Una svolta epocale

Lezione di ieri: certi luoghi vanno visti dall’alto per immaginarseli nel modo giusto.
Mercoledì 26/01/2022 02:10 Kars (Turchia)
Quesito-indovinello: in un letto a due piazze c’è un uomo supino che si sveglia con un gatto che dorme con lui. Sul materasso accanto, il padrone del gatto è scomparso. Perché?
Questo è facile da risolvere, perché io so già che quell’uomo quando dorme supino tende a russare. La soluzione è che l’uomo stava russando, il padrone di casa è andato a dormire sul tappeto della sala e il gatto invece di seguire il padrone è rimasto nel posto più comodo, con me. Forse Elsa è sorda.
Vado subito a chiamare il buon Erdoğan per proporgli di fare cambio. Non c’è niente da fare, non esiste che gli ospiti dormano per terra. Per fortuna ho anche un’altra soluzione, se dormo su un fianco non russo e non cambio posizione. È solo che ieri sera mi sono addormentato senza pensarci, accidenti. Torniamo a letto tutti e due,
7:20
Stamattina bisogna andare in macchina dal veterinario per la prima iniezione di antibiotico. Accompagno Erdoğan ed Elsa alla clinica universitaria per vedere come sono gli studi veterinari in Turchia. Niente di diverso direi, però che belli questi cespugli… Mentre Erdoğan torna in città perché non ha abbastanza contanti, io mi do a quel tipo di attività che si chiamano in gergo “cose da Palla”. Ispeziono i rami e con il coltellino svizzero mi procuro un nuovo bastone, prima che torni Erdoğan è tutto sramato. Entriamo nell’università e mi appoggio sul termosifone cercando di scaldare le mani. A metà del lavoro mi è caduto il coltello nella neve e ho quasi i geloni, ma naturalmente non lo deve sapere nessuno. Per questo motivo non mi tiro certo indietro quando Erdoğan mi viene a chiamare dicendo che posso anche mettermi comodo sulle sedie del corridoio.
Mentre aspettiamo, passa un gatto, che a quanto pare vive qui. Mi si siede sulle gambe per farsi accarezzare, perciò obbedisco.
Pronti, partenza, via! Elsa sta meglio, quindi stamattina possiamo lasciarla qui alcune ore e andare a sciare a Sarıkamış (Non la so scrivere la ı, spero che Sa-r-ka-m-sc si capisca).
7:50
Buone notizie, possiamo andare, partiamo il prima possibile perché oggi pomeriggio le ragazze hanno l’autobus per Iğdır. Ieri quando sono partito per Ani con tutto lo zaino, Erdoğan è rimasto parecchio perplesso e pensava che me ne stessi andando via. Non mi sembrava una bella idea andare a quaranta chilometri da casa senza il necessario per sopravvivere in caso di incidenti, ma ho tagliato corto dicendo “He’s my brother” (È mio fratello). Oggi noto per la prima volta che quella grossa sacca in camera contiene uno snowboard. Quando chiedo a Erdoğan se verrà in macchina anche quello, lui risponde “He’s my brother”. Io lo zaino lo lascio a casa.
Partiamo con la macchina di Erdoğan e in quaranta minuti raggiungiamo il monte su cui, nel 1942, morirono di assideramento settecento soldati turchi. A loro ricordo è stato eretto un monumento lungo la strada.
Il centro di Sarıkamış pullula di negozi che noleggiano kayak. Come, non lo sapete? In turco kayak vuol dire sci. È logico, no? Mentre sto ancora ridendo arriviamo al noleggio alla base delle piste e i miei compari iniziano a servirsi come al supermercato. “Io non so niente, ditemi voi che cosa devo noleggiare.”
La giacca va bene, i pantaloni decisamente no, poi serve un casco e niente occhiali perché tanto ho i miei potentissimi occhiali da sole, gli stessi che uso al mare. Sci o snowboard? Dipende da che cosa fanno gli altri, Anne prende gli sci e allora mi lancio sugli sci anch’io. Ema sa già usare lo snowboard e prende quello, Linda vuole imparare e si aggrega. Si paga dopo, quindi ci vestiamo e via sulla neve. Mi hanno dato delle bacchette cortissime, più corte di quelle di Anne, che è più bassa di me, ma forse è perché i principianti devono imparare a tenere il baricentro basso. Anche Anne è perplessa: “Puoi anche lasciarle qui, spesso ai principianti non le danno neanche.” Le prendo lo stesso, se i tutti gli altri c’è le hanno non vedo perché io non dovrei averle, al massimo non le uso. “Bene, adesso, che cosa c’è da sapere per sciare?” “Per ora sappi che per frenare basta avvicinare le punte degli sci. Se li metti a V nell’altro verso fai solo la spaccata.”
