Notte sotto la vecchia quercia

Lezione di ieri: se c’è poco cartone per strada, probabilmente i salari sono molto bassi.
Lunedì 15/02/2022 8:10 Kveda Simoneti (Georgia)
Il sole è già sorto e il vento si è placato, non resta che godersi il tepore del sole e scrivere qualcosina in mezzo al mio giardino di pungitopi in fiore. Forse non avete mai visto i pungitopi in fiore, infatti anche per me è la prima volta. Hanno dei fiori viola, ma sono davvero microscopici. Curiosamente i fiori sbocciano al centro delle foglie, perciò le bacche rosse brillanti si sviluppano al centro delle foglie invece che sui rami come i frutti normali. In realtà è un trucco, le foglie del pungitopo sono delle escrescenze del fusto, ovali e appiattite. Guardando molto da vicino si nota che le foglie hanno una consistenza piuttosto coriacea e non hanno le venature delle foglie normali. Ora si sentono i campanacci delle vacche al pascolo, in arrivo. È meglio sbaraccare.
11:45
Mi sbarazzo del bastone di fortuna e preparo il cartello per Zestaponi. Sui segnali stradali c’è scritto Zestafoni, ma non ha senso, i georgiani non pronunciano la effe.
Non è difficile trovare un passaggio per Zestaponi, si ferma una donna di nome Tamuna, capelli neri con le mesh rosse. Quando le dico che sono italiano, accende la musica e mette su Celentano. Per qualche momento mi pare di essere tornato in Italia. Per un inizio trionfale ascoltiamo “A un passo da te”. Anche questo fa della Georgia un paese completamente diverso dalla Turchia e dai paesi dell’Asia centrale in cui il cantante più famoso è Totò Cutugno, o almeno lo era nel 2008 al tempo del viaggio di Eddy Cattaneo.
A Zestaponi c’è da percorrere un chilometro a piedi, per poi proseguire in macchina con Leila, che parla un pochino di inglese e sta andando a Khashuri (kh è diverso da k e servirà per pronunciare il prossimo paese, che ha un nome corto ma impegnativo). Leila è sposata, fa l’insegnante e nonostante parli inglese non riesco a spiegarle dove devo svoltare, perciò scendo più avanti e torno indietro fino alla svolta che porta a Katskhi. Dalla mappa non si vedeva, ma la strada sale a tornanti e sotto il sole di oggi si suda. Faccio una sosta a bere la bottiglia di coca cola che mi ha appena dato Leila, davanti al cantiere di una galleria. Anche questo è gestito da una compagnia cinese, che per trasparenza ha esposto un cartellone che descrive i lavori in corso, scritto in cinese.
Non mi va di fare l’autostop alla base della salita, meglio scacciare la pigrizia e rampare. Quando sono soddisfatto della passeggiata mattutina mi do all’autostop, in un posto che considererei ottimale. Nonostante questo, l’attesa è lunga, ma si ferma una macchina di miei coetanei. Corro verso di loro e questi infami burloni ripartono sgommando.
Per fortuna si ferma un furgone rosso, che consegna la posta a Chiatura (che si legge con la c dolce). Salgo a bordo con Peso e Givi (ghivi), che hanno qualche anno più di me. Per prima cosa commento la bellezza dei paesaggi visti in questi giorni, che qui sulle colline è ancora maggiore, chiedendogli se gli piace vivere in Georgia. Mi rispondono di sì come se fosse una risposta scontata, ma a me non sembra. I paesaggi e gli abitanti sono meravigliosi, ma l’economia è una schifezza tanto quanto la strada su ci siamo, il governo non meriterebbe neanche il nome che porta. Nonostante tutto Peso e Givi sono contenti, anche se percepiscono poco più della paga minima di 350 lari al mese, precisamente cento euro. Per il resto le domande le fanno loro, rompendo il mio stupore per la bellezza bucolica del paesaggio circostante.
Prima di salutarci a Katskhi Peso mi lascia il proprio numero, perché se un georgiano non ti può ospitare almeno si assicurerà di lasciarti il proprio contatto, in caso avessi bisogno di qualcosa.
14:40
L’ultimo tratto lo percorro a piedi, per raggiungere un luogo incredibile. La temperatura è perfetta, ma ci sono ancora tracce di neve a terra. Cammino parallelo ad una parete di roccia alta 42 metri, finché appare lui, il monastero di Katskhi, costruito in cima a un pilastro di pietra. Si tratta di una formazione rocciosa naturale, alla quale si accede per mezzo di una scala a pioli. È un pezzo di pietra che l’erosione ha separato dal resto della formazione rocciosa a strapiombo che delimita la valle. Per renderlo più mozzafiato, le intemperie hanno aggredito la base, così che il diametro del pilastro mostra un vistoso restringimento appena prima di toccare terra. È ancora più incredibile che nelle foto, pensando non solo al primo uomo che ha detto “Costruiamo una chiesa là per aria”, ma soprattutto al secondo uomo che ha risposto “Sì certo, che bella idea!” Penso così ma in realtà li capisco, l’avrei fatto anch’io.
Entro nel muretto di cinta attraverso la porta laterale, quella della via crucis. Nel piccolo museo del monastero non c’è nessuno, solo un cartello che invita i visitatori a prendere i souvenir e lasciare il pagamento nella scatola della cassa. A quanto pare il monastero era in rovina quarant’anni fa ed è stato ricostruito di recente. Non si può salire in cima al pilastro perché altrimenti il concetto di monastero perderebbe di significato, però si può visitare il cortile e una piccola cappella senza luci ma affrescata a colori vivaci. La porta non resta aperta e il mio pesante telefono Oukitel trova impiego nella funzione che gli riesce meglio, il fermaporta.
Finita la visita dal basso, è ora di fare un giro nel bosco e osservare il monastero dall’alto. Imbocco un sentiero parallelo alla parete della montagna, in mezzo alle primule e ai ciclamini, che annunciano la primavera in maniera inequivocabile. Improvvisamente il sentiero sale a sinistra e c’è un gradone scivoloso da risalire con una corda. Da qui in poi bisogna tirare a indovinare, perché la traccia è poco chiara e bisogna risalire gli ultimi dieci metri. Incerto sulla fattibilità di un percorso intelligente, decido di tagliare direttamente su per il pendio, che più che una salita sembra una via di arrampicata. Arrivo in cima e scopro che c’era davvero un sentiero intelligente e scenico, attraverso una fessura tra due alti macigni.
A questo punto la salita è finita, basta seguire il sentiero nel bosco che prosegue parallelo al precipizio. Anche quassù si trovano bottiglie di plastica qua e là, nonostante la scarsa frequentazione. Scatto qualche foto al monastero, fino a trovare il chiodo sommitale di una via di arrampicata che risale la parete fino a qui. Almeno credo che sia così, non si vede niente oltre il bordo. Questo deve essere anche il posto giusto per fotografare il monastero senza i rami degli alberi a coprirlo, solo che per arrivare ci sono tre metri in discesa e poi il vuoto. Meglio rifletterci un po’. Mi pare di sentire in lontananza un “No Palla no”, ma il diametro della mia corda è più che rassicurante. Mi imbrago, aggancio la corda a due alberi, congiungo i due capi e scendo. Fa una certa impressione, ma l’impianto è solidissimo, gli alberi, la corda ed io siamo praticamente intrecciati. L’unica difficoltà è manovrare il telefono e la gopro senza che si sfracellino 50 metri sotto.
17:41
C’è voluta mezz’ora, ma è stato divertente. Ora basta trovare un buon posto in cui dormire quassù, mentre il sole cala. La valle boscosa a nord sembra proprio un posto da lupi, quindi è bene trovare un luogo non frequentato dagli ungulati, per esempio il punto più alto di questo massiccio di roccia. La sommità della parete è boscosa, e tra tanti alberi esili spicca un albero molto più massiccio, che si trova proprio nel posto giusto. Il vento soffia da Est verso il precipizio, quindi anche stasera le condizioni sono ottimali per non ricevere visite indesiderate. Mentre viene buio faccio un giro di perlustrazione nella forra sotto il mio albero, in cerca del mio nuovo bastone. Qui c’è pieno di noccioli e se non lo trovo stasera lo cercherò domattina. Trovo tre potenziali candidati, ma alla fine decido di rimandare e risalire appena in tempo per arrampicarmi in cima alla quercia accanto a dove dormirò, per guardare il sole che tramonta e la luna che sorge subito dopo, praticamente piena. Non è tanto frequente vederli che si danno il cambio così in sincronia.
Appendo l’amaca sotto il faro abbagliante della luna, ancora una volta senza usare la torcia. Mentre finisco, dalla valle si leva un coro di ululati. Lo diceva Temuri che la Georgia è piena di lupi, ma almeno in questa stagione la temperatura è buona e il cibo per loro non manca.
Ho tutto il tempo di recuperare un po’ di scrittura, prima di addormentarmi nella notte luminosa, sotto la vecchia quercia. Se i calcoli sono esatti il sole domattina dovrebbe sorgere tra le due branche della quercia e illuminarmi la testa. Si preannuncia una notte ventosa, quindi non posso desiderare di meglio che il caldino del Sole alla mattina presto.

