Antony e Azdin (e il mitico Joe)

Lezione di ieri: Non serve una guerra o una carestia per rischiare la pelle attraversando i boshi e le mine dei Balcani con l’obiettivo di farsi arrestare in Germania.

Giovedì 11/11/2021 7:42 – Sarajevo (Bosnia e Erzegovina)

La sveglia qui è molto lenta e la mia colazione dura un’eternità. Al mio terzo panino c’è Joe, il settantenne turco, che esclama “Tu tienes mucha hambre!” In effetti sì, ho proprio fame.
A colazione c’è anche Antony, il viaggiatore indiano, che è in viaggio da un mese per approfittare della situazione in India, che adesso consente i viaggi all’estero. È appassionato di storia e di arte e si offre di farmi da guida turistica, quindi accetto con entusiasmo la proposta. Per prima cosa andiamo sul ponte latino, il luogo in cui Gavrilo Principe uccise Francesco Ferdinando I nel 1914. Antony mi fa notare che, simbolicamente, ci troviamo nel luogo in cui è iniziata la Prima guerra mondiale nel giorno in cui è terminata, l’11 novembre alle 11 pm. Sotto al ponte passano le acque limacciose del fiume Miljacka, che devono superare innumerevoli salti prima di arrivare alla periferia di Sarajevo. Alla base di questi salti si forma un moto convettivo, una sorta di risacca in cui rimangono intrappolati a lungo palloni da calcio e bottiglie di plastica, come se volessero risalire la corrente. Antony ne ricava una metafora della vita, con tutti che si accalcano dietro di te e spingono per raggiungere qualcosa mentre tu sei tra la folla e l’ostacolo, incapace di superarlo.
Di fronte c’è il singolare palazzo del comune di Sarajevo, che è a pianta triangolare con un esagono inscritto e sopra una cupola. Visitiamo il cortile della moschea più grande e le vie della città vecchia, che è stata interamente destinata alla vendita massiccia di souvenir. Le file di case di pietra con un piano solo si prestano bene ad essere convertite in negozi.
Antony è anche appassionato di fotografia, perciò più che fare da guida turistica mi segnala i punti giusti in cui scattare le foto. È terribile come i cavi tesi tra gli edifici non tengano in nessun conto le esigenze dei fotografi.
Passiamo dalla fiamma eterna, posta a ricordo delle vittime dell’ultima guerra, dove c’è un piccione magro e un po’ strinato che si scalda sul bordo del braciere. Per rimanere in tema di piccioni, qui a Sarajevo stanno selezionando una nuova specie di piccione inetto al volo. Come diceva Antony, in effetti questi piccioni non si alzano in volo per nessun motivo, il loro massimo sforzo è passeggiare velocemente.
Visitiamo anche una piccola chiesa ortodossa del sesto secolo, in pietra, che all’epoca della sua edificazione doveva svettare sulla città, dall’alto del suo campanile di dieci metri. Adesso la si può notare solamente passandoci davanti.
Rientriamo all’ostello per pranzo scambiandoci un po’ di consigli di viaggio. Temo che dovrò passare dal Nepal perché anche Antony mi raccomanda di visitarlo, e ormai me l’avete già raccomandato in quattro. A pranzo c’è anche Joe che è in partenza per Skopje in Macedonia. Ha acquistato stamattina un biglietto per un autobus che in dieci ore raggiunge la Macedonia passando per Belgrado.
Quest’uomo mi spiazza sempre di più e comincio a fargli qualche domanda per capire chi è. Praticamente è il più vecchio di tre fratelli e non ha moglie né figli in Turchia. Ha studiato un paio di lingue per interesse personale e ama viaggiare, quindi al momento sta girando l’Europa. Chiede se conosciamo un ostello a Skopje, perciò gli diamo una mano a cercarlo, noi che abbiamo un telefono. “Naturalmente a Skopje ci sono molti ostelli, quale preferisci?” La risposta è: “Quello che costa meno.” Con questa risposta esaurisce le mie domande.
Ecco qui un ventenne nel corpo di un uomo di settant’anni che potrebbe quasi essere mio nonno.
Dopo pranzo mi prendo una pausa per cercare di mettere per iscritto la festa degli Hare Krishna di una settimana fa. Un lavoro interminabile.
Poco prima del tramonto mi unisco ad Azdin, uno dei miei compagni di stanza, per andare a vedere il tramonto da un punto sopraelevato. Azdin è quello di origini marocchine che parla spagnolo e arabo. Vive a Madrid e lavora per un’agenzia che affitta appartamenti, soprattutto ai turisti, perciò quest’anno ha avuto pochissimo lavoro e molto tempo per viaggiare. Gira per le città europee secondo il capriccio degli sconti delle compagnie aeree, ha prenotato una manciata di voli ed è partito.

16:45

Mentre saliamo in mezzo a due cimiteri musulmani irti di cippi bianchi, ci rendiamo conto che siamo in ritardo di una decina minuti, perché a NW di Sarajevo c’è una collina. Poco male, probabilmente lo smog della città avrebbe offuscato parecchio il sole al tramonto. Siamo fortunati perché ci sono alcune nuvole all’orizzonte a riflettere l’arancione del sole appena scomparso. Da quassù si vede metà di Sarajevo, l’altra metà si trova oltre la caligine. C’è anche un pipistrello che svolazza qui vicino e che riesce a schivare con un’acrobazia gli artigli di una cornacchia di passaggio.
Saliamo ancora verso un castello arroccato sul colle a Est del centro e scopriamo che è chiuso, abbandonato e crivellato dai proiettili. C’è anche una betulla di sei metri che è cresciuta tra una finestra e il cornicione. È interessante vedere uno scorcio di Sarajevo dopo la guerra, concordiamo sul fatto che bisognerebbe rendere visitabile l’edificio, ma restaurandolo il meno possibile. Nel frattempo la città si è accesa ed è illuminata a giorno da migliaia di luci.

20:30

Torniamo in ostello e facciamo un giro fuori per cena. Ad entrambi piace camminare e quindi passa un’ora, abbiamo fatto cinque chilometri e ancora non abbiamo deciso dove mangiare, solo che i locali stanno già chiudendo. Torniamo verso il centro e alle 21:30 i negozi sono già chiusi, troviamo un čevabdžinica, un locale che serve il piatto simbolo di Sarajevo, ed entriamo un quarto d’ora prima della chiusura. Questo piatto si chiama čevapčići (con tutte le c dolci) e consiste in un disco di pasta che durante la cottura si gonfia, viene tagliato a metà e servito con salsicce alla griglia e cipolla cruda a pezzetti. Approvato.
Torniamo in ostello per l’ultima notte a Sarajevo, perché Azdin domani rientra a Madrid, dopo aver rimbalzato a lungo tra le città europee.

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