Un momento, come si fa ad andare avanti? Aspetta! Voglio dire, come si fa ad andare più veloci di dieci metri al minuto? Guardo Anne e capisco perché stamattina mi hanno chiesto se so almeno pattinare. Muoversi in piano non è semplice come pattinare, ma il concetto è simile. Prendiamo lo skipass e saliamo accanto alla pista verde. In cima basta scendere dal sedile dello skilift e spingersi avanti, non così, no, no, no! Sbando completamente a destra e grazie ragazzi per aver installato la rete. “Bene, ora dovreste spiegarmi come si curva.” “È semplice, prendi il pendio di traverso e divarichi lo sci all’esterno, come per frenare.” Ammetto che il pendio è molto pendente, ma è una pista verde, deve essere solo un’impressione. “Che cosa succede se cado?” “Niente, al massimo si staccano gli sci dagli scarponi” Immagino che anche le ginocchia si possano offendere, ma su una pista verde è improbabile. Mi tornano in mente i miei compagni di classe delle elementari che raccontavano delle prime esperienze di sci, scendendo le piste a spazzaneve, cioè dritto con il freno tirato. Non è così che si affrontano le discese, me lo ha insegnato Bubu (Riccardo Buriani), che dice sempre che “i freni vanno usati il meno possibile”. Non abbiamo mai sciato insieme, ma abbiamo percorso centinaia di chilometri in mountain bike sulle colline di Reggio. Le migliori discese e le migliori cadute le abbiamo fatte insieme. (Una di queste è stata pubblicata su YouTube come “MTB monte grafagnana + crash”)
Si parte, una curva, due curve, tre curve e stop. È così facile che potrei quasi sciare in salita. Invece no, disegno un sorriso sulla pista e per fortuna mi fermo, così posso capire che cos’ho fatto di giusto per inforcare tre curve al primo colpo.
Si riparte, schivando i bambini che scendono piano, una, due, tre… basta, vado troppo veloce e non controllerei la prossima curva, raddrizzo gli sci e scendo a picco, sbilanciandomi all’indietro per l’accelerazione. Nonono, peso in avanti, peso in avanti!
È fatta, arrivo in fondo a fucilata insieme ad Anne, che mi raggiunge in un attimo commentando che non sembravo affatto un principiante. Non lo so che cosa sembravo, è stato bellissimo, ma è meglio rimanere su questa pista per un po’. Nel frattempo gli snowboardisti sono ancora a metà discesa, quindi facciamo un altro giro. Ora so curvare e scendere è molto più facile. Sarei molto tentato di prendere la discesa dritto per dritto, ma da bravo studente faccio le curve fino in fondo, perché immagino che Anne non si stia divertendo troppo. C’è Linda seduta sulla neve, ma sta solo riprendendo fiato mentre Erdoğan continua a dare lezioni a Ema. Facciamo un altro giro sulla verde, in modo da riunirci tutti e cinque alla base dello skilift. Ogni poche curve mi appoggio a terra, ma Anne mi fa notare che per qualche ragione non sono ancora caduto. “Cado anch’io Anne, non preoccuparti.”
Ema e Linda restano qui sulla verde, ma Erdoğan propone a noi due: “Andiamo in cima?” Guardano me. “Va bene, andiamo!”
Mentre lo skilift sale a una velocità da ruota panoramica, c’è da decidere su quale pista andare. Io pensavo che fosse scontata la scelta dell’unica pista blu, ma il padrone di casa assicura che la rossa è praticamente uguale. Niente, allora facciamo la rossa, piano piano si fa tutto. Gli racconto un po’ delle memorie dei miei compagni delle elementari che si lamentano della gente che gli tagliava la strada mentre erano alle prime armi. Probabilmente è questo il mio problema principale durante la discesa, che cercando di non tagliargli la strada, cado. La bici invece è un ottimo propedeutico per sciare con scioltezza, che sospetto sia l’ingrediente chiave per i principianti. Aver già provato tante volte i 60 chilometri orari su asfalto previene il panico e insegna che le discese viste dall’alto sembrano molto più ripide di come appaiono dal basso. Salendo, inizia a nevicare.
Molto bene, adesso direi che posso smetterla di perdermi in dettagli, basta sapere che Erdoğan è un fenomeno con lo snowboard e che sulla rossa finalmente cado. In effetti non è così ripida, cioè con la massima concentrazione riesco a malapena a gestirla. È bella perché ha tante discese separate da tratti meno inclinati in cui posso ricompormi e riprendere l’assetto ottimale. Con questo non intendo dire che riesco a evitare di fare l’ultima mezza discesa dritto giù a bomba. Bellissimo, ancora, ancora!
Mentre risaliamo guardo i fiocchi di neve, che cadono uno a uno, separati. Non ho mai visto una nevicata così a casa mia, di solito la neve cade a falde, non a cristalli singoli. Mi perdo a guardarli come se non avessi mai visto la neve, che in un certo senso è vero.
Nel frattempo passiamo accanto all’inizio della pista nera, una specie di precipizio innevato. “Proviamo la nera?”, mi chiede Erdoğan. Sento nelle orecchie l’eco dei compagni di classe che si lamentavano di essere stati portati sulla pista nera il primo giorno di sci. Forse erano le medie o le superiori, non mi ricordo bene. “Non mi sembra una buona idea.” Erdoğan stava scherzando, voleva solo vedere fino a che punto mi posso spingere. Per oggi direi che la rossa può bastare, però possiamo cambiare pista!
Scendiamo da dietro la montagna, va tutto bene finché mi ribalto in una maniera che non so neanch’io, so solo che stavo curvando, circa. Anne dice che vista da dietro la caduta è stata spettacolare. Al ginocchio sinistro non è piaciuta per niente, ma sembra intero, gli servono solo dieci minuti per riprendersi.
Cinque minuti bastano, nel frattempo ragiono su cosa ho sbagliato nell’applicare l’ultima dritta su come spostare il peso. Non lo so, non so neanche come sono caduto.
Al giro dopo prendiamo un sentiero stretto in mezzo al bosco, che non lascia molto spazio di manovra, ma dà già un’idea migliore di come sia sciare senza piste, nel bosco innevato. Stupendo. Alla salita successiva racconto ad Anne di quell’articolo antropologico che mi ha consigliato di leggere il mio amico Luca Nanni. Parlava del virtuosismo sciistico degli inventori degli sci nel Nordovest della Cina, che nascono con gli sci ai piedi e si muovono nel paesaggio innevato e inospitale con una naturalezza impareggiabile. Quel resoconto mi ha messo addosso un’enorme curiosità di provare e le sono grato per aver deciso di noleggiare gli sci.
All’ultimo giro ci dividiamo, io resto sulla rossa e loro due fanno la nera. Ci ricongiungiamo alla base, e per chiudere in bellezza faccio un’ultima accelerata alla fine. Stupendo. Al bar ci aspettano Ema e Linda, che sono appena salite a metà delle piste per provare la rossa. Molto bene, facciamo un’altra discesa tutti insieme.
Anne mi passa accanto perché per ora faccio senza maestra. Erdoğan prende la punta dello snowboard e fa salti e passaggi fuoripista nella neve alta, aspettando Ema e Linda. Io cerco di andare piano, aspetto che passi il gruppo della scuola di sci, schivo con maestria una sciatrice e alla curva dopo cado. Non posso fare tutto io. Mi rialzo e proseguo la discesa, due curve poi dritto, non faccio in tempo a rallentare prima dell’ultima discesa e non mi resta che raccogliere le bacchette e piegarmi in avanti per passare alla velocità smodata. Così è facile, basta schivare i birilli e tenere dritti gli sci. Ah, già, bisogna anche rimanere in equilibrio sulle gobbe della pista, ma i miei sci sono come le ruote dei rover marziani, scavalcano anche i massi. Ovviamente le imperfezioni della pista sono minime, ma prendendole in velocità sembra di fare un rally.
Freno dolcemente, troppo dolcemente e per fermarmi accanto ad Anne cado. Lei non si è accorta di niente perché è arrivata pochi secondi prima di me. Prima mi sono espresso in vari “Pazzesco”, ma questa discesa è stata veramente folle. Non è stato come fare un salto, ma su quelle gobbe ho sentito venire meno la gravità, per un istante. Adesso basta altrimenti finisce male e ho le mani gelate già da un pezzo.
Qualche minuto dopo arrivano anche gli snowboardisti, che mi stavano aspettando perché non mi hanno neanche visto passare. Prendiamo un sentiero che scende dolcemente, così posso fare l’ultimo filmato con la gopro. Scende troppo dolcemente per Linda, che ha entrambi i piedi ancorati alla tavola e sta morendo di fatica nel procedere a salti. Ecco perché ho tenuto i bastoncini, gliene passo uno per semplificarle la vita.
Mi resta qualche considerazione conclusiva. Là in cima c’era un tempo da lupi, -10°C e una nevicata moderata, un tempaccio con cui mai e poi mai si farebbe un’escursione, normalmente. Ciononostante le piste erano piene, e non ho sentito neanche un “çok soğuk”, per la gioia delle mie orecchie. Inoltre, finalmente ho capito perché mi hanno consigliato in così tanti di provare a sciare e farlo a venticinque anni ha reso tutto ancora più incredibile. Probabilmente l’approccio agli sci è stato molto simile all’approccio ponderato e coscienzioso che ho messo in pratica nell’intraprendere questo viaggio. Non a caso in generale è meglio imparare a sciare da piccoli.
Qui al noleggio accettano solo contanti o bonifici, ma la faccenda è complicata e quindi vado a prestito da Anne, nell’attesa di fare bancomat tra mezz’ora. Noleggio scarponi, sci, bacchette, casco, pantaloni e skilift illimitato: totale 270 lire, 18 euro.
Rientrando a casa ogni tanto scoppio a ridere in silenzio rendendomi conto di quanto sia stata surreale la mattinata, è come se fosse successo tutto una settimana fa.
Nel fare bancomat sul marciapiede scivoloso, il male al ginocchio mi ricorda che abbiamo sciato insieme fino a un attimo fa, dice che domani si vuole riposare. Vedremo che cosa si può fare.
15:40
A casa Elsa aspetta delle gambe tiepide su cui accoccolarsi e sicuramente è contenta di vederci tornare. Poco dopo Ema, Anne e Linda se ne vanno, svuotando improvvisamente la casa. Rimasti a tu per tu, domando a Erdoğan: “Perché hai deciso di diventare medico?” Era quasi una domanda di circostanza, ma la risposta mi spiazza. “Perché avevo abbastanza punti per iscrivermi a medicina.”
Grazie a Emrah so già qualcosa del funzionamento del sistema scolastico turco, ma ho aspettato a parlarne perché Erdoğan ha completato il quadro, tenetevi forte.
In Turchia il sistema scolastico è diviso in otto anni di scuola primaria, cinque di scuola secondaria e poi c’è l’università. Al termine del primo ciclo di studi c’è un esame, il cui esito determina qual è il massimo livello di istruzione secondaria a cui ci si può iscrivere. Parlo di livello perché esiste una gerarchia tra le scuole superiori, in cui il liceo scientifico è il migliore di tutte, seguito dalle scuole umanistiche, le scuole “anatoliche” e gli istituti professionali. Al termine delle scuole superiori l’esame di stato è una sorta di test di medicina nazionale, con una soglia di punteggio per iscriversi a ciascuna università. Le università più gettonate hanno punteggi di accesso più alti. Qui viene il bello, come viene calcolato il punteggio di uscita dalle superiori? I voti conseguiti durante i cinque anni contribuiscono per circa il 10%, mentre il resto del punteggio è determinato da come ti sei svegliato il giorno dell’esame. Se va male non lo puoi rifare l’anno dopo, le superiori si frequentano una volta sola. In realtà anche in Turchia si chiede che cosa vogliono fare da grandi, ma l’indagine perde di senso nel momento in cui tutto dipende da cosa succederà il giorno dell’esame di maturità. In base alla mia esperienza, il voto degli esami a crocette non ha molto a che vedere con la preparazione degli studenti, ma più con la loro fortuna. Per fortuna un quarto del voto finale è dato dalla media dei voti degli ultimi tre anni. Non so se si è capito, ma se torno a nascere non vado a scuola in Turchia. Ah, dimenticavo una cosa, naturalmente le scuole di rango inferiore preparano gli studenti peggio delle altre. Se sbagli il primo esame è molto difficile recuperare al secondo esame.
Scrivo un po’ mentre Erdoğan ha una videochiamata di lavoro, poi ordiniamo la cena a domicilio. Qui si fa un pasto solo al giorno, che è pratico e veloce. Mi fido ciecamente di quello che ordina lui, perciò stasera si mangia riso, insalata, fegato fritto e cipolla. Nella borsina della cena c’è anche un piatto speciale che mi fa sganasciare dalle risate. In una scatolina di plastica ci sono cinque fusilli in una salsa tipo besciamella. Erdoğan sostiene che sia un antipasto, ma a me sembra uno scherzo. Che me ne faccio di cinque grani di pasta, li do al mio criceto?
21:10
Dopo cena Erdoğan ha un’altra videochiamata e fa qualche partita con gli amici ad un gioco online. Io nel frattempo cerco di scrivere, ma la verità è che la mattinata mi ha tritato e praticamente sonnecchio.
Quando finalmente si va a dormire mi accomodo su uno dei divani-lett… zzzzzz.

6 commenti su “Una svolta epocale”

  1. Sai Riccardo, non penso che Elsa sia sorda… penso invece che lei abbia scambiato il tuo russare per “fare le fusa”!!!!

  2. Pietro Lasalvia

    Per i cinque fusilli in besciamella a me è venuta in mente solo una scena: quella di Checco Zalone in “Sole a catinelle”. “E’ pronta, la puoi scolare”.

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