6 commenti su “Notte sotto la vecchia quercia”

  1. Luca Franceschi

    Sono affascinato dai lavori pubblici in Georgia, mi chiedo i vecchi come facciano a dirigere il cantiere se la descrizione dell’opera è in cinese.

  2. Pietro Lasalvia

    Mamma mia Palla, tralasciando il come hai fatto le foto, il posto dove hai dormito sembra proprio che tu l’abbia descritto come se fossi in una favola. Che invidia!

    1. Ciao Ricky, non posso soprassedere alla “voce in lontananza”. La voce in lontananza va ascoltata molto più di una “dal vivo in vicinanza”. Per il semplice motivo che quella dal vivo è una persona che può essere d’aiuto (anche se rompe!) Lo so cosa stai pensando mentre leggi queste parole, e probabilmente al posto tuo lo penserei anch’io, ma non posso sottrarmi al mio ruolo e sai bene che ti ho lasciato fare cose…… Perciò non prendere rischi inutili, ma non farlo per noi che leggiamo, è per te stesso che lo devi fare. Ti abbraccio forte.

  3. Matteo+Lasalvia

    “Incerto sulla fattibilità di un percorso intelligente, decido di tagliare direttamente su per il pendio, che più che una salita sembra una via di arrampicata.”
    E’ letteralmente quello che ci è successo con “Sentiero Impervio”, ricordi?

  4. Ogni volta che trovi del pungitopo mi viene in mente l’esame di piante officinali… cerca di trovare meno pungitopo…

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