Toccata e fuga in Ohrid maggiore

Lezione di ieri: in bassa stagione può darsi che le visite siano gratis perché le biglietterie sono chiuse.
Lunedì 6/12/2021 6:32 Kosel (Macedonia del Nord)
Piove, vorrà dire che starò qui ad aspettare che smetta, anche se è un pessimo posto per trascorrerci un giorno e mezzo, specialmente per via del fango.
8:20
Mi riaddormento e quando mi risveglio piove ancora. No aspetta, non piove, sono solo gocce che cadono dagli alberi. Ha smesso davvero? Proviamo, o la va o la spacca.
9:55
C’è voluto un po’ per raccogliere tutto senza toccare per terra, ma ci siamo, il cielo regge.
Scendo verso la strada, un paio di abitanti del paese vedono sbucare dal nulla un tizio con uno zaino enorme, ma non fanno domande.
In strada sono già nel posto giusto per alzare il pollice, e in breve si ferma Betim, che ha 39 anni e gestisce il ristorante “Classic” a Resen.
Gli racconto del mio viaggio perché vuole sapere come e quando è nato il sogno di partire.
Ricambio con un po’ di domande su di lui, che è sposato da dieci anni e un anno fa ha avuto un figlio. Forse inizialmente non volevano avere figli e hanno cambiato idea. Sbagliato. Mi racconta che era loro intenzione fin dall’inizio, ed è stato solo due anni fa che finalmente hanno raggiunto il proprio traguardo. “Never give up with your dreams” (Non smettere mai di credere nei tuoi sogni). Sicuramente avete già sentito questa frase mille volte, ma detta da lui ha un significato speciale, lui sa che cosa vuol dire.
A Resen piove già e non poco. Betim entra nel ristorante dicendo che tornerà con un panino. Dopo dieci minuti esce sotto l’acqua con un panino caldo e una lattina di tè freddo, una manna per me che ho passato la notte fuori.
Mi siedo a coperto, sotto l’ingresso coperto di un rivenditore di pellet, insieme a una gattina di pochi mesi che miagola a squarciagola in cerca di cibo. Betim dà da mangiare a me e io alla gattina, mi sembra che sia corretto. Magari è lui stesso a portarle da mangiare di solito, c’è una scatoletta vuota poco più in là.
Prima ancora che la gattina finisca di mangiare, torna Betim a invitarmi dentro al caldo. Mi porta anche un caffè e nel frattempo parla di me con suo padre, che lavora a sua volta al ristorante.
Mi ha anche fatto sedere accanto al termosifone, apprezzo moltissimo il riguardo. Ogni tanto vado alla finestra e scosto la tenda per controllare se smette di piovere.
11:45
Ha smesso, muoversi muoversi muoversi!
Saluto e ringrazio Betim cento volte e volo fuori a cercare di intercettare qualcuno. No, non sta funzionando.
Ogni tanto mi giro a guardare dalla parte opposta ed è così che nella maniera più casuale e controintuitiva possibile, un autista mi guarda e si ferma, fa inversione e mi fa cenno di salire.
In macchina sono in tre, Aleksandar, Lidia e Liliana. Aleksandar mi fa sapere subito che devo essere riconoscente con Liliana, che si è impuntata per farmi dare un passaggio. Dire che sono sconvolto è poco, perché sul mio cartello c’è scritto Bitola, che dista trenta chilometri da qui. Questi tre sono colleghi di lavoro che si occupano di sanificazione degli ambienti e stavano andando a Ohrid, ma hanno visto un autostoppista e in due secondi hanno deciso di perdere un’ora solo per dargli un passaggio.
Tra l’altro mi dispiace perché non riusciamo a capirci tanto bene e la nostra conversazione è molto limitata. Comunque sono eccezionali, hanno girato la macchina con una naturalezza unica, neanche fossi il presidente.
12:27
Sono già a Bitola, ma visto il tempo non mi sembra il caso di visitare il centro, anche se Viktor ed Émeline mi hanno detto che è carino. Alexandar mi ha lasciato proprio allo svincolo che serve alle macchine provenienti da Bitola per raggiungere Prilep, che è la prossima tappa verso Kumanovo. Il posto è ottimo, dieci minuti e sono in macchina con Draičev, di circa trentacinque anni. Deve fermarsi a Prilep per qualche ora per prendere un amico, poi proseguirà verso Radičevo, ma probabilmente non mi conviene aspettarlo. Mi dà delle indicazioni importanti su come raggiungere Veles, perché nella mia ignoranza io sarei andato dritto su per una strada di montagna.
Draičev ha poco più di trent’anni e mi chiede del viaggio, dicendo che gli piacerebbe iniziare a viaggiare più spesso.
13:11
Draičev accosta all’inizio di Prilep e mi fa scendere proprio dove c’è il primo svincolo proveniente dal paese. Qui non piove ancora, il che supera le mie aspettative per oggi, ma c’è parecchio vento e pochissime macchine, tutte provenienti da Bitola. Mi rendo conto rapidamente che non è il posto giusto, bisogna andare tre chilometri più avanti all’uscita Nord di Prilep per avere qualche speranza di intercettare le macchine dirette a Gradsko. Non è una scelta facile, perché magari se resto qui per tre quarti d’ora qualcuno si ferma, ma non penso che succederà. Inoltre se passo per il centro posso anche comprare da mangiare, che non sarebbe male. Entro a Prilep e mi fermo a contemplare un’essiccatoio pieno di foglie di tabacco. Lo riconosco al volo perché lo avevo già visto in un documentario in tedesco che stava guardando Martin a Pejë. Dopo il tabacco prendo la prima a destra, ma è una strada cieca, dovevo imboccare la parallela. Gli sguardi perplessi del vicinato me lo rivelano ancora prima di consultare la mappa sul telefono. Un vecchio esce di casa e mi chiede in macedone di dove sono e dove sto andando, poi con gesti e frasi incomprensibili mi guida di nuovo al punto da cui sono venuto, che è il posto giusto per uno che come me fa l’autostop. Non ho voglia di spiegargli che “ci sono già stato e che stavo pensando di attraversare il centro così magari trovo un forno e poi bla bla bla”. Saprei dire solo “sono” e “forno” e non mi va di spiegargli il resto a gesti.
Il paese mi ha respinto, proviamo a seguire lo stradone, almeno il percorso è il più breve. Basta arrivare alla stazione di servizio e il gioco è fatto, solo che prima o poi pioverà. Lungo il percorso attiro l’attenzione di un altro vecchio con la carriola che mi chiede da dove vengo e dove vado e poi ripete tutto al vecchio con il cane dall’altro lato della strada, che mi indica la “benzin pumpa” due chilometri più avanti. Grazie, buona giornata. Almeno sono simpatici.
Ricomincia a piovere, adesso fa sul serio, ma nella pioggia fitta appare un miraggio: un rimorchio vuoto con la scritta “Bonita” e il disegno di una banana. Attraverso il campo di buon passo e mi riparo là dentro.
Al momento non è in uso, ma né uomini né cani hanno dormito qui, perché il pavimento di legno all’interno è pulito. È nella posizione giusta per essere al riparo dal vento e non penso proprio che qualcuno si offenda se lo occupo per qualche ora. Male che vada dormo qui, ho un pavimento, un soffitto e tre pareti e un quarto, è quasi una stanza e in più è bello grande. Lo scopo però è proseguire, altrimenti sarà difficile domani coprire i 140 chilometri che mi separano da Kumànovo, anche perché la vera meta è Kratovo, dove Ace mi ha detto che c’è l’osservatorio megalitico. Mentre aspetto che smetta di piovere, sgranò uno dei melograni presi a Kotor, in Montenegro.
A un tratto smette di piovere e scatto fuori per fare gli ultimi due chilometri che mi separano dal distributore di speranza.
16:25
Ormai c’è poca luce, ma faccio comunque un tentativo di raggiungere Gradsko piazzandomi lungo la serata che esce da Prilep. Niente da fare, inizia anche a piovere, quindi mi riparo sotto la tettoia del distributore, indeciso sul da farsi. Accanto a me c’è una macchina che ha appena finito di fare rifornimento, ma ancora l’autista non parte. Le mie speranze sono appese a un filo e casualmente il mio cartello è girato verso di lui. Io intanto guardo in avanti con aria sconsolata. Non è una recita, se non arrivo a Gradsko stasera il primo posto buono per campeggiare è abbastanza lontano.
Alla fine Ognen scende dalla macchina, mi chiede di dove sono e mi offre un passaggio verso Kavadartsi, perché è lì che sta andando.
