi. Anzi, le cose sono due: i paesi poveri e la generosità degli indonesiani. Arriva Jimmy con in mano una scatolina azzurra appena acquistata, con dentro la colazione. Si siede con me al tavolo e mi apre la scatola davanti, invitandomi a mangiare. “No grazie Jimmy, sono già a posto, è la tua colazione.” Dopo qualche minuto di chiacchiere lui torna alla carica, perciò mangio un piccolo budino alla frutta. Torna Acmad, si siede al tavolo e si serve da solo, prendendo un dolcetto dalla scatola. Poi sopraggiunge anche Tiffany, così Jimmy porge la scatola a lei e mi consegna l’ultimo pezzo di colazione, così assaggio anche quell’involtino alle verdure. Jimmy ha mangiato solo un biscottino microscopico e la sua colazione è finita così, senza che lui battesse ciglio. In Europa, al massimo si condivide il cibo, qui invece di norma si elargisce. Questa volta però è stato impressionante, un’altra lezioncina da ricordare.
Poco più tardi, torniamo a casa con la spesa. Ci siamo dimenticati la benzina, pazienza. Acmad deve lavorare, io devo riprendermi dalle emozioni forti di stamattina e scrivere.
Iniziano ad arrivare alcuni amici, tornano anche Afandi e Budhi con delle palline di pasta fritta come merenda. Verso le sei e mezza mi dirigo in cucina, cercando di elaborare un piano. “Quanto riso mangiate voi indonesiani?” Non lo sa quasi nessuno, solo Dani conosce il segreto del riso, un misurino di plastica che basta per ogni orango (orang in indonesiano vuol dire uomo, ma a me viene sempre in mente l’uomo della foresta). Il misurino in questione è tre quarti di un bicchiere, così decido di abbondare perché ci sono anch’io.  Nove misurini per gli oranghi indonesiani e due per l’orango bianco. Quando mi chiamano orang putih io penso sempre ad un orango albino. Oggi ho spiegato questa associazione di idee e ci siamo divertiti molto. Ad ogni modo le pentole sono piccolissime, ma se ne riempio due a livello dovrei starci, incrociando le dita. Anche i fornelli sono solo due, quindi la preparazione sara molto lunga. Nel frattempo gli altri sono in sala, seduti in cerchio sul tappeto, a cantare e suonare la chitarra. Sembra tantissimo di essere a casa di Mors insieme a tutti gli altri, come ai vecchi tempi. Vecchi tempi che diventeranno i nuovi tempi, quando tornerò.
All’alba delle dieci e mezza il risotto è pronto e per fortuna nessuno è ancora morto di stenti. È da quando ero a Tehran che non mangio cibo italiano. Mi servo per ultimo perché questo momento storico richiede delle foto ricordo. Alla prova d’assaggio, beh… Diciamo che rende l’idea di che cosa sia un risotto, perché la consistenza è quella giusta. Il sapore è composto da margarina che non sa di niente, funghi che sanno di aglio e sale, formaggio che sa di sale e una zucca che sa solo di arancione. In pratica c’è un vago sapore di fungo caramellato, aglio e soffritto di cipolla, ma è meglio di niente. Il risotto infatti viene molto apprezzato, malgrado tutto. È incredibile quanto piccolo sia il loro appetito, c’è ancora metà del riso e io ne ho già mangiati tre piatti. Devo ammettere che ci contavo, vado a riempire il quarto sotto gli occhi esterrefatti dei presenti. Glielo devo dire che io e mia sorella siamo in grado di sterminare sette etti e mezzo di pasta? No, sono già abbastanza sconvolti, glielo racconterò domani.
È così tardi ormai che alcuni stanno già andando a casa, perciò è il caso di fare due chiacchiere in più e andare a letto a digerire quattro piatti di soddisfazione. Il risotto ha preso voti altissimi dai giudici.

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