La serata di addio

Lezione di ieri: le funzioni religiose possono essere molto, molto lunghe, meglio prepararsi.
Sabato 20/02/2022 9:25 Korbouli (Georgia)
Oggi è sabato e c’è la messa qui in parrocchia, perché il Georgia il venerdì e la domenica sono giorni di riposo dal lavoro, se si lavora. Questo permette di saltare la colazione, che è un grande vantaggio. Esco con i miei tre compari e incontriamo Gio (ghio) in chiesa. Mama Nikolozi mi ha spiegato prima che ad un certo punto della messa Teodore mi farà cenno di uscire, perché la terza parte della funzione è solo per i battezzati. In generale la riconciliazione tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa ha portato al reciproco riconoscimento del battesimo, che viene compiuto rispettivamente per aspersione o per immersione. Di fatto però questa novità non è universalmente accettata e non mi faccio certo problemi a uscire se chi mi ha invitato alla messa preferisce così.
In chiesa fa abbastanza freddo, infatti da un lato c’è una piccola stufa a legna e i fedeli tutti intorno. Per il momento siamo in pochi, la funzione deve ancora iniziare e io sto aspettando per accendere la candela comprata due giorni fa alla chiesa di Barakoni.
Quando arrivano Nikolozi e Demetri possiamo cominciare. Padre Nikolozi celebra la messa, assistito da uno stuolo di figli e chierichetti, mentre Demetri è il cantore, che recita la preghiera cantata. La sua testa è controluce e mi perdo a studiare gli sbuffi di vapore che produce mentre canta. È proprio vero, le consonanti eiettive producono un getto di vapore molto più potente delle altre.
La preghiera è molto lunga, ma l’infaticabile Demetri non sbaglia un colpo, anche quando deve ripetere dieci volte di fila “Upalo shegviTSQale” che significa Signore perdonaci ed è uno scioglilingua impegnativo.
Parecchi segni della croce più tardi esco dalla chiesa insieme a Teodore e Avto, passando attraverso la cortina di gocce che cadono dalla falda del tetto, dove il sole sta sciogliendo in fretta la neve.
La terza parte della messa dura poco e in totale ci sono volute circa due ore. All’uscita compare una ragazza vestita di rosa pesca e con gli occhiali da sole. Ha l’aria di essere qui come turista, per quanto non abbia senso fermarsi a visitare Korbouli. Si chiama Salomè ed è georgiana, ma viene da Tbilisi e studia architettura e beni culturali. Si sta trasferendo a Korbouli per allontanarsi dalla caotica Tbilisi e aprire una sorta di agriturismo o ecovillaggio da queste parti. Inizialmente è stata presa per pazza, ma lentamente la gente sta iniziando a capire. Purtroppo partirò domani mattina, quindi non facciamo in tempo a rivederci e ora deve andare perché ha un impegno. Ci salutiamo e ritorno a casa insieme al resto della famiglia.
14:40
Il pranzo di oggi è particolare e Gabrieli lo annuncia a tutti correndo verso la cucina e urlando “khaCHaPuriii!” In questa casa il khaCHaPuri viene cotto preferenzialmente al forno, ma la tecnica è la stessa che ho visto a casa di Lali e Temuri. La differenza è che qui per sfamare tutti ci vuole una vasca di formaggio. È bello fare le dosi qui, per la zuppa si va a pentoloni, per il pane c’è un bidone da cinquanta litri e per il cavolo rosa ci sono due barilotti da trenta litri, perché qui va a ruba. Ieri sera, dopo cena, sulla tavola sono rimasti solo il cavolo, la torta con la crema al burro e delle albicocche sciroppate dolcissime. Sono passati in parecchi per spizzicare qualcosa, ma nessuno ha sfiorato le ultime due, solo cavolo, croccante e leggermente salato.
Dopo pranzo andiamo al torrente a pescare, attrezzati con una canna da pesca e il mio kit senza canna, per scoprire che l’acqua è decisamente troppo torbida per pescare e la pesca va a monte prima ancora di cominciare. Facciamo lo stesso un tentativo, ma è del tutto fallimentare. Per consolarmi prendo un lungo ro e pesco una ciabatta galleggiante, simbolicamente. Di certo però non ci diamo per vinti così facilmente, se non possiamo pescare possiamo almeno bruciare. Raccogliamo un po’ di rami secchi e in un baleno c’è un falò che arde sulla sponda del torrente, a pochi metri dalla neve. È decisamente troppo caldo e bisogna starci alla larga perché con il sole di oggi quasi quasi si sta bene in maglietta. Non abbiamo strumenti con noi, qui di dopo un’ora passata a spaccare la legna a mano decidiamo che è sufficiente e rientriamo verso casa. Tutto qui? Certo che no, torneremo stasera a fare un altro falò. “Preferisci vodka o vino?” Lo stumari decide, è così la regola. “Vino, andiamo di vino.”
Ci fermiamo a fare un po’ di lotta libera sulla neve prima di tornare dal solito negozio a comprare una simpatica tanica di vino.
