Lezione di ieri: Quando farà caldo, sarà complicato mantenere una riserva di cibo nello zaino, perché la giacca riempie tutto lo spazio.
Domenica 21/11/21 6:20 – Cetinje (Montenegro)
Stanotte mi sono svegliato e con soddisfazione ho letto -3°C. Non ho avuto così freddo come a Velika planina, nonostante fossi in amaca invece che sotto la tenda, non so perché.
Nonostante il freddo polare, i cani qui sono così tanti che hanno continuato ad abbaiare per tutta la notte, senza interruzione.
Esco dal mio riparo prima dell’alba e trovo il terreno brinato, con uno strato bianco di brina sul mio tetto di tessuto blu. Sono nel punto giusto per ricevere la luce appena sorge il sole, così asciugo tutto e poi scendo in città. A proposito, dov’è finita Cetinje? (pronunciato zetigne) Giù nella conca si vede solo una nuvola lattiginosa che ha sommerso la città di umidità, sono felice di essere quassù. Oggi è uno di quei giorni speciali in cui la luna quasi piena sta per tramontare nello stesso momento in cui sorge il sole, che è sempre un fenomeno affascinante.
Fa ancora freschetto però, meglio andare su quella roccia lassù per scaldarmi al sole come un rettile.
Mi siedo là a scrivere mentre il primo raggio di sole colora di arancione la pietra calcarea. A quest’ora arrivano dalla città i primi passeggiatori mattinieri. Per primo arriva Vasko, che mi chiede di dove sono e poi aggiunge “Sapevo già che non sei di queste parti perché sei pazzo.” Da dove si trova lui non si vede dove sono seduto e probabilmente sembro una capra di montagna in bilico su una cornice. Proseguiamo questa buffa conversazione a distanza e Vasko mi informa che avrei dovuto piantare la tenda giù in città, nel parco. “Non lo sai che ci sono gli orsi, e i lupi, e i cani, e i cinghiali?” Esprimo il mio stupore per la libertà di campeggio che c’è qui, ma tra me e me penso che è per questo che ho dormito qui, temo di più gli uomini degli animali selvatici.
Poco dopo arriva Tiho. Anche lui, come Vasko, parla italiano e la cosa inizia a stupirmi. Mi spiega che a Cetinje molte persone conoscono l’italiano, perché Elena di Savoia è nata qui e il suo matrimonio ha creato una sorta di gemellaggio con l’Italia.
Scendo dal mio posatoio e torno al campo, che nel frattempo è stato raggiunto dal sole e si è scongelato. Mentre si asciuga scrivo ancora, raccontando del mio viaggio da Idliža a Mostar.
A un certo punto, dalla strada distante quindici metri arriva verso di me un grosso cane da pastore, perciò mi metto in mezzo tra lui e le mie cose. Dopo un attimo arriva anche il padrone, Dragan. Ci salutiamo, lui mi lancia due mandarini e poi prosegue per la sua strada. Che posto incredibile.
11:00
Sono ancora qui, a cercare di decidermi a fare i bagagli e partire, ora che la caligine di Cetinje si è un po’ dissipata. Evidentemente non era solo vapore acqueo, c’è parecchio inquinamento laggiù. In un’ora e mezza finalmente parto per andare a finire di visitare le vie di Cetinje e fare la spesa per i prossimi giorni. Domani pioverà tutto il giorno, quindi il piano è di campeggiare a Rijeka Crnojevića, che a metà strada tra qui e Podgorica.
Per prima cosa entro nel monastero ortodosso dove, in una piccola stanza delimitata dall’iconostasi sul fondo, ci sono tre persone in piedi accanto ad un monaco che sta cantando con voce baritonale un lunghissimo testo in prosa. Esco e faccio un giro turistico delle ex-ambasciate, ce ne sono così tante che a volte non serve neanche cercarle.
Arrivo al supermercato e sono costretto a prendere di nuovo contatto con il calendario: oggi è domenica, è tutto chiuso. Poco male, farò la spesa domani al supermercato di Rijeka Crnojevića. Nonostante questo, non sono venuto fini qui per niente, infatti davanti al supermercato c’è lo scatolone di un televisore da 55 pollici. Ritaglio dalla scatola l’immagine dello schermo e me ne vado con mezzo metro quadro di cartone piegato in due sotto il braccio.
L’ultimo edificio che vedo prima di lasciare la vecchia capitale è il Grand Hotel Cetinje, chiuso e forse in stato di abbandono, a testimoniare gli antichi fasti della città.
14:44
Quando finalmente esco dalla città il sole ormai è prossimo al tramonto, mancano solo un paio d’ore al buio e devo ancora lasciare Cetinje. Ho visto l’alba un attimo fa, come ha fatto il sole a muoversi così in fretta?
La mia destinazione si trova a mezz’ora di macchina da qui, ma da una strada secondaria dove probabilmente non passa quasi nessuno ci vorranno senz’altro due passaggi per arrivarci. Nonostante si sia fatto tardi e le macchine vadano piuttosto veloci, ho un’arma infallibile per arrivarci in un batter d’occhio. Il mio biglietto di viaggio è lungo un metro e stavolta si può sporgere in fuori quanto il mio pollice.
Infatti funziona, arrivo a destinazione in quarantacinque minuti. La prima a fermarsi è Hannah, dalla Germania, ma mentre passa non mi fa nessun cenno e quando mi chiama non la sento, quindi viene ad avvisarmi a piedi. Ha qualche anno più di me e sta rientrando a Podgorica per consegnare la macchina a noleggio che ha usato per visitare Montenegro e Albania. Sui sedili posteriori c’è un grosso zaino simile al mio e si vede che ha fatto delle escursioni in questi giorni.
Le nostre chiacchiere durano poco e mi fa scendere al bivio con la stradina tutta a curve che porta alla mia destinazione. Non mi piace tanto il posto, quindi mi incammino in cerca della prossima piazzola. Prima di trovarla sento arrivare una macchina e con una piroetta apro al volo il cartello, come una farfalla che spalanca le ali per mostrare gli occhi che ha disegnati all’interno, per impressionare l’aggressore.
Diko sembra più impietosito che impressionato, comunque si ferma all’istante e mi prende a bordo. Il suo maglione millenario gli dà un’aria da ottantenne, mentre le sue scarpe sportive e i jeans quasi nuovi lo ringiovaniscono di almeno quindici anni. In effetti ne deve avere poco più di sessanta. Parla solo serbo-croato, ma riesco a capire che ha un figlio e due figlie e che la sua famiglia abita a Rijeka Crnojevića, nonostante il paese sia in una posizione così isolata. Infine mi indica il prato sulla riva e mi spiega che posso campeggiare lì.
Rijeka vuol dire fiume, infatti il paese si trova lungo un fiume di grande bellezza naturalistica e da qui partono numerose escursioni in barca, che possono estendersi fino al lago Skadar. Un altro tratto caratteristico del paese è il ponte di Danilo, fatto costruire 170 anni fa dal sovrano Danilo I, al posto della versione precedente in legno. Visto che pioverà parecchio, non mi sembra una bella idea aspettare la piena campeggiando sulla riva anche se in questo punto il fiume è largo solo dieci metri.
Dall’altra parte del ponte la riva è popolata di germani reali e anatre mute. Dopo pochi passi vedo una freccia blu volare a pelo d’acqua, ormai in questo viaggio i martin pescatori sono più comuni dei piccioni.
Su questa sponda del fiume ci sono due ampie tettoie in legno e un piccolo edificio di sasso senza più il tetto, che probabilmente era una vecchia segheria alimentata dall’acqua. Bisogna scegliere tra quattro pareti o un tetto sulla testa, non si può pretendere di avere tutto. Naturalmente scelgo il tetto sulla testa, l’ambiente è carino, verde brillante per via del muschio che cresce ovunque, con un pavimento di edera. Lì accanto ci sono un po’ di rami secchi per fare il fuoco, delle tegole di pietra per raccogliere la cenere e schermare il vento e delle assi di legno per formare una panca. Finché c’è luce e non piove, porto tutto sotto il tetto e installo anche l’amaca, legandola ai due sostegni verticali del tetto.
17:30
Adesso resta solo da aspettare che apra il supermercato, domattina alle 7:30. Scrivo un altro po’ dell’articolo infinito di sabato 13, mentre la temperatura inizia a crollare come ieri. Nel frattempo il cielo inizia ad annuvolarsi e alle otto inizia a piovere. Ora non si esce più fino a mercoledì, tanto vale dormirci sopra.
Ho provato ad immaginarti in versione farfala con il cartello al posto delle ali: un’immagine a dir poco “idilliaca” :’)
Che immagine carina ahahah!