L’invenzione dei fratelli Lumière

Lezione di ieri: stringi pure le mani come ti pare, tanto nessuno si offende.
Venerdì 02/06/2022 10:10 Lahore (Pakistan)
Dopo la sveglia con calma, Ahmad ricontrolla il biglietto aereo per Bologna e mi comunica che il suo volo è il cinque giugno, non l’otto come si ricordava. Meno male che tendo a prendere i biglietti due giorni prima. Spero ancora che qualcuno degli alti commissari che abbiamo contattato per ricevere un permesso speciale mi risponda. Facciamo colazione con a base di frittata è intanto arriva un altro degli amici di Ahmad, che si ferma per fare quattro chiacchiere e bere un tè. Non lo riconosco subito perché mi hanno drogato o perché sono tonto, ma è Hassan, venuto a prendermi per uscire. Non so perché abbia un aspetto così diverso da ieri sera, quando l’ho visto solo di profilo. Non fa niente, non si è accorto dei miei pensieri e quindi posso dissimulare. Lascio Ahmad a studiare per l’esame in arrivo il mese prossimo e noi due ce ne andiamo in esplorazione in giro per la città.
C’è una bozza di piano, cioè andare al cinema e anche al bazar per vedere il mercato e un’altra moschea importante. Per prima cosa Hassan suggerisce di andare al cinema, così nel frattempo il sole cala un po’ e la temperatura diventa un po’ più tollerabile. Ormai mi pare di essere più abituato al caldo di chi mi sta intorno.
Arriviamo sette minuti dopo l’orario di inizio della proiezione, quindi si entra, ci sediamo circa trenta secondi prima che inizi la prima scena. Allacciate le cinture, siamo in poltrona davanti al secondo film di Top Gun. Hassan mi aveva parlato di un film con Tom Cruise, ma non avendo mai visto Top Gun non sa che stiamo andando a guardare IL SEQUEL DI TOP GUN.
Dopo i primi dieci minuti mi sto già chiedendo come abbiano continuato il film, una scena così spettacolare va bene per gli ultimi dieci minuti, altrimenti come ci si può inventare qualcosa di ancora più incredibile? Forse raggiungendo la velocità della luce. Il film prosegue ed è devastante, mi sembra di non essere mai stato al cinema. Sono passati solo sette mesi da quando sono andato al cinema con Špela a guardare “Dune”, ma a me pare un’eternità. O forse è quella giostra a Shiraz su cui sono stato con Hakan che rende più vivide le immagini. O forse è l’effetto di quell’ultima discesa sugli sci a velocità smodata, a Sarıkamış in Turchia. Non lo so cosa sia, ma il risultato è che all’uscita dalla sala sono strabiliato e continuo a ripetere “che film!”, “pazzesco!”, “devastante!”, “incredibile!”, mentre nella testa mi scorrono le scene esaltanti del film. (Ho già detto troppo e poi chi legge si monta la testa. Il film è mediocre, non aspettatevi un granché, portatevi un cuscino perché il film è una noia mortale.)
Come stavo dicendo, sono ancora folgorato da questa esperienza mai provata di andare al cinema. Hassan non è ancora pronto per affrontare la calura del tardo pomeriggio, così usciamo e rientriamo nel bar accanto.
È un bar rosa, con il menù rosa, si chiama “L’amour” e ha dei prezzi quasi francesi. Hassan scatta subito un paio di foto per fare invidia alla sua fidanzata. Lui è vestito come si deve, io invece sono fieramente in tuta. È l’unico vestito che ho, prestatomi da Ahmad mentre tutti i miei vestiti sono a lavare. Ahmad è il doppio di me, ma giura che una volta questi pantaloni gli andavano bene.
Ordino due tartine che si chiamano rocket-qualcosa e poi cerco il tè in fondo al menù, ma c’è solo un “L’amour special tea”, che sarebbe il tè normale che si beve in ogni bar, ogni casa e ogni strada del Pakistan. Per me che non mangio funghi dalla notte dei tempi queste due bruschette o tartine ai funghi sono una delizia incredibile. Però ho ancora la testa persa a volare, quindi sicuramente non le ho lodate abbastanza.