Torniamo a casa e trovo Nikolozi in cucina, così ne approfitto per porre la domanda del giorno. “È vero che cattolici e ortodossi sono stati diversificati persino nel modo di fare il segno della croce, ma da quel poco che ho studiato ieri le differenze teologiche non sono così tante, dico bene?” La risposta è che no, le differenze sono enormi e non per nulla lui ha studiato teologia per cinque anni. Cerco di rendere la domanda più specifica, per capire se almeno il segno della croce è considerato valido o no. Nikolozi non mi risponde direttamente, ma apre un cassetto e prende carta e penna. Disegna un albero, a sinistra, con le radici nel I secolo d.C. e lungo il tronco scrive X-XI secolo d.C. con la relativa chioma. Accanto disegna un secondo tronco, con tanto di chioma, ma senza radici. Il secondo si questi alberi è il cattolicesimo, comparso dal nulla circa mille anni dopo l’origine della fede ortodossa. Sono poco convinto, anche perché sicuramente la sua controparte cattolica farebbe lo stesso disegno per spiegare alla mia controparte ortodossa le differenze tra le due fedi. Provo a disegnare un pratico albero biforcato, ma non è un disegno corretto. Dopotutto gli ortodossi georgiani chiamano se stessi “martlmadidebeli”, che significa all’incirca “veri credenti”.
D’accordo, niente da fare, da queste parti non è valido neanche il battesimo, siamo messi bene. Vado a chiedere un parere a Matte (Lasalvia) mentre gli altri affettano i tronchi di ieri con la motosega, per poi spaccarli in ciocchi, che è la parte più divertente. Non sarei autorizzato, ma gli faccio vedere che sono capace e qualche colpo d’ascia lo do anch’io.
Spacchiamo legna fino al tramonto, poi rientriamo per la cena.
Appena finito di mangiare usciamo per andare a chiamare Luka e Gio (ghio) e scendere al torrente. Abbiamo uova sode, vodka verde e vino bianco per tutti i gusti, più i bicchieri di vetro, perché qui la plastica si usa assai poco. Scendiamo la riva fangosa e con la benzina portata da casa la legna umida prende fuoco al volo e dobbiamo allontanare il tronco su cui siamo seduti perché la legna fa un caldo esagerato. Passiamo ore in chiacchiere, estendendo il mio vocabolario georgiano, e nel frattempo il vino scende con calma, anche perché i bicchieri sono piccoli. Dopo un po’ ci accorgiamo che nel vino c’è una mosca, probabilmente per dare più sapore. Prima non si vedeva perché la tanica era in ombra. Nessun problema, ci ridiamo sopra, tanto c’è l’alcol che sterilizza tutto e anche se non è vero fa lo stesso.
La legna non basta, quindi andiamo a raccoglierne altra sopra e sotto gli alberi della sponda, ma dopo questo giro sono già quasi le tre e forse potremmo rientrare. Prima un ultimo bicchiere per concludere. “Versamene un altro Luka, che questi bicchieri sono minuscoli.” Ho fatto un passo falso, ci hanno preso gusto. “Un altro?” “D’accordo.” Il vino bianco è fresco e va giù bene, lo diceva anche Paolo Conte. “Un altro.” “Va bene, ma solo uno” Non era l’ultimo, siamo in Georgia e naturalmente bisogna bere anche l’ultimissimo. Nell’ultima ora il mio georgiano è migliorato notevolmente, ma dopo questo raccogliamo tutto e partiamo perché non e ne sta più. Sulla strada di casa provo a fare i conti di quanto posso aver bevuto, una stima totalmente a braccio ma probabilmente il risultato ha senso. Comunico a Teodore che siamo ancora di poco sotto la soglia di sicurezza, se non mi inganno.
Nel frattempo mi rendo conto di avere infranto la regola numero tre, in viaggio non si assume alcol in quantità superiore ai limiti legali per guidare. La regola sicuramente va rivista perché qui a Korbouli mi hanno adottato e non sto correndo alcun rischio, se non quello di inciampare. Facciamo una sosta davanti alla chiesa per la neve preghiera consueta, ma mi sembra irrispettoso fare il segno della croce in queste condizioni, magari domani.
A casa troviamo ancora Nikolozi che ci aspetta e nell’accoglierci non fa una piega, solo un sorriso. Siamo in Georgia dopotutto.
Domani è prevista la mia partenza e ho rimandato fino a oggi la lavatrice, perché sicuramente sarei tornato a casa con un po’ di fango sui vestiti. Per fortuna il lavaggio è breve, ma Nikolozi insiste per rimanere sveglio con me, nonostante stiamo crollando entrambi dal sonno.
3:30
Mi abbatto sul letto come un capodoglio.

2 commenti su “La serata di addio”

  1. Luca Franceschi

    La Georgia in pratica è un Principato di La Piazza che si è impegnato a essere indipendente. Le usanze son le stesse.

  2. Matteo Lasalvia

    Mi abbatto sul letto come un capodoglio mi ha creato un molto suggestiva immagine di un capodoglio dai capelli ricci che si schianta su una baleniera

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