1) La Georgia è meravigliosa, ma assorbe tutto il tempo disponibile, ho avuto qualche lieve difficoltà a scrivere nelle ultime due settimane. Pardonnez moi.
2) C’è una cosa che non ho detto riguardo a ieri:
Mentre ci dirigiamo verso il Choco Lab, Emrah vuole sapere quanto riesco a andare indietro elencando i nomi dei miei antenati in linea paterna. Ho sulla punta della lingua il nome del mio bisnonno, ma non mi viene in mente e quindi arrivo solo a due. Emrah parte e arriva a sette, risalendo in pochi secondi praticamente due secoli di storia. Sembra che stia leggendo una pagina della Bibbia o i nomi dei re nanici del regno di Erebor. È un fatto culturale, mi spiega, facilmente i curdi conoscono i nomi di molti dei propri antenati in linea paterna.
Lezione di ieri: Non è vero che in Turchia non si beve, ma lo si fa di nascosto. Invece è vero che i Turchi fumano come se stessi.
Lunedì 24/01/2022 8:40 Iğdır (Turchia)
Oggi è il gran giorno, si prosegue per Kars, che è l’ultima tappa sull’altopiano turco, a quasi duemila metri di quota. Finisco di mangiare le ultime cose che ho comprato quattro giorni fa e preparo lentamente lo zaino. Kara è vicina, quindi perché partire presto quando posso partire tardi? È bello ragionare così ogni volta, di base sarei mattiniero, ma in questi tre mesi non sono mai partito prima delle dieci di mattina. Nel frattempo avviso della mia partenza Erdoğan, l’ospite di Kars che avevo contattato qualche giorno fa (Ricordo che la ğ è muta, si legge Erdōan). C’è un problema, ha la casa di nuovo piena perché ha accolto altri tre viaggiatori, non ha resistito. Per lo stesso motivo mi risponde che se non so proprio dove andare può trovarmi una sistemazione di fortuna, ma se riesco a trovare una soluzione alternativa è meglio. A me basta anche un metro quadro di pavimento, comunque ho contattato altri due potenziali ospiti, mi rivolgo a loro.
14:10
Il sole è già oltre la metà del proprio tragitto, e io parto. Emrah mi manda un messaggio che indica la via più breve per raggiungere la strada principale che va da Bazit a Kars, ma mi sembra meglio andare direttamente a Nordovest per fare l’autostop fuori dal centro abitato.
Sono senza internet da qualche giorno, ma in qualche modo mi arriva un messaggio da Emrah che vuole sapere dove sono, mi stava aspettando nel posto che mi ha indicato. Aggiunge che fa lo stesso, buona fortuna.
Vorrei sapere che cosa ha scritto dopo, ma internet mi ha abbandonato. Conoscendo i curdi però ho un presentimento, torno indietro perché Emrah se lo merita eccome.
14:27
Mentre cerco il posto dove lavora, Emrah mi affianca in macchina, stupito. Mi stava aspettando per un saluto e un abbraccio, come pensavo, e mi può anche dare un passaggio verso Kars. È proprio un Emrah, fino in fondo, mi porterebbe a Kars in spalla, se potesse.
Sta comunque lavorando, quindi fa parecchie telefonate e nel frattempo continua a salire verso Nordovest, ma a Çalpala tira dritto, continuiamo a salire.
Mi porta fino a Tuzluca, che è famosa come luogo terapeutico per le miniere di sale che sono state riadattate a centro benessere o qualcosa di simile. Non ci avevo pensato prima, ma in effetti “tuz” vuol dire “sale”. I miei soliti benefattori mi lasciano in centro, ma Emrah mi accompagna fino in fondo al paese. Qui ci salutiamo come si deve e ci diamo appuntamento alla prossima volta, tanto devo comunque tornare a visitare Ibrahim e l’Ararat.
Ho già capito che il problema dei giri del mondo in solitaria è che finito il primo bisogna iniziarne un altro per tornare a salutare tutti i buoni amici incontrati lungo la via.
A Tuzluca passano poche macchine, e mentre aspetto sulla strada mi vengono a salutare due dei quattro cani della fattoria accanto. Latrati a non finire mentre io cerco di minimizzare le offese di rimando.
Arriva a salvarmi Sahat, che non è un gran chiacchierone, ma almeno non abbaia. Ha tre anni più di me ed è un tipo simpatico, curdo anche lui come quasi tutti quelli che incontro.