18:40
Adesso sì che è ora di andare in centro, quindi un autista del cinema ci riporta la macchina e ci lanciamo nel traffico di Lahore. In realtà i Pakistani qui guidano molto meglio degli indiani, infatti guardano anche ai lati della macchina, non solo davanti. Di conseguenza i clacson qui sono praticamente inutilizzati, nonostante Ahmad sia convinto del contrario perché confronta il Pakistan con l’Italia. Per svoltare e per fare inversione lungo le strade trafficate basta girare in volante e fendere il traffico in arrivo dal verso opposto, invadendo una o entrambe le corsie. Tutto è normale, nessuno si attacca al clacson per un leggero taglio di strada di questo genere. Però devo riconoscere che qui in città è rarissimo vedere veicoli contromano.
Ho detto che guidano meglio degli indiani, non ho scritto che guidano bene.
La macchina su cui siamo seduti merita una menzione speciale, perché è in corso di restauro. Hassan e altri due amici la hanno comprata usata e malconcia, rimettendola pazientemente in sesto. È una Corolla dell’86, “con l’impianto dell’aria condizionata soprendentemente integro”, come afferma il proprietario.
Ieri sera ho chiesto a Hassan se è sposato, perché ormai lo chiedo a tutti quelli sopra i vent’anni. Ufficialmente non è neanche fidanzato e ne approfitta per spiegarmi il motivo. Suo padre è una figura importante della politica della città di Lahore, mentre la famiglia di lei invece opera in un settore diverso, pur essendo benestante. Questa incompatibilità appare insormontabile per il padre di Hassan e la madre di lei, che sono contrari al fidanzamento. Inoltre lei viene da una città molto distante, perciò dopo il fidanzamento e il matrimonio bisognerebbe anche mettere in conto la scomodità di partecipare a fidanzamenti, matrimoni, compleanni, nascite e morti in entrambe le famiglie. È una faccenda complessa, perché qui in Pakistan i matrimoni hanno proporzioni luculliane. Un matrimonio normale comprende circa 400 o 600 invitati, ma quando si sposa un commissario sono automaticamente invitati tutti i commissari del Pakistan e famiglie. Ahmad mi ha raccontato che recentemente a Lahore si è tenuto uno di questi matrimoni a Lahore, con circa 1200 partecipanti. Non so se si è capito che il matrimonio non va preso sottogamba.
Ora che ho dato l’impressione che il Pakistan sia rimasto nel Medioevo, è ora di disfare i pregiudizi. Ad Hassan non è proibito sposarsi con chi vuole, non si è ancora sposato per lo stesso motivo per cui io non ho ancora visitato quel maledetto Nord che deve essere tanto bello. Puoi contrariare i genitori, non è più vietato, ma poi che cosa fai, li butti via e ne compri un paio nuovo? Inoltre non ho ancora menzionato la madre di Hassan, che si è espressa dicendo: “L’importante è che trovi una moglie responsabile. Se non ne sei sicuro, vuol dire che non vi conoscete abbastanza.”
Inoltre il sistema che si usa qui è diverso da quello che si usava da noi, mi pare. Me lo ha spiegato Ahmad un anno fa, per più di un’ora. Nel caso di Ahmad, i suoi genitori svolgono delle investigazioni qui in Pakistan, cercando una ragazza raccomandabile. Dopodiché i due si conoscono e se si piacciono si procede con la megafesta di fidanzamento. Una volta fidanzati la promessa sposa va a vivere con la famiglia dello sposo per un anno o due. È una maniera per assicurarsi che vada tutto bene. Naturalmente ci si può anche attivare personalmente in questa ricerca, ma con il rischio di incontrare gli stessi ostacoli di Hassan. Questo è quello che accade nella grande Lahore, immagino che nelle zone rurali i matrimoni vengano decisi a tavolino e basta. Non lo so, non ci sono stato. Aggiungo che abitare con i suoceri per una anno o due può essere utile dare un’idea alla sposa di come diventerà il marito venti o trent’anni più tardi. Non mi pare che sia un sistema da buttare via interamente, per quanto ci sembri diverso e antiquato.
Hassan mi chiede se la mia famiglia fa parte di una casta, ma non mi risulta proprio. Al massimo si può dire che un mio prozio era nobiluomo della famiglia Cattanìa, che settant’anni fa significava ancora qualcosa, ma ormai è rimasto solo uno stemma. Ovviamente ci sono famiglie privilegiate, ma i privilegi non derivano semplicemente dal cognome.
