Anche i nonni mangiano per terra

Aggiunta al giorno della partenza da Dunagiri: Mentre siamo parcheggiati al bar, si ferma una famiglia di passaggio, venuta a trovare i parenti in montagna. Hanno a bordo due animali da compagnia. Un normalissimo cane e una cavia peruviana, che mai mi sarei aspettato di vedere in India, dove gli animali da compagnia che non abbaiano sono molto rari. La padrona ha un po’ più di trent’anni e si siede sulla panchina dove anch’io sto aspettando che mio marito Kilari finisca di fumare insieme alla brigata dei perdigiorno. Lei abita a Delhi con la famiglia e beh, naturalmente preferisce stare quassù, come quasi tutti a parte quelli che ci vivono. Ancora una volta mi sento chiedere se sono ospite di Kilari e ancora una volta noto un moto di sorpresa, alla mia risposta. Posso parlare apertamente in inglese tanto Ashish è lontano e non capisce. A quanto pare lei lo conosce e mi sembra una persona degna di fede. “Ogni volta che ne parlo la gente si meraviglia, alcuni mi hanno addirittura messo in guardia dal mio ospite. Continuo a non vederne il motivo. Qual è il problema, devo stare attento?”
“Tu ti fidi di lui?” “Sì che mi fido.”
“Allora non preoccuparti, sei in buone mani.”
Dopo questa rassicurazione disinteressata tutte le mie preoccupazioni spariscono e finalmente so di poter ritornare qui a cuor leggero, ora mi pare di vederci chiaro, grazie.

Lezione di ieri: i ficus sono alberi permalosi.
Martedì 21/06/2022 00:00 Bhanyiawala (India)
Scrivo senza sosta, elettrizzato da questa notte produttiva. Quando riesco a continuare a scrivere senza addormentarmi prima del tempo, meglio assecondare le circostanze e scrivere. Ascolto gli Avantasia in cuffia, una delle band di cui mi ha parlato Aleot. Continuo così tutta notte, fino alla partenza. Il mio gesto sconsiderato viene preso molto peggio di quanto pensassi, a quanto pare sto per morire. A quanto pare non mi conoscono. Non sono stato qui neanche ventiquattr’ore e ho già preso in mano vari insetti e fatto un dritto restando sveglio tutta notte. Qui mi hanno guardato con due occhi così. Quando Aleot lo saprà non sarà affatto stupito, dirà semplicemente che “sono cose da Palla”.
Così preparo lo zaino, bevo il mio tè mattutino e mi incastro in macchina con lo zaino in braccio, seduto al centro. Siamo carichi anche di cibo da portare lassù alla nonna, per questo non c’è spazio nel baule.
Curva su curva risaliamo la Ganga fino al punto in cui ha origine, che non è una sorgente, ma la confluenza tra l’Alaknanda e il Bhagirati. Il primo è il più lungo, il secondo è quello che porta alla sorgente del fiume sacro, nei pressi di Gangotri. Procediamo oltre, fino al punto panoramico dal quale si vede il tempio Dhari Devi, collocato su una palafitta di cemento sull’acqua. È stato traslocato per costruire una diga sull’Alaknanda, e le operazioni di trasferimento sono terminate poche ore prima che la valle fosse spazzata dall’onda di piena del 2013, il 16 giugno.
Continuiamo a costeggiare le valli fino a Srinagar, che io credevo essere un grosso paese di montagna. Srinagar è una città di quarantamila abitanti, con addirittura un’università. È sviluppata lungo la strada e non finisce mai, ci fermiamo per fare colazione con roti imburrato e ceci in umido, piatto tipico di quassù. Infine, gira e rigira, raggiungiamo Agastmuni e la casa dove Ashish e il fratello minore hanno trascorso l’infanzia.
Ci accoglie la nonna con un gran sorriso, una piccola signora magra che apparentemente non perde colpi e bada ancora a sé stessa e al piccolo orto di casa, fa da mangiare ed è decisamente indipendente, nonostante viva da sola. Ashish e il fratello cacciano via a sassate un paio di scimmie venute in incursione, ma a quanto pare quest’anno i manghi del giardino non hanno fatto frutti. Qui le case hanno uno stile simile a quelle di Dunagiri, ma quella della nonna è a un piano solo e fu costruita dal marito tanti anni fa con pietre e cemento in piccole quantità. È pesante da portare su a spalla. È già ora di pranzo, così dopo un breve giro del giardino ci sediamo a mangiare. Non si sediamo al tavolo perché non c’è alcun tavolo in casa, ci sediamo per terra nel disimpegno, così come la mamma e la nonna si siedono per terra in cucina. Le nonne di qui possono sedersi a gambe incrociate e sperare di potersi rialzare, è incredibile.
La nonna parla quasi solo Garwali, lo stesso dialetto di Dunagiri, perciò con lei comunico a ringraziamenti e sorrisi. Vanno tutti a dormire perché dopo pranzo bisogna riposare, la siesta è un’istituzione fondamentale come a casa dell’altro Ashish. Sono tutti disperati perché non voglio dormire, ma io devo scrivere e mi siedo per continuare. Cioè… in effetti… è difficile…. Dopo un paio d’ore non si è ancora svegliato nessuno e gli stimoli esterni sono ridotti a zero. La testa è molto pesante, così vado ad appoggiarla sul materasso preparato per me nella stanza accanto.
Mi sveglio all’imbrunire, quattro ore dopo, quando ormai è pronta la cena. Insieme al roti e al riso c’è un curry di frutto del pane raccolto dall’albero qui nel giardino. Ricordo che la parola curry in India è altrettanto specifica che kebab in Turchia. Non ha a che fare con il mix di spezie che noi usiamo per il pollo, ma si usa per indicare una pietanza qualsiasi. Riso e roti fanno da pane, i sughi belli unti si chiamano gravy, le salsine piccanti sono pickles e tutto il resto sono curry di ogni tipo. Le cose stanno all’incirca così.
Essendomi addormentato nel momento sbagliato, mi sono perso la raccolta del frutto dall’albero e anche la sua preparazione. Essendo in punto di morte, non mi hanno svegliato anche se gli avevo chiesto di avvisarmi. Fa lo stesso, ora che ho già aperto un frutto posso immaginare il procedimento. Dopo cena sbircio in cucina per consegnare il mio piatto, così il mio sospetto trova conferma: anche la nonna mangia seduta per terra a gambe incrociate. Da noi è fantascienza, ma qui davvero possibile, lo giuro.
Continuiamo a chiacchierare di gusto tutta sera, di libri, di film, di lui che non si vuole sposare e che per questo farebbe bene a trasferirsi davvero in Italia. Sarebbe una seccatura a vita vivere in India senza essere sposati. Bisogna giustificare il proprio comportamento innaturale praticamente con chiunque. La casa quassù probabilmente è destinata ad andare in rovina, a meno che qualcuno trovi la voglia di venire quassù mantenerla in sesto prima che venga abbandonata come la casa precedente, costruita proprio qui accanto.
Andiamo a dormire, cerco di scrivere ma per oggi ho dato abbastanza.

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