Come mi ha anticipato Emrah, passiamo a duecento metri dall’Armenia, nel paese di Halıkışlak. È già da un mese che sono in Turchia e ci resterò circa altri cinque giorni o una settimana, quindi in Armenia non ci vado, ci si penserà la prossima volta.
Subito dopo questo passaggio ravvicinato, la strada scavalca in pochi tornanti la parete rocciosa che risale a duemila metri. Come ci insegnano Annuša e Volen, dove c’è una parete rocciosa ci sono gli avvoltoi e dove c’è una parete rocciosa al sole ci sono gli avvoltoi in volo. Infatti lassù ne vedo cinque, librati ad un’altezza incalcolabile che rende impossibile determinare se sono grifoni o gipeti.
In un paio di minuti siamo già lontani correndo a tutto gas verso un altro simpatico posto di blocco. Sahat ci sa fare, non so perché ma questa volta mi credono sulla parola senza controllare il passaporto. Il mio autista invece deve compilare alcune carte e mi dice di aspettarlo in macchina. A me andrebbe benissimo fare l’autostop qui, dove le macchine ripartono, ma lui mi vuole portare un po’ più avanti perché così se ho freddo posso andare al distributore di carburante. Facciamo due chilometri e mi lascia di fronte al distributore, che si trova dall’altra parte della strada in mezzo a un rettilineo infinito. Grazie, ma credo che tornerò indietro.
A metà strada verso il posto di blocco accostano Serhat e Alì, che vanno a Digor. Come è noto sono sempre in difficoltà nel parlare al plurale e loro mi fanno un paio di domande poi continuano a chiacchierare. Ogni tanto succede di incontrare solo autisti che parlano poco.
Guardo la distesa di niente innevato tutto intorno, che ha un certo fascino.
Serhat e Alì mi lasciano poco prima di Digor, da dove posso vedere le macchine con molto anticipo. I due chilometri che abbiamo appena percorso descrivono un’ampia curva sul fianco di un monte, interamente visibile da dove sono io. Così ho il tempo di usufruire del grande bagno pubblico che mi circonda senza perdermi neanche una macchina. È un vantaggio non comune.
Non è facile, ma in venti minuti si fermano Seiçkin e Seir, più o meno della mia età, che vanno proprio a Kars e stanno ascoltando la musica. In mio onore fanno partire Bella Ciao, che è diventata famosa grazie alla serie TV “La casa de papel”. Nessuno sa cosa voglia dire, ma tutti la conoscono. È una variazione interessante rispetto al solito Lasciatemi Cantare di Totò Cutugno. È da tutta la Turchia che quando dico di essere italiano la gente mi risponde “Danilo chef” e “Totò Cutugno”. Danilo chef è nuovo, è diventato popolare grazie a Masterchef Turchia, ma Lasciatemi Cantare è ancora la canzone italiana del secolo anche tra i miei coetanei, nonostante risalga a quarant’anni fa. Il fatto buffo è che io lo sapevo già, perché Eddy Cattaneo nel proprio giro del mondo del 2008 aveva constatato lo stesso fatto in Asia centrale. Per questo mi aspetto che anche in Iran Totò Cutugno sia ancora un idolo musicale. Sopporto la musica trap fino a Kars, dove Seiçkin e Seir svoltano a Sud, probabilmente per andare in centro da una strada diversa. No, non è vero, mi lasciano a Sud della città, perché là è più lontano dal centro, ma passa l’autobus. A me non interessa, ma con la musica sparata nelle casse non ho potuto capire dove stessero andando. Pazienza, va benissimo così, è da un po’ che non faccio due passi.
17:35
“Kar” in turco significa “neve”, difatti adesso nevica e per terra c’è un bel crostone di neve pressata perfetta per me che sono ancora senza bastone e pattino. Pazienza, mi incammino verso il centro nell’aria natalizia. Dopo appena trecento metri si ferma accanto a me un furgone, da cui spunta Arif che mi offre un passaggio. Ha un’aria simpatica, salgo a bordo. Non so esattamente dove sto andando, in realtà ero in cerca di un negozio Türkcell per tornare online. Nessun problema, Arif consegna un pacco e poi si ferma davanti a un bar per acquistare due caffè da asporto. Arif ha ventisette anni, è curdo e abita qui a Kars. Come si sarà già capito ha un cuore d’oro ed è disponibilissimo ad aiutarti anche con quello che non gli chiedi. Purtroppo il viaggio dura pochissimo e posso solo augurargli una buona serata. Lui ha già finito il caffè, io invece ho fatto finta di sorseggiarlo perché mi sembra ancora piombo fuso. È tanto buona l’acqua fredda gelata quando mi sveglio in amaca e ho sete, questo caffè americano mi pare ancora un po’ caldino. Questo non vuol dire che nel freddo sotto zero di Kars non gusti sorseggiare un caffè bello caldo, quando ha raggiunto una temperatura tollerabile.