Si fa buio e ci dirigiamo senza navigatore verso Food street. È una scelta pessima, finiamo incastrati nel traffico della via più breve, dove la circolazione è ostacolata dalla presenza di una moschea che fornisce un piatto di cibo ai bisognosi. A Lahore i bisognosi sono parecchi, le aiuole spartitraffico sono la casa di molta gente che siede all’ombra dei cespugli e guarda, non ha altro da fare. Qui davanti alla moschea l’aria è satura di gas di scarico.
L’aria di Lahore non è propriamente pulita, ma lontano dalle strade la potrei definire respirabile. Non ha niente a che vedere con l’aria irrespirabile che abbiamo a Reggio, quando l’indice di qualità dell’aria sfiora il livello 100. Qui quando si scende a cento si festeggia, ma perlomeno non siamo ai livelli di Delhi, dove arriverò tra pochi giorni.
Come se non bastasse, le stradine nei quartieri popolari non sono asfaltate, perciò il vento di oggi solleva nuvole di polvere a ogni raffica. Tuttavia non siamo in Iran, dove la polvere cala dall’alto a nuvoloni. A Lahore c’è polvere lungo le strade, ma tra le case il vento non soffia abbastanza forte.
Per mitigare il problema molti esercizi commerciali gettano acqua sul piazzale davanti al negozio, per cercare di tarpare le ali ai granelli malefici. Qui nel traffico delle sette però le macchine e i tuktuk sollevano la polvere e la lanciano in aria insieme al gas di scarico, cosicché la cappa di fumo è visibile alla luce dei fari. Hassan, che è allergico alla polvere, decide che è ora di usare la malvagia aria condizionata.
Siamo liberi! Arrancando nel viavai di motorini che si intrufolano dappertutto, arriviamo nello stesso posto di ieri l’altro, quando sono venuto con Ahmad e Ferzaad. Non c’è posto per parcheggiare, perciò Hassan lascia la macchina in tripla fila e consegna le chiavi al parcheggiatore. Funziona come in Kosovo, con l’unica differenza che il parcheggiatore tiene tutte le chiavi appese alle dita, invece di appenderle in una bacheca.
A quest’ora gli edifici storici di Food street hanno un aspetto completamente diverso, nella strada piena di luci sulla quale svettano i minareti della moschea centrale. Per prima cosa facciamo un giretto nel primo albergo della via, che oggi ospita il ricevimento di un matrimonio. Si può comunque entrare liberamente ad ammirare l’architettura tradizionale, le spade e le armature nelle vetrine, ma soprattutto la vista dalle terrazze. Da qua in alto si vedono le tre cupole appuntite della moschea, bianche, e i minareti rossi che le circondano, anch’essi illuminati dai fari. In alto nel cielo, una falce di luna calante esattamente identica a quella sulla bandiera del Pakistan. Attraversiamo il rinfresco sull’attico per andare a guardare meglio, ma la terrazza era più poetica. Qui noto con un certo disappunto che gli invitati sono appena duecento. È vero che siamo in uno degli alberghi più costosi di Lahore, ma questi invitati sono decisamente pochi, non andiamo tanto bene.
Percorriamo tutta la via e ci inoltriamo nelle vie del bazar, ingombre di bancarelle davanti ai negozi che vendono mercanzie colorate. Dopo un giorno di attività frenetica ci sono imballaggi e bicchierini sparsi dovunque, resi bidimensionali dal continuo viavai. Mentre Hassan chiede informazioni per orientarsi in questo labirinto di stradine, Ci fermiamo accanto a un ragazzo con in mano un sacchetto, accovacciato a perlustrare un minuscolo mucchietto di polvere dal quale raccoglie oggettini minuscoli. Suppongo che stia cercando gli oggetti di metallo perché mi pare di vedere una rondella nel suo misero bottino. Funziona così, Ci sono i negozi che vendono le merci, i poveri che raccolgono e differenziano gli imballaggi e i poveri più poveri che sopravvivono rivoltando la polvere con un dito.
Finalmente troviamo la moschea del bazar, ma a quest’ora è già chiusa, così come molti negozi che alle otto hanno fatto giornata e chiudono. Andiamo a vedere un piccolo vicolo di ostelli, che una volta era un posto vivace e luminoso. Ora è un po’ abbandonato, forse la pandemia lo ha tramortito, perciò torniamo in Food street a prendere un tè.
Davanti al tè ho qualche domanda in più, ad esempio che cosa farà adesso che è stato ammesso nel “servizio all’estero del Pakistan”. Innanzitutto è un processo lento, dovrà prima completare una fase di addestramento, imparare una terza lingua e poi potrà essere assegnato al servizio di un’ambasciata pakistana. In questo modo dovrebbe avere l’opportunità di vivere in altri paesi, con tutti i privilegi annessi al ruolo di ambasciatore. Il governo infatti fornisce una bella casa per tutta la famiglia, una generosa automobile, rimborsi spese e così via, in maniera simile alla carica di commissario. In questo modo dovrebbe riuscire a viaggiare, cambiando paese ogni tre anni circa.
21:30
È giunta l’ora di rimettersi in macchina perché abbiamo appuntamento con un amico di Hassan, che sta frequentando una scuola di addestramento per salire di grado nella gerarchia della polizia. Malgrado il traffico arriviamo in tempo per entrare e sederci nel salone principale.
Hassan sul divano fa due chiacchiere con l’amico e intanto mi presentano un altro loro coetaneo. Una stretta di mano decisa e poi ciao, come stai, sei andato al Nord e via dicendo. Prima ancora di aver finito o convenevoli, arriva un altro poliziotto che studia qui, con una brocca d’acqua per dissetare noi poveri viandanti sudanti. “Ah, stai visitando il Pakistan? Lo sai quanto sono belle le montagne, sono così belle che le chiamano La Svizzera del Pakistan. Ti faccio vedere un po’ di foto.”
“Sì ho sentito dire che sono meravigliose, lo dicono proprio tutti”
“Ci sei già stato?”
Nel frattempo arrivano altri due, che passano a salutarmi e si siedono un po’ distanti. Altri cinque minuti e compare un altro poliziotto che mi si siede accanto sul divano e chiede per quanto tempo resterò in Pakistan. “Ancora tre giorni.”
“Ah, ma ci sei andato nel Nord?”
Per tutta risposta scoppio a ridere, sembra che tutti i conoscenti degli gli amici degli amici di Ahmad si siano messi d’accordo per farmi questa domanda. Tranquillizzo il nuovo venuto assicurandogli che tanto in Pakistan ci devo tornare, quel Nord lì va visitato assolutamente, meglio prima che diventi una località turistica famosa.
Continuano ad arrivare altri colleghi, ormai siamo quasi venti e ogni volta qualcuno si assume il compito di fare un riassunto mentre io continuo a rispondere alle domande che piovono da ogni parte.
Si fanno portare tè per tutti e qualche stuzzichino da mangiarci insieme. Per me fanno portare anche un piatto che contiene una sorta di porridge dolce a base di riso. Non ci pensavo, ma in effetti avevo fame.
22:50
È già l’ora dei saluti, tutti escono nel parcheggio per salutarmi e augurarmi buon viaggio con un abbraccio o una stretta di mano. Ci facciamo anche un po’ di foto ricordo, prima che parta.
Hassan è decisamente stupito dall’accoglienza spigliata che ho ricevuto, solo ora mi spiega esattamente che esistono diciotto diversi gradi nel corpo di polizia e che questi ufficiali con la maglietta e le ciabatte sono arrivati a undici o tredici. Dopo un’ora eravamo già agli abbracci come vecchi amici, io e gli ufficiali della polizia di Lahore.
Ora si va verso casa, visto che è tardi decidiamo che è meglio dormire nell’appartamento che Hassan ha comprato da poco. Prima passiamo a prendere la sua non-ufficiale fidanzata, che lavora fino a tardissimo in un edificio a molti piani in centro a Lahore. Sta per cambiare ufficio e salire di altri quattro piani. Lei abita nella casa accanto a Hassan, insieme ad una coinquilina. Dobbiamo passare di là per prendere le lenzuola, fare rifornimento d’acqua e anche due chiacchiere. Dopo quattro chiacchiere saliamo nell’appartamento nuovo, che è leggermente da pulire. Alle tre di notte ci armiamo di scopa e mocio per lavare via il sudiciume e la polvere accumulatosi da quando l’appartamento è in vendita. Sono un po’ perplesso da questa usanza di spingere l’acqua nera sul pianerottolo, ma in realtà c’è uno scarico apposito nel pavimento della piccola cucina.
3:40
Abbiamo già finito, mentre loro conversano sul materasso io cerco di dedicare un pochino di tempo a scrivere, anche se tutti questi giorni trascorsi nello stesso posto mi confondono, come sempre.

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