Lezione di ieri: se lo scopo è non incontrare nessuno, l’unico modo è rimanere imboscati lontano da tutti e sperare.
Lunedì 04/01/2022 8:47 Pamukkale (Turchia)
Come ieri, mi sveglio sentendo la musichetta di decollo delle prime mongolfiere, che forse approfittano dell’aria gelida della mattina per salire più rapidamente. O forse è per far fotografare l’alba ai turisti.
Ora che la visita a Pamukkale è finita, la prossima meta è Göreme, che si trova al centro della Cappadocia ed è lontana seicento chilometri. Una distanza del genere non è neanche immaginabile nella mia esperienza di autostop balcanico, quindi per comodità prendo come riferimento Konya, che è a 400 chilometri, e la prima meta è Dinar, distante 120 chilometri. Invece di stare fermo per una settimana qui, conviene fare l’autostop un’oretta ogni giorno e spostarsi con calma verso Konya. Magari sono fortunato e trovo addirittura un passaggio diretto.
15:10
Scrivo un po’ e poi con calma e circospezione vado a comprare vado allo stesso forno di ieri a comprare quei panini così buoni che Hakan ha rifiutato. Oggi c’è la figlia del fornaio, che mi fa pagare i panini 5 lire al pezzo, invece che 3,5. Va bene così, io sono un turista e dovrei pagare ben di più. Faccio anche un po’ di spesa perché probabilmente finirò a dormire nel mezzo del niente e compro un enorme melograno, così assaggio quelli del supermercato per capire come sono e in più ho una riserva d’acqua extra.
16:30
Mi siedo per le vie del centro a mangiare e cerco invano una fontana dove bere un po’ d’acqua extra.
Mentre esco dal paese scopro una perla che molti non hanno visto, “la casa sottosopra”. È un appartamento in affitto fatto proprio a forma di casa gialla con il tetto parzialmente conficcato nel terreno. C’è una cinquecento carica di bagagli parcheggiata davanti alla porta di casa, che si trova al primo piano, e un tavolino con le sedie che pende dal piccolo balcone del piano terra. Per maggiore realismo, c’è anche il proprietario di casa piantato a testa in giù in un cespuglio del vialetto, con accanto una bicicletta malconcia. Molto bello, meno male che ci sono passato.
Lungo la strada non è così facile fermare qualcuno, ma sto ancora mangiando quindi non sono molto reattivo, appena finisco si ferma Airam, che sta andando in centro a Denizli. Lavora in un negozio di ferramenta e parla solo turco, perciò mentre commento quanto sia bella Pamukkale gli esprimo anche il mio dispiacere per l’assurdità del prezzo unico per stranieri e cittadini turchi.
Airam mi porta all’inizio della strada che conduce a Dinar e ci salutiamo. Questo posto è pessimo, bisogna camminare per un paio di chilometri per arrivare in un punto migliore. Una volta ricollocato, si ferma Usam, che è diretto a Kaklık (con l’accento sulla ı). Provo a farmi spiegare perché il simbolo di Denizli è un gallo, ma anche se lui capisce un pochino di inglese è una domanda difficile da spiegare con il poco inglese che abbiamo in comune e probabilmente non avrei capito la risposta. Provo a indicare il cartoncino profumato della squadra di calcio di Denizli, che tiene appeso in macchina. Non capisce del tutto la mia domanda ma lo stacca e me lo regala, come ricordo. Saluto Usam il marmista e ormai è buio, quindi vado direttamente verso la foresta di Kaklık, che si trova qui vicino e è parecchio estesa. In un’aiuola di fronte ad una delle ultime case noto un rubinetto dell’acqua e ne approfitto per lavare le mele e prendere mezzo litro d’acqua. Non mi fido molto di questa fontana, magari con questo mezzo litro ci faccio un tè.
Dopo aver fatto scattare l’allarme abbaiante di un’azienda agricola inizio a salire lungo una strada sterrata che porta ad uno spiazzo con una riserva d’acqua c’è serve per spegnere gli incendi boschivi di questo bosco di pini, utilizzato per la produzione di legname. Il cielo è sereno e senza luna, riesco a vedere dove metto i piedi sono fino al limitare del bosco, che è mantenuto molto rado proprio per prevenire gli incendi. Il sottobosco è praticamente assente, quindi è semplice spostarsi ma non è altrettanto facile nascondersi. Dalla corteccia alla base di ogni albero è stata staccata una fetta, in modo da ricavare una superficie utile per scrivere il numero dell’albero.
Finalmente trovo un paio di alberi ad una distanza adeguata, in un punto parzialmente riparato da un piccolo avvallamento. Niente fuoco questa sera, ho già mangiato a sufficienza e fa già freddo fuori. Farei volentieri una telefonata, ma in questo punto il telefono prende male e riesce a malapena ad inviare i messaggi.
Dormo nell’amaca, sostenuto dal pino 3936 e dal pino 3938.