Evitando per un pelo di finire gambe all’aria proprio davanti al negozio, entro ad acquistare un’altra settimana di internet, abbastanza per continuare a imparare il turco tra qui e il confine con la Georgia. Un minuto dopo mi contatta Špela da Koper, che ha bisogno urgentissimo per risolvere un dubbio sulla procedura per laurearsi. Anche lei è una che si riduce all’ultimo come me, perciò mi sembra giusto farle sapere che esiste un modo per finire di scrivere la tesi una settimana dopo la scadenza per la consegna. Erdoğan invece non risponde, si vede che è impegnato.
Mentre aspetto che dia segni di vita faccio un giro per le vie del centro approdando alla spianata davanti al castello di Kars, che sorge in cima a una collina. Fa parecchio freddo e mi sorge spontanea una domanda: se qui intorno non ci sono boschi, come facevano un tempo a scaldare il castello? Usavano il bue e l’asinello?
È da un po’ che mi chiedo se in questa regione ci sia mai stato un bosco, ma non ho ancora trovato risposta. Non è un problema da poco, perché anche con addosso un cappotto di lana non si possono forgiare spade e armature a freddo, serve una quantità industriale di legna da ardere. O c’era e l’hanno tagliata, oppure la legna affluiva da lontanissimo, trasportata sui carri.
Comunque sia, salgo verso il portone di ingresso, ma una volta in cima trovo la porta chiusa, perché il castello apre dalle 8:00 alle – -:00, come specificato sopra il portone. Sono io che sono ignorante e non lo sapevo.
Scendo di nuovo nella neve fresca e arrivato nel tratto più ripido scopro un altro dei buoni motivi per girare con del cartone. Slittino. È divertentissimo quindi quattro discese mi sembrano il minimo prima di proseguire.
Centro metri dopo passo il cartone ad un bambino che sta salendo al castello con i genitori, specificando che lo slittino proviene da Pamukkale. Il bambino non ha lo zaino e per lui scendere è molto più semplice, lo osservò da lontano mentre si diverte quasi quanto me. Ad un tratto, un cane randagio che assomiglia a un labrador passa correndo su per la strada del castello, fermandosi alla base delle mura. Un attimo dopo arrivano altri tre cani, correndo pancia a terra, per inseguire l’intruso. Si dirigono direttamente verso il bambino in cima alla salita, ma naturalmente non sono per niente interessati a lui, devono solo scacciare il rivale. Li lascio alle proprie faccende da cani e vado in cerca di cibo e di un riparo, perché qui di notte la temperatura scende in picchiata a -15°C, nelle notti tiepide.
Ho proprio voglia di un dürüm e dopo un lungo girovagare trovo un locale che mi ispira, si chiama Dürüm X. Entro e mi porgono il menù, dove c’è ogni tipo di kebab, tranne i rotoli. Poco male, vorrà dire che sperimenterò un piatto nuovo. Ora ho capito il motivo della X sull’insegna, servono di tutto tranne i dürüm.
Da fuori sembra che abbiano solo un paio di tavoli, ma in realtà c’è anche un piano di sotto, con altri tavoli bassi, panche e cuscini. Ci sono solo io nel locale, quindi penso proprio di poter restare quaggiù al calduccio finché voglio, aspettando che Erdoğan (si legge sempre Erdōan) si risvegli dal letargo.
Dopo cena faccio qualche telefonata e finalmente arriva un messaggio, il mio ospite è stato in videoconferenza fino ad ora, che sono le dieci di sera. Gli spiego che sono proprio in quella situazione estrema prevista stamattina, non ho trovato un ospite alternativo per stasera. O meglio in realtà un’alternativa c’è, ma mi sembra ancora più estrema di sovraffollate la casa di Erdoğan. Qui a Kars abita un certo Inan, che però in queste settimane si trova fuori cittàa casa dei genitori, aspettando che faccia più caldo. Nonostante questo, mi ha detto che posso chiedere le sue chiavi di casa all’amico al quale le ha lasciate e dormire a casa sua anche senza di lui. Ho raccolto la mia mandibola da terra e gli ho risposto che in casi estremi avrei accettato volentieri. Occupare il pavimento di Erdoğan mi sembra decisamente meno estremo perciò concordiamo che in fondo è meglio così.
22:20
Rincuorato dal mio salvatore, pago con ventitre delle mie venticinque lire e vado verso casa di Erdoğan, che si trova a quattro chilometri da qui.
Camminando, il freddo pungente diventa solo un leggero pizzicorino, in realtà è bellissimo camminare nel paesaggio appena innevato. Mi fermo a osservare i singoli fiocchi di neve sugli alberi, mentre vado verso il campus universitario. Di tanto in tanto mi affianca un cane randagio in cerca di cibo. Il primo è un simpaticone e si merita un bel po’ di carezze, ma poi si monta la testa pensando che abbia del cibo e mi tocca deluderlo perché non ho proprio niente con me. Il secondo non lo illudo, non mi sembra il caso. Sono quasi tutti senza padiglioni auricolari e inizio a sospettare che se le orecchie se le sia portate via il gelo di Kars. Se io ho le orecchie congelate, figurati loro che dormono sul ghiaccio dei marciapiedi.
Come spesso avviene a Kars, si ferma una macchina ad offrirmi un passaggio fino al campus. Dice di essere uno studente, quindi essendo uno studente è povero, però guida una macchina. Mente, glielo si legge in quegli occhi amichevoli e innocenti. È buio, niente autostop dopo il tramonto, grazie lo stesso. Anch’io in Italia guido una macchina pur essendo un miserabile studente universitario, era sicuramente un tipo a posto che mi ha visto a passeggio con meno quindici e venti chili in spalla e ha pensato di aiutarmi come ha fatto Arif quattro ore fa. Però non va bene contravvenire con leggerezza alla regola numero 3, niente autostop al buio, tantomeno in piena notte.
Arrivo baldanzoso nel punto indicato da Erdoğan, ma più che una residenza mi sembra una piscina. Con mezza gamba di neve, faccio un giro nel giardino tutto intorno all’edificio perché è divertente. Nessun ingresso sul retro, secondo me sono nel posto sbagliato. “Erdoğan caro, mi devo mettere il costume da bagno?” Mi ha indicato il posto sbagliato, torno indietro fino in centro, ben contento di godermi la notte nevosa un altro po’.
23:46
Non riesco a trovare la porta del palazzo, Erdoğan scende a indicarmela perché è un po’ nascosta. I suoi ospiti non sono tre vichinghi barbuti, ma tre ragazze tedesche in Erasmus a Istanbul che sono venute qui in vacanza. Stanno uscendo per fare un giro nelle strade del centro, io invece ne ho già abbastanza e salgo con Erdoğan per appoggiare lo zaino nel suo appartamento al quarto piano.
I due divani-letto della sala sono già occupati, perciò vengo sistemato in uno dei due letti nella camera del padrone di casa. Erdoğan ha un anno più di me e studia medicina. Ha iniziato a ospitare viaggiatori da appena due mesi, ma il numero di ospiti totali è già arrivato a venti. Sta quasi pensando di aprire un ostello.
È venuto a vivere qui da due anni per studiare, ma è originario di Aydın, il paese dove ho dormito nell’uliveto. Prima di venire a Kars non aveva mai visto la neve, ma gli è piaciuta così tanto che ha comprato uno snowboard. Qui a Kars abita insieme alla propria gatta Elsa, una gatta bianca con un occhio verde e uno azzurro. È appena stata sterilizzata e oggi si stava grattando la ferita, perciò Erdoğan le ha messo un pezzo di calzino intorno alla vita in attesa di portarla domani dal veterinario per un controllo.
Nel frattempo tornano anche le ragazze e parliamo dei programmi per domani, perché stanno pensando di andare tutti e quattro a sciare. Io in un quarto di secolo non ho mai sciato e ormai ho perso il conto di quanti mi hanno detto che devo assolutamente provare. Mi chiedono se voglio unirmi a loro e accetto con entusiasmo. Non è sicuro però, dipende da come va la visita dal veterinario domattina.
1:20
È già abbastanza tardi, andiamo a letto. Per una volta non ho bisogno di farmi una doccia appena arrivato.