Vorrei abbracciarlo, mai limito a ringraziarlo di cuore e saltare in macchina, perché non sono ancora vestito per la notte e fa freddo.
Si chiama Ognen, avrà circa trentacinque anni, parla tedesco e un pochino di inglese e italiano. Conosce il tedesco perché ogni anno va per due mesi a Bolzano a raccogliere le mele, in modo da avere un po’ di guadagno extra oltre al proprio lavoro da autista di camion qui in Macedonia. Immagino che lavorando in questo modo non riesca a passare molto tempo a casa. Qui abitano
sua moglie e il figlio Gjorgj, che ha quattro anni ed è bellissimo. D’altra parte è difficile farsi bastare i 600 euro al mese che si guadagnano qui, anche perché spesso sono di meno.
Mentre procediamo sotto la pioggia, gli parlo a lungo del mio viaggio. Mi dice che parlo bene il tedesco, ma qui sul sedile posteriore sto barando, uso un traduttore. Per provarglielo provo a mettere insieme una frase senza aiuti, e lui non capisce niente.
Prima di farmi salire in macchina mi ha chiesto da dove vengo, non senza ragione. La legge macedone punisce severamente chi trasporta i migranti, Ognen parla addirittura di reclusione. Nel frattempo abbiamo superato il bivio per Kavadartsi, perché con questo tempo il mio autista ha deciso di portarmi fino a Gradsko.
Ascoltando la sua storia ho un’ultima domanda in testa: “Sei felice?” “Sì” dice ridendo, quando tua moglie è felice sei felice anche tu. È pesante essere sempre lontano da casa, ma va così, non ci si può fare molto se non guardare a quello che si ha di bello.
Mi augura di essere felice e mi porta in centro a Gradsko, un paese sorto lungo la strada che porta a Sud verso la Grecia. C’è una bellissima fermata dell’autobus pulita e ben illuminata, con una fontana a pochi metri, quindi faccio la spesa e mi siedo a mangiare. È giunto il momento di placare la mia voglia di olive mangiando i 250 grammi di olive nere acquistati in Montenegro. Sì, la spesa di Podgorica grava sulle mie spalle da un bel pezzo.
Dopo la mia lunga cena al coperto è ora di cercare un posto per la notte in una zona alberata lungo il fiume. Peccato che abbia ripreso a piovere, meglio aspettare che smetta sotto la tettoia di un ex ristorante, anzi magari non dormo neanche e scrivo e basta.
Trovo da sedermi e me ne sto lì al coperto, mentre i camion mi sfilano davanti e si allontanano nella notte. Spesso calpestano il rivolo d’acqua che corre lungo la strada e generano un’onda anomala che scavalca il muretto che borda il portico e atterra a venti centimetri da me. Questo pezzo di pavimento però si è mantenuto asciutto, sono al sicuro.
A un tratto l’autista del camion fermo di là dalla strada scende dall’abitacolo e viene verso di me fumando una sigaretta. Mi chiede se vado in Turchia, forse sarebbe stato disponibile a darmi un passaggio, chissà. Rientra nel camion per andare a dormire e io inizio a considerare di imitarlo, visto il freddo e il vento.
00:16
Non ha smesso, ma almeno piove poco, quindi mi decido a lanciarmi in esplorazione verso il fiume, a dieci minuti da qui. Il fiume ha una portata notevole, essendo largo alcune decine di metri. Gli alberi sulle rive però sono troppo in vista e sono vicini all’acqua, non mi sembra saggio sottovalutare la possibilità di una piena, quindi risalgo l’argine fangoso.
Torno sul piccolo affluente, che pare più amichevole. Il campo coltivato è stato esteso il più possibile, quindi bisogna scendere lo stesso dall’argine per trovare degli alberi. Per esclusione trovo due alberi liberi dai rovi e dagli altri rampicanti. Il terreno è scosceso e piuttosto fangoso, ma per qualche ora va bene, tanto ormai è tardi, non manca molto all’alba.
1:17
Qui al riparo dal vento non fa freddo, per fare prima evito di estrarre anche il sacco a pelo, l’amaca e i vestiti pesanti faranno il resto. Adesso che ho calpestato il terreno bagnato, qui per terra è tutto fangoso, quindi lo zaino entra in amaca con me e c’è ne stiamo qui rannicchiati, piedi contro piedi.

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