Due pasti a pasto

Lezione di ieri: Se non puoi visitare liberamente un paese, fatti raccontare com’è.
Martedì 30/05/2022 9:15 Lahore (Pakistan)
Ieri sera il Consiglio Generale del Bar mi ha offerto di nuovo di portarmi in giro per Lahore, ma inizio a pensare che anche oggi non verrà nessuno. Magari lo hanno detto solo come forma di cortesia, come si usa in Iran. Stiamo per uscire a far colazione, ma ci chiama dall’appartamento di sotto proprietario dell’appartamento di Ahmad, che mi vorrebbe conoscere e perciò ci ha invitato per mangiare qualcosa. È un uomo secco secco con i capelli bianchi, bisogna parlare a voce alta altrimenti non sente. A suo tempo, anni fa, ha lavorato come commercialista viaggiando in molti paesi, inclusa l’Italia. Ha passato molti anni all’estero insieme alla moglie e racconta che l’Uganda era un paese meraviglioso. Il resto della conversazione è in punjabi, ogni tanto qualcuno si degna di tradurre, ma per il resto scrivo e con pezzetti di chapati raccolgo a mano le buonissime costolette di pecora in umido preparate dalla giovane domestica che lavora qui nel palazzo. Il chapati è l’equivalente indiano di una piadina, e mi sto ancora chiedendo come accidenti sia possibile che tutti i chapati siano così tondi.
Risaliamo in casa, ma non possiamo restare qui anche oggi, usciamo a fare un giro a piedi qui nei dintorni. Non l’avevo capito ancora, ma siamo usciti per comprare la mia cena, perché dovrei essere affamato. Va a finire che mangio solo io, Ahmad ha già mangiato prima con me ma ha pensato che avessi ancora fame. Io mangio sempre volentieri, ero preparato al Pakistan e l’appetito non mi manca. In Nepal prevedo di sterminare parecchie decine di migliaia di chilocalorie, quindi questo riso con le lenticchie in umido e la salsa allo yogurt è solo un antipasto.
Sulla via di casa imbocchiamo delle stradine sterrate e polverose, con fruttivendoli, macellerie di pollame, calzolai e ogni sorta di negozio, fitti quasi come in India. Questo quartiere assomiglia di più a quello che mi aspettavo di trovare in Pakistan. Cento metri dopo superiamo una cancellata e inizia l’asfalto, ville da entrambi i lati della stradina, macchine costose e nessuno in giro. Sembra di aver usato il teletrasporto.
A casa, beviamo un altro tè con il latte per chiudere il pasto.
20:00
Andiamo a cena con Hassalan, torniamo nella piazza circondata dai ristoranti in cui siamo stati nei giorni scorsi, per cenare, poi ci trasferiamo nel ristorante pakistano-cinese in cui siamo stati due giorni fa. Passa più di mezz’ora mentre aspettiamo che crescano le foglie di tè, poi in una decina di minuti il tè viene raccolto, fermentato e infuso nel latte. È già ora di andare a prendere Shujaat, che ci ha invitato a cena fuori. Entriamo in un ristorante blu che prepara cibo cinese. Ordinano tutto loro e io non ci capisco niente, ma ben presto la tavola viene imbandita con cibo crudo a volontà. Io ingenuamente pensavo che avremmo mangiato il pollo crudo, invece al centro del tavolo atterra un disco volante pieno di zuppa bollente. Concettualmente è come un pentolino da fonduta largo 30 centimetri, con un potente fornello ad alcol per tenerlo caldo. Si solleva il coperchio di vetro, un cameriere accende il motore e carica a bordo le fettine di patata, il pollo a pezzetti e da ultimo delle linguine di riso.
Aspettiamo che cuocia, chiacchiero un Po con Shujaat Alì e poi torno a imparare l’urdu perché la conversazione in punjabi è inarrestabile. A un tratto colgo “northern areas” tra le frasi in urdu e Ahmad delega a me la spiegazione del perché non vado a vedere il Nord.
Questa versione pakistana del cibo cinese va condita a piacere. Ahmad ci va piano perché non è più abituato, io invece scarico badilate di salsa piccante nella zuppa. Dovrò tornare in India, bisogna arrivarci preparati. Molto buona come seconda cena, non ho mangiato molto perché in questi giorni sto facendo due o tre pasti a pasto. Qui però non siamo nel Caucaso, se affermi di essere pieno ti credono sulla parola.
Finita la cena ci rechiamo all’appuntamento serale obbligatorio, al bar. Con noi c’è Fareed, un amico di Ahmad che fino a stamattina era fuori città e che stavamo aspettando per andare a visitare il forte di Lahore.
Al bar continuo a studiare i numeri in urdu, perché questi mentecatti hanno avuto la bella idea di sviluppare un sistema di numerazione così irregolare che le eccezioni si estendono fino al novantanove. Rimpiango la regolarità del georgiano, che permette di contare fino a cento con dodici parole. Ripeto i numeri tra un abbiocco e l’altro, raggiungendo il 33 poco prima di raggiungere il letto.

2 commenti su “Due pasti a pasto”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *