La cattedrale in mezzo al nulla

Lezione di ieri: non vedo l’ora di poter ospitare viaggiatori, perché sembra bellissimo.
Martedì 25/01/2022 7:50 Kars (Turchia)
Mentre noi viaggiatori ci prepariamo per uscire, Erdoğan esce per andare dal veterinario con Elsa. Per trasportarla usa uno strano zaino con un guscio trasparente. Mentre è via faccio due chiacchiere con le ragazze, che si chiamano Ema, Anne e Linda. Sono arrivate a Kars da un paio di giorni e hanno in mente di scendere a Doğubeyazıt, per poi andare in Georgia. Magari ci incontreremo là da qualche parte.
8:50
La visita dal veterinario va per le lunghe e Erdoğan ci fa sapere che la ferita di Elsa ha fatto infezione e oggi dovrà essere rifatta la sutura sotto anestesia. Non può portarci a sciare, forse ci andremo domani se Elsa si riprende.
Cambiamo i programmi e decidiamo di andare ad Ani, il sito archeologico dell’antica capitale del regno Armeno, che per qualche ragione si trova in Turchia. È uno dei posti interessanti che ho visto prima di partire, ci vado senz’altro. Dato che Ani dista quaranta chilometri e stanotte farà freddissimo come al solito, porto con me tutto lo zaino, perché non si sa mai.
Anne, Linda ed Ema partono subito, ma io devo prima andare a prelevare un po’ di soldi per comprare da mangiare e un nuovo paio di calze corte. Quelle che uso da quando sono partito ieri hanno tirato le cuoia, sono entrambe bucate sotto i talloni. Alla partenza erano tutt’altro che nuove e hanno resistito eroicamente per tre mesi, usandole ogni giorno.
Ci metto un po’ a ritrovare il bancomat e il negozio di vestiti che ho visto ieri, ma tanto non ho fretta. Mentre parlo di calze con il commesso continuo a dire “riz”, come mi hanno insegnato Sercan e Osman due giorni fa. Sono ancora ignaro del fatto che “calze” si dice “çorap” e riz non si sacoaa voglia dire, infatti il commesso mi guarda un po’ stranito. Sul pacchetto delle calze c’è scritto 15 lire, ma il nuovo prezzo è 50 lire, cioè tre euro. Le calze appena rotte erano costate sedici euro, vedremo quanto dureranno queste.
Ora che ho tutto posso comprare il pane e partire per Ani. Mangiucchiando un grosso pane a ciambella mi incammino verso la strada principale che aggira Kars. Come immaginavo dopo dieci minuti mi offre uno studente in macchina, che si chiama Mohamad. È poco più giovane di me ed è paramedico come Fatih. Vuole sapere tutto sul mio viaggio, mentre mi accompagna all’inizio della strada per Ani.
11:10
Qui sicuramente c’è pieno di autostoppisti, tutto l’anno. Bisogna giocarsela bene e fare qualcosa di inusuale per riuscire a fermare qualcuno, qualcosa che stupisca.
Non è vero, a Kars gli autisti darebbero un passaggio a qualsiasi cosa si muova, basta aspettare che la smettano di passare solo taxi e pullmini e taxi. Tra una macchina e l’altra cammino, così almeno do l’impressione di impegnarmi un po’ anch’io e mi faccio trovare un paio di chilometri più avanti.
Non è semplice perché anche in inverno i turisti sono parecchi, ma ad un tratto si ferma una macchina che proviene dalla direzione opposta, che credo ci abbia ripensato e sia tornata indietro apposta per me.
Ringrazio tanto Bahçi e i suoi due figli Mahamut e Murat, che hanno dieci e tredici anni. Stanno andando nel paese appena prima di Ani, dove hanno un appezzamento di terra. Bahçi di mestiere fa l’autista privato e lungo la strada mi offre anche un passaggio al ritorno, perché verso le due e mezza ritorneranno a Kars. A Kars c’è il sole, ma lungo la strada troviamo un tratto in cui nevica forte, poi ritorna il sole, velato di nuvole.
Immaginavo di trovare un parcheggio pieno di macchine, ma Bahçi mi fa notare che non è tanto semplice fare l’autostop nel verso opposto. Lo ringrazio della gentilezza, acquisto il biglietto di ingresso per una miseria e entro dal portale delle possenti mura sul lato ovest.
12:11
Ani non è come i fori imperiali a Roma, pieni zeppi di edifici, ma apparentemente è una spianata immensa punteggiata dalle rovine di sette alti edifici, prevalentemente chiese. Il panorama in inverno è costituito da un semplice tappeto bianco pari, come un tabellone di Monopoli su cui sorgano solo sei case e un albergo, disposti sul perimetro. Questa era l’unica foto che avevo visto, non mi aspettavo di vedere queste mura enormi. Sono state parzialmente restaurate, ma sembrano essersi conservate piuttosto bene.
Le ragazze devono essere qui già da un paio d’ore, provo a intercettarle iniziando la visita dal mezzo. È incredibile come questi edifici siano sorti qui, nel mezzo del nulla. La città è diventata capitale nel X secolo, e mi pone gli stessi problemi del castello di Kars. Come si approvvigionavano di risorse, visto che il clima è arido, non ci sono boschi nel raggio di quaranta chilometri e anche l’acqua si trova in fondo a una gola profonda cento metri? Ho sentito dire più volte che ad Ani c’è poco da visitare, ma anche una capanna di legno sarebbe ammirevole in un posto così. Forse la ragione è che io sono nato in una pianura fertile e piovosa e anche solo vedere i sassi nel terreno mi fa pensare che sia inabitabile. A giudicare da quanto sono maestose le chiese, si direbbe esattamente il contrario. Le grandi chiese sono costruite con blocchi di roccia rossiccia, a volte riccamente affrescate all’interno. Non solo, anche i visitatori si sono cimentati nell’arte dei graffiti, per contrastare la buona conservazione delle pareti. Alcuni edifici sono parzialmente crollati, ma resta un pilastro o un pezzo di cupola che permette di ricostruirne la simmetria ottagonale fino all’altezza originaria, come nello studio di Superquark. Quasi tutti gli edifici sono in corso di restauro perché non hanno gradito le scosse di terremoto, il vento e la morsa del gelo. Alcuni crolli sono relativamente recenti e una chiesa è recintata e sostenuta con robuste impalcature. Il cancello è spalancato e mi invita ad entrare.
Accetto l’invito a visitare la chiesa dimezzata, una struttura a pianta ottagonale affettata a metà, con le briciole di colonne disposte in ordine sotto la neve in attesa di essere impilate di nuovo per proteggere gli affreschi. Salendo la scalinata d’acciaio dell’impalcatura si arriva ad osservare le scene dipinte da vicino, scoprendo quanto e divertente sparare sulle facce dei santi delle altre religioni. Ad Ani si sono avvicendati più padroni che secoli e di conseguenza i volti al centro delle aureole sono scomparsi, crivellati dai proiettili. Scendo in fretta e un paio di minuti dopo compaiono Linda, Ema e Anne, armate di macchina fotografica. Scendiamo a vedere l’ultima chiesa, seminascosta a metà della scarpata che porta al fiume Akhurian. Anche loro stanno apprezzando molto la visita, sembra che non ci sia niente invece merita, eccome. Se solo uscisse il sole magari si alzerebbero in volo anche un po’ di avvoltoi… niente, oggi no. Qui siamo vicinissimi all’Armenia, il confine passa in fondo alla gola e sulle alture dell’altra sponda si vedono sventolare le bandiere armene. Ci avviamo tutti verso l’uscita, ma io devìo verso sinistra, per completare la visita, mentre le ragazze pensano di tornare a Kars in autostop.
Ci sono ancora molti edifici da visitare, ad esempio una piccolissima chiesa del VII secolo, di cui restano solo i primi due metri di roccia. Arrivo in fondo alla visita nella zona in cui sono stati dissotterrati i muri di alcune abitazioni di pietra. Non è rimasto altro da vedere, se non le rovine di un castello che sorge su un piccolo colle a Sudest. Nessuno ci è andato da quando è nevicato e non sembra che un cumulo di macerie, ma vedere la città dall’altro può essere interessante. Vado o non vado? È facile, se non ci vai adesso, quando ci torni?
Giro tutto intorno all’edificio quadrato, scoprendo un’altra chiesa. Non solo, in un’ansa dell’Akhurian c’è un enorme pilastro di roccia, alto quasi come le pareti della gola, su cui sorge un edificio rettangolare. Non vedo che cosa possa essere se non un monastero, complimenti, avete scelto un bel posto. Giunto in cima al castello, capisco perché sono salito. Da qui si vedono le piante delle case dall’alto, disposte lungo la strada lastricata che porta dal castello alle mura. La coltre di neve aiuta a immaginare che sotto ci siano altrettante case e strade, trasformando la distesa di niente in un’affascinante città millenaria, costellata di chiese e palazzi e circondata da formidabili opere difensive. La gola che oggi viene considerata un confine un tempo era semplicemente un bastione per proteggere la città, che faceva da ponte tra due terre che oggi sono nemiche te loro. Il muro a Ovest serve a completare le difese di questa città così contesa tra i regni circostanti. È interessante notare che ciò che noi oggi consideriamo un “confine naturale” per gli antichi non era altro che il portone della città. Mi sembra che ci siano le tracce di un ponte in fondo alla gola, ma non capisco proprio come fosse possibile scendere laggiù e risalire. Forse un tempo era molto più alto e le macerie sono state dilavate dal fiume. Ora sono soddisfatto, posso uscire e tornare a casa
15:45
. Ad Ani non c’è quasi più nessuno, ma nel parcheggio laterale c’è ancora qualche macchina, quindi mi incammino di buon passo cercando di intercettare quella che sta per partire.
Niente, la prima l’ho mancata ma la seconda non può sfuggirmi. A Ocakli (ogiacli) incontrare un turista a piedi e dargli un passaggio sono la stessa azione. Sono fortunato, Hasan Aslan è in vena di chiacchiere e va fino a Kars, quindi abbiamo tempo. Ha circa cinquant’anni e mi pare di capire che lavori in banca, vuole sapere se mi piace la Turchia. Assolutamente, rispondo io, specialmente le persone e il fatto che qui c’è spazio. Faccio un ampio gesto per indicare la distesa ondulata e bianca a destra e sinistra della strada dritta. Come succede sempre, Hasan replica che non c’è niente di ammirevole qui intorno, anzi non c’è proprio niente in assoluto. È vero, ma nel posto da cui vengo io è impossibile trovare tanta superficie non antropizzata, anche i parchi nazionali tendono a essere lunghi e stretti, con strade e piccoli paesi. Non farei mai a cambio con questa desolazione, ma ci tengo a sottolineare che mi affascina. Chi vive qui intorno ci è abituato e non vede niente, solo un grandissimo mucchio di niente.
Continuo a spiegargli perché non penso che lavorerò in Italia e della carenza di posti di lavoro nel mio settore. Dato che Hasan è originario di Kars, finalmente posso chiedere a qualcuno quanto è elevato il randagismo canino che vedo oggi rispetto al passato. Adesso i cani sono parecchi secondo me, e Hasan risponde che quando era giovane ce n’erano meno.
16:30
Arrivati nei pressi del centro suggerisco che potrebbe già farmi scendere, ma Hasan vuole sapere di preciso dove sto andando per portarmi esattamente lì. Non lo so neanch’io come si chiama la via, il mio piano era di girare per le vie del centro fino a ritrovarla. No, Hasan insiste, finché mi ricordo che per fortuna Erdoğan mi ha inviato la propria posizione su Whatsapp. Vengo consegnato a domicilio e, per facilitare l’eventuale procedura di reso, Hasan mi lascia il proprio numero di telefono, nel caso avessi dei problemi. Sarei dovuto tornare in autobus, davvero?
In casa ci sono tutti e Anne, Linda ed Ema mi raccontano che alla fine hanno preso l’autobus anche al ritorno. Adesso ho decisamente fame, vado a fare una piccola spesa che basti per almeno due giorni. Qui nella via ci sono tantissimi piccoli negozi, perciò acquisto tutto evitando il supermercato, anche perché i prodotti hanno lo stesso prezzo ma sono più buoni.
Stasera le ragazze hanno in mente di andare alla pista di pattinaggio su ghiaccio, ma io penso che sia meglio mangiare e scrivere perché sono indietro con entrambi. Non è vero, la verità è che probabilmente domani andremo a sciare e mi attira decisamente di più dei pattini. Dato che resto a casa io a badare a Elsa, Erdoğan può uscire. Elsa infatti si sta ancora riprendendo dall’anestesia di stamattina e cammina bene come un AT-AT danneggiato, infatti ogni tanto arriva uno snowspeeder e lei cade su un fianco. (Gli AT-AT vengono da Star-Wars, per gli eretici che non lo hanno mai visto)
Non scrivo granché perché il pranzo-cena è impegnativo e ho una notevole stanchezza addosso. Elsa intanto riesce a compiere il primo salto, ma saltare dal letto al termosifone è ancora un’impresa di agilità superiore alle sue capacità di coordinazione. Infatti rimane appesa con due zampe e poi cade. Appoggio un cuscino in obliquo per fare da scala ma niente, lei ci gira intorno e salta sul vuoto, ricadendo. Posso solo aspettare, rimettendole a posto la lingua, che le sporge dalla bocca come alla Pimpa.
22:40
Rientrano i miei compari, che hanno trovato la pista di pattinaggio strapiena, che aveva esaurito i posti già oggi pomeriggio. Non avendo speranze, si sono consolati con una cioccolata calda e sono tornati indietro.
Siamo tutti un po’ stanchino, ma c’è ancora spazio per qualcuno dei quesiti-indovinello che piacciono a Erdoğan. Per esempio: “John e Jane giacciono morti sul pavimento di una stanza, accanto a loro ci sono dei pezzi di vetro e una pozza d’acqua. C’è un gatto che attraversa la stanza. Che cosa è successo?” Chi pone i quesito può rispondere alle domande di quelli che devono indovinare con “sì”, “no” o “è irrilevante”. Il divertimento è assicurato perché la soluzione non è affatto banale. Per esempio io non ho ancora capito perché un tizio entra in un bar a ordinare un bicchiere d’acqua e, quando il barista gli punta addosso un fucile, quello ringrazia e se ne va. Di indovinelli così ce ne sarebbe un’infinità, ne ho un libro intero a casa.
Gli unici due che mi ricordo a memoria sono i più famosi e Erdoğan li conosce già, quindi niente, ormai Elsa si è ripresa e andiamo a letto.

2 commenti su “La cattedrale in mezzo al nulla”

  1. Matteo+Lasalvia

    Vorrei far notare all’ortodosso dei film di Star Wars che i colossi a quattro zampe si chiamano AT-AT, non A-AT <3

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *